Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

Come giocarsi la vita varando una legge elettorale– Oggi inizia alla Camera la discussione della nuova legge elettorale, quella chiamata Italicum, che se fosse approvata così com’è diventerebbe definitiva ed entrerebbe in vigore dal primo luglio del 2016

Come giocarsi la vita varando una legge elettorale– Oggi inizia alla Camera la discussione della nuova legge elettorale, quella chiamata Italicum, che se fosse approvata così com’è diventerebbe definitiva ed entrerebbe in vigore dal primo luglio del 2016. Finora la proposta di legge ha avuto un percorso travagliato, che si preannuncia tale anche nel suo ultimo passaggio. L’Italicum è già stato votato alla Camera nel marzo 2014 e approvato dal Senato nel gennaio 2015. Avendo però il Senato apportato delle modifiche rispetto al testo votato alla Camera, la legge ora torna a Montecitorio. Qualora si decidesse di modificare di nuovo la riforma (basta una virgola), questa dovrebbe tornare a Palazzo Madama: e al Senato – dove l’approvazione avvenne a suo tempo con il voto dei senatori di Forza Italia – il Pd non ha il vantaggio di cui gode alla Camera. E l’Italicum rischierebbe di finire in un pantano. Alla fine di marzo, la direzione nazionale del Pd ha votato a maggioranza la relazione del segretario sull’Italicum, decidendo quindi che il testo sarebbe stato presentato alla Camera senza ulteriori modifiche. La minoranza del Pd non ha partecipato al voto, dicendo che avrebbe presentato degli emendamenti in commissione prima della discussione finale. Il 15 aprile anche i deputati del gruppo del Partito Democratico – senza quelli della minoranza, usciti per protesta – hanno approvato la linea Renzi, cioè presentare e votare l’attuale versione della riforma elettorale. Riunione piuttosto agitata con il capogruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza, che ha infine presentato le proprie dimissioni dall’incarico [1]. Il 21 aprile il premier decide di sostituire dieci membri, facenti capo alla minoranza Pd e contrari ad approvare la legge senza modifiche, della commissione Affari costituzionali della Camera in cui si stava svolgendo l’esame preventivo del testo. Tra loro l’ex segretario Bersani e gli altri capi dell’opposizione interna Cuperlo, D’Attorre, Bindi (in quella commissione la minoranza del Pd era certamente sovradimensionata). Sconcerto, proteste, musi lunghi tra gli esclusi, abbandono della commissione da parte delle opposizioni. Il 23 aprile, con il mandato ai relatori, la nuova legge elettorale riceve il via libera della commissione Affari costituzionali e oggi approda in Aula. Per le votazioni, probabilmente, si dovrà aspettare i primi di maggio: entro metà mese è previsto il voto finale. Il governo non ha ancora annunciato se sul testo sarà posta la fiducia [2]. Renzi: «Da anni diciamo che è una priorità cambiare la legge elettorale. Il Pd ne ha discusso durante le primarie, in assemblea nazionale, in direzione, ai gruppi parlamentari, ovunque. La proposta – che è stata sempre votata a stragrande maggioranza – è stata approvata anche dal resto della maggioranza e dai senatori di Forza Italia. Fermarsi oggi significherebbe consegnare l’intera classe politica alla palude e dire che anche noi siamo uguali a tutti quelli che in questi anni si sono fermati prima del traguardo. Ma noi non siamo così» [3]. Il gioco s’è fatto molto duro e Cuperlo arriva a dire che se anche l’Italicum passerà la legislatura sarà irrimediabilmente pregiudicata. D’Attorre avverte che se viene messa la fiducia si entra in una terra incognita e non si sa dove si va a finire. La Mattina: «Renzi infatti dovrà fare bene i conti. Se le opposizioni saliranno sull’Aventino anche in aula, ad ogni votazione si rischia la mancanza del numero legale. Ancora peggio nel caso in cui si sommassero tutti i nemici del premier al voto finale a scrutinio segreto» [4]. Ecco dunque i numeri con cui oggi Montecitorio accoglierà nuovamente l’Italicum. Considerando il plenum di 630 deputati, la soglia per passare è di 316 voti. Ma per l’approvazione di una legge ordinaria, come in questo caso, basta la maggioranza semplice. Quindi le assenze potrebbero far diminuire i sì necessari. Il Pd ha 310 voti, 25 Scelta Civica, Per l’Italia 13, Area popolare 33, Misto 12. Fanno 393 voti. Un margine di sicurezza di 77 voti. Dalle ipotesi che si fanno sui giornali, sono tra i 20 e i 40 i voti della minoranza del Pd che potrebbero mancare all’Italicum (e aggiungersi ai 237 dell’opposizione). 