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 2015  aprile 30 Giovedì calendario

NEI PANNI DI DIO


Diretto nel 2014 da Clint Eastwood, American Sniper è il titolo di una pellicola di successo. Racconta la storia di Chris Kyle, cecchino dei Navy Seal, il gruppo per le operazioni speciali della Marina statunitense; una storia, quella di Kyle, che merita di essere conosciuta, magari leggendo la sua biografìa, o se preferite guardando il film.
Gli sniper non agiscono da soli, ma in coppia; c’è lo sniper, appunto, e poi lo spotter, l’osservatore. Entrambi hanno qualifiche e capacità di eccezionali tiratori scelti, ma solo uno alla fine spara. Che senso ha avere due uomini per il medesimo compito? Il fatto è che lo spotter si occupa di passare al compagno i dati sulla velocità e la direzione del vento. E poi, armato anche lui, bada alla sicurezza fisica del cecchino. In alcune operazioni particolarmente delicate, può succedere che lo sniper team conti una terza figura, quella del flanker, il cui compito è dedicare la massima attenzione agli angoli ciechi, a quelle zone dove la visuale del cecchino e dello spotter è compromessa dagli ostacoli o dalla prospettiva.
Ma che c’entra lo sniper con la cronaca nera, con le menti criminali? Nulla, all’apparenza, perché è improbabile sia un cecchino, che abitualmente colpisce in teatri di guerra, a rendersi protagonista dei fatti di violenza tra le mura di casa, degli omicidi per rabbia, passione o per guadagno economico. La maggior parte dei delitti coinvolge persone unite da una precedente conoscenza, tant’è che le vittime sono spesso un genitore, un fratello, un figlio, un rivale in amore o in affari.
Si tratta di un fatto dalle banali implicazioni investigative; durante ogni indagine è essenziale stabilire il legame tra vittima e carnefice: serve a scoprire il movente, a risalire all’identità dell’assassino. Un passaggio sostanziale, ma esistono situazioni dove non ci sono collegamenti di alcun genere. È il caso dei drive-by shooter, che rappresentano una delle prime cause di morte violenta negli Stati Uniti. Si tratta in genere di ragazzi o giovani uomini, che in gruppo salgono su un’auto e decidono di percorrere le strade di una città, alla ricerca di una preda sconosciuta. Incrociano persone che chiacchierano, oppure qualcuno che cammina da solo, o ancora una piccola folla che aspetta di entrare in un locale, e allora abbassano il finestrino e sparano senza ragione, prima di sgommare a tutta velocità.
Sparano senza ragione. O forse una ragione, anche se malata, ce l’hanno. Giocano a fare «dio», decidendo chi in quel momento meriti di vivere o morire.
Momenti di onnipotenza
È probabile che Chris Kyle, l’american sniper con il suo primato di 160 uccisioni confermate dal Pentagono, abbia vissuto momenti di onnipotenza; momenti giustificati (forse) dalla missione che gli era stata affidata, quella di eliminare il nemico. Lui «il bene», gli altri «il male».
Ma ci sono cecchini che hanno continuato a uccidere anche lontano dalle trincee. James D. Martin ha 55 anni, e sta tornando alla sua macchina con la spesa in mano quando all’improvviso crolla a terra, colpito da un proiettile alla testa. È il 2 ottobre 2002, a Silver Spring, un piccolo centro non lontano da Aspen Hill, nel Maryland.
Il giorno dopo tocca a James Buchanan, che ha 39 anni, fa il giardiniere e sta falciando il prato di un centro commerciale; poi è la volta di Premkumar Walekear, mentre fa benzina al distributore della Mobil di Aspen Hill.
Sarah Ramos, 34 anni, passa in un lampo dalla vita alla morte seduta su una panchina, fuori dall’ufficio postale di Rossmoor Boulevard. E un proiettile uccide Lori Ann Lewis-Rivera, che ha 25 anni e sta facendo il pieno alla Shell di Kensington. L’ultimo della giornata è Pascal Charlot, 72 anni, colpito mentre è all’angolo tra Georgia Avenue e Kalmia Road, a Washington.
In poco più di tre settimane sono dieci le vittime, e altre tre vengono ferite gravemente, raggiunte tutte da un colpo di fucile calibro 223. C’è un serial killer in circolazione, senza dubbio, ma non è solo questo a terrorizzare gli abitanti della zona; c’è anche la mancanza di un movente, la totale casualità. L’assassino colpisce indiani e ispanici, ma anche bianchi, giovani e vecchi, davanti a un distributore come nei parcheggi dei supermercati, per la strada e davanti a una scuola. Spara a qualunque cosa si muova, proprio come un cecchino in guerra.
L’ultimo omicidio avviene martedì 22 ottobre 2002. Gli investigatori non sanno che pensare, le ipotesi si sprecano: a qualcuno viene in mente che sono passati giusto 25 anni dai delitti del famigerato Figlio di Sam.
