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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

Notizie tratte da: Rossella Tercatin (a cura di), La dieta Kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica, Giuntina Firenze 2015, pp

Notizie tratte da: Rossella Tercatin (a cura di), La dieta Kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica, Giuntina Firenze 2015, pp. 228, 15 euro.

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• L’alimentazione di un popolo è fondata innanzitutto sulle risorse del territorio nel quale vive e sulle abitudini che adotta, subendo talora delle modifiche al mutarsi delle condizioni socio-economiche.

• Le regole dell’ebraismo, che disciplinano ogni momento della vita a cominciare dalle funzioni essenziali, compresa l’alimentazione.

• Con il termine kasherut (letteralmente “adeguatezza”) si indica, nell’accezione comune, l’idoneità di un cibo ad essere consumato dal popolo ebraico. La maggior parte delle leggi fondamentali della kasherut deriva dalla Torà, dai libri di Levitico e Deuteronomio.

• Il tempo per gli ebrei è scandito secondo il calendario lunare con un ritmico susseguirsi settimanale dello Shabbat e delle festività che seguono l’alternarsi delle stagioni.

• Il ruolo importante svolto dal pasto comune di tutta la famiglia (è tradizione invitare chi è solo o indigente), preceduto dal kiddush (per la santificazione della festa) seguito da menu speciali tipici per ogni ricorrenza come per la cena pasquale (seder) o quella di Rosh Hashanà (il capo d’anno) o i cibi che è usanza mangiare in Sukkà o la sera di Shavuot o i dolci per Hannuccà e Purim.

• Le regole alimentari della kasherut fanno parte di un più ampio gruppo di norme che riguardano il rispetto degli animali e la conservazione della natura perché l’uomo è considerato un collaboratore di Dio nella salvaguardia del creato.

• Secondo il racconto della Bibbia, nella Genesi, la prima regola data ai primi esseri umani (ad Adamo e indirettamente ad Eva) fu un divieto alimentare: «Potrai mangiare da ogni albero, ma non da quello della conoscenza del bene e del male».

• Seguire un’alimentazione kasher (letteralmente “adatta”) è un adempimento fondamentale per un ebreo che intende osservare le regole stabilite nella Torà e nel Talmud. Questo sistema di leggi rappresenta una caratteristica sostanziale del popolo ebraico e fortifica il senso di appartenenza alla comunità.

• I mashghihim (supervisori), che partono dall’analisi dei prodotti primari e vietano l’uso di aromi e di conservanti a base di animali “impuri”, cioè proibiti secondo la legge ebraica. La presenza costante di un certificatore che segue la produzione nelle varie fasi si traduce nella percezione collettiva in una garanzia di qualità e affidabilità del prodotto.

• In America, recenti sondaggi dimostrano che un numero sempre crescente di consumatori, quasi il 40 per cento, scelgono di acquistare prodotti kasher, perché reputati affidabili, sicuri, controllati e sani.

• Stando alle stime pubblicate dalla Lubicom Marketing e Consulting, nel 2011 il fatturato del mercato dei prodotti kasher ha superato i 12,5 miliardi di dollari per oltre 135.000 prodotti di cui solo l’8% assorbito da ebrei.

• La giornalista Sue Fishkoff ha impegnato diversi anni a studiare il fenomeno della diffusione della crescente richiesta dei prodotti kasher in America. Il fatto che i mashghihim effettuino rigorosi controlli partendo dagli ingredienti primari, che devono essere puri, assolutamente privi di parassiti o insetti, e poi sorveglino la produzione assicurando quindi la totale assenza delle proteine del latte sui prodotti certificati parve (privi cioè di ingredienti a base di latte o di carne) e segnalino la presenza di qualsiasi ingrediente, anche solo a livello di tracce, rappresenta un fattore fondamentale nello spingere i consumatori a prediligere l’acquisto di prodotti kasher.

• Tra gli enti certificatori c’è la Orthodox Union, fondata nel 1898, che oggi conta uno staff di oltre 50 coordinatori, più di 500 ispettori e una banca dati che raccoglie oltre 200.000 ingredienti.

• Maimonide, vissuto nel XII secolo, chiamato “il guaritore del corpo e della mente” e autore del Mishné Torà, che è parte essenziale della tradizione ebraica.

