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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

PER IL RISIKO SERVE UNA BAD BANK

Quattro matrimoni e una bad bank. Parafrasando una commedia degli anni 90, potrebbe esserci tutto questo nel futuro delle banche popolari italiane in vista della loro trasformazione in spa decisa dal governo. La previsione è contenuta in un rapporto di Boston Consulting Group e Bernstein (società globale di gestione patrimoni e analisi) dedicato alla riforma del settore e presentato ieri, proprio al termine della stagione assembleare. Secondo lo studio, la nuova normativa preannuncia un’ondata di operazioni di consolidamento, che potrebbe rilanciarne la redditività del comparto: le popolari più grandi si aggregheranno, anche per difendersi da possibili offerte ostili, mentre gli istituti stranieri potrebbero a loro volta fare qualche acquisizione mirata dopo che la trasformazione in spa. «Le popolari», ha spiegato Gennaro Casale, partner & managing director di Bcg, «potrebbero aumentare il rote (return on tangible equity, ndr), portandolo da negativo a oltre il 10%, grazie all’effetto combinato di consolidamento settoriale e ripresa economica.
I contributi maggiori a tale miglioramento arriverebbero dalla riduzione dei costi tramite la razionalizzazione delle filiali, lo snellimento delle direzioni centrali e l’efficientamento processi operativi». Secondo lo studio, le Popolari dovranno dimostrare un chiaro impegno verso il cambiamento attirando investitori istituzionali per stabilizzare l’azionariato. Inoltre bisognerà dirottare i non performing loans in portafogli non-core o nell’eventuale bad bank di sistema, garantendo maggiore trasparenza e una gestione specializzata di tali asset. Proprio la possibile creazione di una bad bank, secondo lo studio, potrebbe ulteriormente stimolare questo processo. I crediti deteriorati verrebbero infatti rimossi dai bilanci delle banche la maggiore pulizia e i maggiori profitti attesi potrebbero attrarre nuovi investitori. «L’effetto combinato della riforma e della bad bank», ha concluso Casale, «potrebbe essere simile a quello già osservato in Spagna, Irlanda, Svezia: consolidamento settoriale, riduzione del numero di filiali, ritorno delle banche all’utile e maggiore solidità patrimoniale».
Il rapporto di Bcg e Bernstein si sofferma anche sulle possibili business combination tra le grandi popolari, confermando sostanzialmente le indiscrezioni che da tempo circolano sul mercato. L’operazione di maggiore portata sarebbe quella tra Ubi Banca e il Monte dei Paschi (vedi tabella in pagina) che darebbe vita a un grande campione regionale. L’operazione potrebbe avvenire sia attraverso una fusione tout court che attraverso una scissione della parte core di Mps (che Ubi acquisirebbe) da quella non core che sarebbe dismessa, potenzialmente a favore di una ipotetica bad bank. Resta poi aperta la possibilità che il gruppo lombardo metta le mani soltanto sulla sola rete ex Antonveneta, ben radicata nel Nordest. Altra operazione citata nello studio è quella tra il Banco Popolare e la Bpm che darebbe vita un leader di mercato nelle regioni più ricche del Paese con un significativo potenziale per generare sinergie di costo. Nel dettaglio i costi operativi potrebbero essere ridotti di 300-400 milioni e il Cet1 atterrerebbe all’11,7%. In alternativa Piazza Meda potrebbe rispolverare il dossier di un matrimonio con la Popolare dell’Emilia Romagna, mentre, tra le non quotate, lo studio dà per favorito un matrimonio tra Bpvi e Veneto Banca grazie «alle forti similitudini culturali tra le due banche e tra le rispettive comunità locali che potrebbero consentire di superare la tradizionale rivalità.
Luca Gualtieri, MilanoFinanza 29/4/2015