La fortuna del camionista
Il Figlio di Sam, il cui vero nome era David Berkovitz, per 13 mesi, tra il 1976 e il 1977, aveva sconvolto le strade di New York, uccidendo sei persone e ferendone altre sette. E se il cecchino di Washington, come lo hanno ribattezzato i media, fosse un copycat, un imitatore, un serial killer che rende omaggio a un altro serial killer? E se invece fosse un ragazzino che ha passato troppo tempo davanti ai videogiochi e adesso non riesce più a distinguere la realtà dalla fantasia? Oppure si tratta di un rituale, un rituale satanico. Ma come escludere i terroristi di al Qaeda?
Ci si mettono anche i profiler dell’FBI, che concludono affermando che l’assassino agisce da solo, è di razza bianca, un single sui 20-30 anni, il tipico residente del distretto di Washington. L’analisi resterà nella storia come una dei più grandi abbagli dell’Unità di scienze del comportamento.
Improvvisamente, a segnare le indagini arriva una telefonata anonima, una che tra le migliaia conquista l’attenzione della polizia. Perché chi chiama è diverso da tutti gli altri. Il 17 ottobre si presenta con un farneticante «Io sono dio», e per far capire che non scherza, racconta di un altro caso in cui avrebbe già ucciso, in una rapina avvenuta a Montgomery, in Alabama.
In effetti, a Montgomery, il 21 settembre c’era stata una rapina all’ABC Beverage, un negozio di liquori, e qualcuno aveva ucciso la proprietaria, e ferito gravemente la commessa. Quello che «dio» non sa è che prima di scappare ha commesso un errore, lasciando l’impronta della sua mano sulla copertina di una rivista. L’impronta era stata raccolta dalla polizia di Montgomery e inviata allo schedario computerizzato dell’FBl. Peccato che nessuno, per 27 giorni, si fosse ricordato di scoprire a chi apparteneva.
Quando si decidono a interrogare il computer salta fuori il nome di un ragazzo, un tale John Lee Malvo, 17 anni, di colore, originario della Giamaica ed entrato clandestinamente negli Stati Uniti. Ma John non si muove da solo, ha una specie di padre adottivo, John Allen Muhammad. Allen ha 42 anni, è nato in Louisiana ed è anche lui un afroamericano. Ma soprattutto è un ex soldato e uno sniper. Lui e il ragazzo sono scomparsi, e l’unico indizio è l’auto dell’uomo, una Chevrolet Caprice blu.
Il 24 ottobre 2002 un camionista sta parcheggiando in un’area di servizio della I-70, vicino a Frederick. È l’una di notte, sta ascoltando la radio, e proprio in quel momento sente un appello del conduttore che chiede aiuto alla gente per conto della polizia. Stanno cercando una macchina, una Chevy Caprice blu, targa NDA21Z. Il camionista guarda fuori dal finestrino e nota che c’è proprio una Caprice nell’area di servizio. Una Chevy Caprice. Blu. Targa NDA21Z. Il camionista chiama il 911, il numero d’emergenza della polizia, e poi si chiude dentro il camion, come gli è stato detto. Poco dopo arriva la SWAT, la squadra speciale della polizia, che si avvicina rapidamente, sfonda i finestrini della Caprice e cattura John Lee Malvo e John Allen Muhamed, senza dar loro nemmeno il tempo di muoversi.
Un piano folle
Gli «Washington sniper», i cecchini di Washington, sono loro. Non c’è dubbio. Anche se sono due, sono neri e vengono da fuori. Nella Caprice gli agenti della SWAT trovano un fucile, un Bushmaster 223, un fucile d’assalto con mirino di precisione e treppiede.
Rinchiusi in una prigione federale, John Allen Muhammad e John Lee Malvo, vengono giudicati in due diversi processi. Il 10 novembre 2010 Allen è giustiziato con un’iniezione letale al Greensville Correctional Center della Virginia. Malvo, che ha evitato la condanna a morte, essendo minorenne all’epoca dei fatti, ha successivamente fornito nuovi elementi per capire il piano di morte dei due assassini.
Il progetto consisteva di tre fasi, da svolgere nelle aree di Washington e Baltimora. In un primo momento i cecchini avrebbero dovuto eliminare sei persone al giorno per 30 giorni consecutivi.
La seconda parte prevedeva lo spostamento a Baltimora, uccidendo donne incinte e un poliziotto. Al funerale dell’agente, un’ordigno avrebbe fatto strage dei rappresentanti delle forze dell’ordine intervenuti alla cerimonia. Il tutto per arrivare all’ultimo passaggio: ricattare il governo degli Stati Uniti per milioni di dollari, e con il denaro viaggiare in Canada reclutando giovani ragazzi orfani. Le nuove leve sarebbero poi state addestrate a trasformarsi in cecchini sparsi per l’America a seminare morte e terrore. Un piano folle, saltato per colpa della stupida onnipotenza di Allen. E di un’impronta digitale.