• «Nella pratica della medicina, il primo e più importante regime è quello per i sani, poiché assicura che l’esistente stato di salute non vada perso. Un medico esperto, che vuole salvaguardare la salute del suo paziente, inizia migliorandone l’alimentazione» (Maimonide).

• I fattori principali che influenzano lo stato di salute secondo Maimonide: aria, cibo e bevande, emozioni, attività fisica e riposo, sonno e veglia, escrezione e ritenzione, mentre secondari sarebbero bagni, massaggi, relazioni intime.

• Le regole che l’uomo deve seguire riguardo cibo e bevande secondo Maimonide: a) si abitui a mangiare soltanto quando ha fame e bere solo quando ha sete; b) non mangi fino a sentirsi pieno, ma lasci insoddisfatto di un quarto il suo senso di sazietà; c) non beva acqua durante il pasto se non in piccola quantità mescolata a vino; d) quando il cibo incomincia a digerirsi nel suo apparato digerente, beva ciò di cui ha bisogno di bere, ma non beva troppa acqua anche quando il cibo va digerendosi; e) non beva l’uomo acqua fredda quando esce dal bagno, né […] beva durante il bagno stesso; f) non si dovrebbe bere acqua eccetto quando si ha vera sete; g) bere acqua dopo il pasto è dannoso alla digestione eccetto che per uno che vi è abituato; h) non si dovrebbe bere durante il pasto, o subito dopo, dal momento che il cibo è ancora nello stomaco, al di fuori dell’acqua fredda, che non dovrebbe essere mescolata con alcunché.

• Uno studio realizzato presso l’Università della Pennsylvania dove, in un esperimento su un gruppo di bambini di tre anni, è stato verificato che sebbene fossero state servite grandi porzioni di pasta, i bambini avevano mangiato solo fino a quando ne sentivano il bisogno, fermandosi quando non avevano più appetito. Un esperimento analogo su bambini di cinque anni ha dimostrato invece che questi continuavano a mangiare anche se non avevano più fame. La conclusione è che i comportamenti acquisiti dal punto di vista alimentare sostituiscono l’istinto naturale nel lasso di tempo tra i tre e i cinque anni di età.

• La conoscenza del bene e del male era già parte della vita del primo uomo e della prima donna.

• Secondo la tradizione ebraica, in tempo di guerra, le persone sono inclini a ignorare le questioni morali, a maggior ragione quelle ecologiche. Ma anche la guerra non giustifica la distruzione dell’ambiente. Maimonide stabilisce che è permesso tagliare un albero da frutto solamente se sta danneggiando altre piante più pregiate o se sta danneggiando la proprietà di un’altra persona.

• La Torà comanda di costruire il Mishkan (Tabernacolo) per Dio solo con legno di acacia: a maggior ragione quando un uomo è in procinto di costruire la sua casa non deve farlo con legno proveniente da alberi da frutto.

• La Torà proibisce il Kilayim (incroci) e il Sirus (castrazione).

• Rav Abraham Isaac Kook, primo Rabbino Capo della terra di Israele.

• La Torà è composta da 613 comandamenti: molti richiedono il trattamento compassionevole degli animali. Alcuni esempi: non macellare la madre e il suo piccolo lo stesso giorno; non ostacolare un bue, o qualsiasi animale, impedendogli di mangiare mentre lavora; è vietato mangiare fino a che prima non si sia nutrito il proprio animale; ecc.

• Fino al tempo del Diluvio, le persone non erano autorizzate a uccidere gli animali, anche al fine di mangiarli. Dopo il Diluvio, Dio ha permesso a Noè e a tutte le generazioni future di uccidere animali per mangiare carne. Danneggiare un animale, o causarne la sofferenza senza scopo, violerebbe il divieto originale che è stato dato ad Adamo.

• Secondo la tradizione ebraica, il cibarsi di carne non è un diritto acquisito dell’uomo, ma una concessione a posteriori soltanto in determinate condizioni.

• Le leggi della Torà insegnano che la prima preferenza per un ebreo dovrebbe essere un pasto vegetariano. Se non si può controllare il desiderio di carne, deve essere carne Kasher e macellata attraverso la macellazione rituale, per ricordare che l’animale è una creatura di Dio e che la morte di una tale creatura non può essere presa alla leggera.