17 invece quelli di parlamentari di Fi (verdiniani, in particolare) che potrebbero dare votare a favore [5]. Martirano: «Per provare a raccapezzarsi sui numeri, sui pro e i contro l’Italicum, sulle minoranze interne e sui doppiogiochisti, bisogna innanzitutto disegnare due scenari. Nella prima cornice, il governo non pone la questione di fiducia fin dall’inizio e dunque affronta 80 potenziali scrutini segreti sulla legge elettorale. Ma questa sembra fantascienza. Nel secondo scenario, il meno improbabile, Renzi impone (dopo una decisione del Consiglio dei ministri) la questione di fiducia sulla legge elettorale appena si chiuderà la discussione generale: in questo caso, i voti di fiducia saranno tre (uno per ogni articolo del testo tranne il terzo che è già stato approvato in “doppia conforme” da Camera e Senato) mentre il voto finale sarà segreto se richiesto da trenta deputati o da un solo capogruppo» [6]. Nel primo scenario, le insidie per il governo sono davvero molte davanti a una raffica di 80 potenziali voti segreti, a partire da quello sulla pregiudiziale di costituzionalità. Martirano: «Sebbene la maggioranza conti sulla carta su 393 voti (di cui 310 del Pd) e le opposizioni su 237, sarebbe troppo allettante la tentazione di far saltare il banco dell’Italicum con giochetti d’Aula, magari mascherandoli con incidenti di percorso notturni. Le incognite (sui singoli emendamenti a scrutinio segreto e in particolare su quello che introduce l’apparentamento al ballottaggio e dunque il premio alla coalizione) devono tenere conto di due numeri: il dissenso palese (20-40 voti) e quello occulto (fino a 70 voti) all’interno del Pd; e quello sul “soccorso azzurro” per il governo (a partire da 17 voti) che si è già manifestato dentro Fi quando Denis Verdini chiese ai suoi fedelissimi di appoggiare la riforma costituzionale» [6]. Ma c’è anche uno scenario di mezzo. Prevede che Renzi parta comunque in maniera soft (senza fiducia preventiva) dopo aver incassato un accordo con i capigruppo di opposizione sulla rinuncia alla richiesta di voto segreto, come accadde (con successo) nel 1993 con il Mattarellum. Ma cosa succede se poi trenta deputati senza insegne rompono il patto stretto tra i partiti e chiedono uno scrutinio segreto? A quel punto, secondo l’interpretazione del regolamento del capogruppo vicario Ettore Rosato (Pd), «bisognerebbe verificare, uno ad uno, se i trenta richiedenti sono effettivamente in Aula e così il governo avrebbe il tempo per mettere la fiducia sull’intero articolo» cui si riferisce l’emendamento oggetto di richiesta di voto segreto [6]. Se invece il governo non si fida e non vuole sorprese, scatta il secondo scenario. Il presidente del Consiglio fa scorrere senza intoppi la discussione generale che si apre oggi, poi forse ai primi di maggio affronta il voto segreto sulla pregiudiziale di costituzionalità (quello sulla sospensiva è palese) e prima di passare all’esame degli emendamenti (se ne annunciano una manciata anche in Aula, tutti di merito) chiede al ministro Boschi di porre la questione di fiducia. A quel punto i voti di fiducia sarebbero tre: sei «chiame» che si snodano lungo un’intera giornata [6]. Sorgi: «Resta da capire – e il premier Renzi e i suoi collaboratori ovviamente si riservano di valutarlo – quale sarà il peso dei franchi tiratori nelle votazioni sugli emendamenti (fino a oggi ne sono stati presentati 135). E fino a che punto il ricorso all’ostruzionismo potrà rallentare la marcia verso il voto conclusivo» [7]. È quasi certo che la fiducia verrebbe votata anche da una parte della minoranza del Pd. Il bersaniano Davide Zoggia lo conferma: «Sì, voterei la fiducia, che poi è il voto politico, ma sul provvedimento bisogna vedere... Per questo aspettiamo un segnale da Matteo Renzi». Grosso modo, questa (sì alla fiducia, astensione nel voto o dal voto sul provvedimento) è la posizione di Pier Luigi Bersani e di Area riformista. Più marcata, seppure ancora più minoritaria, la posizione di Pippo Civati: «Non parteciperei al voto di fiducia e voterei contro una legge sulla quale mi impediscono di presentare emendamenti». Anche Rosy Bindi ha detto che non voterebbe «una fiducia che ritiene incostituzionale» e la stessa linea sarebbe tenuta da Stefano Fassina, da Alfredo D’Attorre e da un’altra manciata di oppositori dem all’Italicum. Troppo pochi per impensierire il governo [6]. (a cura di Francesco Billi) Note: [1] il Post 17/4; [2] la Repubblica 25/4; [3] Matteo Renzi, bacheca di Facebook 21/4; [4] Amedeo La Mattina, La Stampa 22/4; [5] Corriere della Sera 23/4; [6] Dino Martirano, Corriere della Sera 23/4; [7] Marcello Sorgi, La Stampa 21/4.