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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

SE IL CICLISMO RISCHIA DI MORIRE DI ARIA CONDIZIONATA

Era il millenovecentocinquantasei e Charlie Gaul andò a vincere la tappa da Merano al monte Bondone nel giro d’Italia. Ricordo alcune immagini in bianco e nero, c’era la pioggia, c’era la neve, gli inviati al seguito raccontarono degli otto sotto zero e di Learco Guerra che impose al lussemburghese, in corsa, un improvvisato bagno caldo, furono due tinozze riscaldate su una stufa in una casa lungo la strada a Levico, a permettere a Gaul di sopportare il vento gelido e di vincere la tappa.
Il ciclismo ha vissuto di epica e di leggenda, di fango e di arsura, di grandi freddi e di canicole malefiche, qui hanno trovato gloria i campioni e il Campionissimo, qui le tragedie, le morti di atleti in corsa contro se stessi.
Niente più Bondone, niente più Stelvio e Gavia, niente più l’afa maledetta dei Pirenei, si va verso uno sport con l’aria condizionata, il clima mite, la tappa di trasferimento, la corsa outdoor ma indoor, sudore e lacrime appartengono al passato prossimo e remoto.
Il nuovo padrone dello sport diventa il bollettino meteorologico, l’anticiclone delle Azzorre può decidere il calendario agonistico, in caso di pioggia si passa agli scacchi e alla dama, se nevica meglio il cruciverba, se la temperatura supera i 35 gradi ecco i videogame, non più passaggi di borracce ma di ventagli, non più maschere di fango ma di latte d’asina, per restare belli e con la pelle liscia.
Non scherzo, mi preoccupo, non so se ridere o urlare. Ma a chi vengono in mente certe cose? Quando? Perché?
Questa idea che circola nell’ambiente, sostenuta dall’Associazione medici del ciclismo e pare anche dai corridori, è una baggianata, una violenza alla storia di questo sport magnifico, di sangue e sofferenza che si fa, ormai, di plastica.
Ma quando c’è da intascare la moneta ecco che il ciclismo si eccita e muove il carrozzone verso le terre degli Emiri, si va in Oman, in Qatar, si corre al caldo vero e pazzesco, là dove il termometro è quello del dollaro o dell’euro.
Cancellare le tappe della neve, del freddo e dell’afa, significa ridurre questo sport a un reality senza patemi, a un film muto e senza attori, è cronaca apatica, non più narrazione appassionata. Sarebbe la fine dell’epica e di un’epoca, l’ultimo chilometro senza vincitori ma soltanto sconfitti.