• Le leggi della macellazione rituale, chiamate shechità. Garantiscono che l’animale sia stato macellato con la minore sofferenza possibile. Qualsiasi prolungamento dell’agonia dell’animale lo rende proibito al consumo. Tutti gli animali abbattuti in modo differente o attraverso la caccia non sono kasher.

• La caccia è uno sport proibito tra gli ebrei. È consentito uccidere gli animali selvatici solo quando invadono insediamenti umani causando pericolo imminente.

• La Torà prescrive norme assai precise per la macellazione di animali terrestri e uccelli, mentre non pone regole sulla macellazione dei pesci.

• La macellazione rituale ha lo scopo di macellare unicamente animali perfettamente sani; ridurre per quanto possibile le sofferenze dell’animale; privare rapidamente l’animale del sangue, che non può essere consumato, in quanto simbolo di vita.

• La macellazione rituale ebraica avviene mediante il taglio della trachea e dell’esofago tramite un coltello molto affilato, mettendo l’animale in condizioni tali da ridurre al minimo lo stato di coscienza dopo il taglio. La lama non deve avere imperfezioni, il movimento del taglio deve essere orizzontale, senza violare uno dei cinque movimenti proibiti e altre regole più dettagliate.

• I cinque movimenti proibiti: shehiyà, ritardo, esitazione o pausa; derasà, pressatura, pressione; haladà, perforazione o copertura; hagramà, slittamento; iqqur, lacerazione. Un piccolo errore nella procedura rende la carne non kasher.

• La tradizione ebraica vieta anche l’uccisione di un animale in presenza di un suo simile, al fine di risparmiare la benché minima pena a quello ancora in vita.

• Con il termine kasherut si indicano le regole alimentari ebraiche, stabilite nella Torah e interpretate nel Talmud. Il cibo che risponde ai vari requisiti è definito kasher, adatto a essere consumato.

• La Torà proibisce di mangiare qualsiasi animale terrestre (compresi tutti i suoi derivati, o qualsiasi sostanza prodotta derivante da animali proibiti) che non abbia due segni distintivi precisi che rendono l’animale Behemah Tehorah (animale kasher): l’animale deve essere pienamente ruminante e avere lo zoccolo fesso. Questi segni devono essere necessariamente entrambi presenti, la mancanza di uno dei due rende l’animale Behemah Temeah (animale non kasher).

• Esempi: il maiale possiede lo zoccolo fesso ma non è ruminante; il cammello è ruminante ma non possiede lo zoccolo fesso. Entrambi questi animali non sono considerati kasher. La mucca, invece, è ruminante e possiede lo zoccolo fesso, di conseguenza è considerata kasher.

• La Torà stabilisce anche la distinzione tra volatili kasher e volatili non kasher. La Torà Scritta si limita a elencare ventiquattro specie di volatili proibite. In questo caso la Torà Orale trasmette i criteri per distinguere i volatili permessi da quelli proibiti (compresi i loro derivati).

• Sono considerati kasher solo quei volatili dei quali esiste espressamente una tradizione di commestibilità. La tradizione orale stabilisce vari criteri: sono proibiti i volatili rapaci (dores). Il volatile è considerato rapace quando: divide le quattro dita della zampa due anteriormente e due posteriormente quando si appoggia a un supporto; prende al volo il cibo; presenta il becco a punta. Non è considerato rapace quando: presenta le dita delle zampe riunite da una membrana; ha il becco arrotondato. Se il volatile non è rapace, è kasher quando ha uno dei seguenti segni: un dito della zampa diretto posteriormente; ha il gozzo; ha il ventricolo avvolto da una membrana che può essere tolta con facilità con le sole mani. Questi segni, da soli, non sono decisivi. È necessaria comunque una specifica tradizione in base alla quale alcune specie sono considerate commestibili e altre no.

• Gli animali, prima di essere selezionati per la macellazione rituale, vengono sottoposti a una serie di controlli, perché devono risultare completamente sani. Per le stesse ragioni, a seguito della macellazione rituale, si esegue un controllo degli organi interni dell’animale, con particolare attenzione ai polmoni.

• La Torà proibisce di cibarsi di ogni tipo di animale che «genera disgusto»: ogni tipo di insetto, ogni tipo di animale brulicante e strisciante, siano essi vermi, rettili, piccoli mammiferi o invertebrati in generale. Siano essi terrestri, acquatici (diversi da pesci) o volatili. Non rientrano in questa proibizione una specifica specie di Locusta del Deserto (della quale si è persa la tradizione) e i prodotti delle api (prodotti dal nettare come il miele e la propoli; ma non la pappa reale, in quanto derivante direttamente dall’ape).

• Frutta e verdura devono essere accuratamente lavati e controllati. Tutti gli insetti o vermi devono essere espulsi, immergendo le verdure in acqua salata o in aceto, oppure mettendo particolari prodotti esistenti sul mercato su un panno e strofinando delicatamente la foglia.

• La Torà permette di cibarsi esclusivamente di pesci che possiedono le pinne e le squame. Se manca una delle caratteristiche, il pesce è proibito. Le squame, secondo la tradizione orale, devono essere sempre evidenti e permanenti, a pettine o a cerchio, legate solo agli strati più superficiali della pelle e facilmente rimovibili (questo, per esempio, esclude il pesce spada, lo squalo, lo storione e altri…).

• La Torà proibisce di mangiare il sangue di ogni genere di essere vivente, anche di un animale kasher macellato attraverso la macellazione rituale. Per questa ragione, subito dopo la macellazione, è necessario il completo dissanguamento della carne.

• In seguito alla macellazione rituale e al controllo degli organi interni, la carne deve essere sottoposta ad alcuni procedimenti (nikùr) che comportano la rimozione degli organi, delle vene e delle arterie, dei nervi, in special modo del nervo sciatico, delle interiora e dei grassi vietati.

• La carne deve essere poi privata dei resti di sangue, la cui consumazione è strettamente vietata. Essa deve perciò essere messa a bagno e poi sotto sale grosso e risciacquata più volte prima di essere cucinata (melichà). Oggi, la maggior parte della carne viene salata dal macellaio.

• Per quanto riguarda le uova, a causa dei divieti sul sangue, esse devono essere aperte e controllate prima di essere cucinate, per eliminare quelle che contengono piccole macchie di sangue (che rendono vietato l’uovo).

• La Torà proibisce di consumare o di trarre giovamento da vino consacrato ad altri culti. Non si può godere in alcuna forma di tutto ciò che viene dedicato o anche solo utilizzato per atti di culto estranei. Per estensione la Torà Orale proibisce di consumare o di trarre giovamento dal semplice vino (Stam Yenam) prodotto (o anche semplicemente toccato) da non ebrei (o ebrei non osservanti), anche se non consacrato a culti estranei.

• Tutti i derivati del frutto della vite come alcool, vino o succo d’uva, aceto o brandy devono essere esclusivamente prodotti da un ebreo osservante (dalla raccolta all’imbottigliamento) e sotto controllo rabbinico.

• Altri divieti: è proibito cucinare carne e latte insieme, anche se non si intende cibarsene, l’operazione stessa della cottura è proibita in sé, in tutti i modi e con qualsiasi fonte di calore; è proibito mangiare carne e latte insieme; è proibito trarre qualsiasi giovamento dalla mescolanza di carne e latte.

• Il latte e i suoi derivati sono kasher se derivati da animali kasher. La produzione di latte deve quindi essere effettuata e controllata da un ebreo osservante e competente sotto supervisione rabbinica dalla mungitura fino al confezionamento, per escludere totalmente la possibilità che venga mischiato con altro latte proveniente da animali proibiti.

• La professione del medico, secondo alcuni una delle professioni tradizionalmente ebraiche.

• Dal punto di vista normativo ebraico il ruolo del medico è fondamentale: egli ha il dovere di curare e di alleviare le sofferenze; così come ha il dovere di salvare una vita.

• Qualsiasi sostanza potenzialmente nociva, che possa mettere anche indirettamente in pericolo la salute, è proibita (droghe e simili). È proibito anche non esser sobri, desti e lucidi. Non ci si deve ubriacare.

• Il fumo, proibito da molte autorità rabbiniche.

• Regole nel caso di medicine che possano contenere sostanze proibite: se la sostanza proibita contenuta nel farmaco è diluita in una quantità tale che non se ne può percepire il gusto, se il farmaco ha un sapore sgradevole, se viene assunto in un modo da non poter percepire alcun sapore (cioè in capsule, purché non siano fatte di gelatina animale), non vi è in linea di massima alcun divieto.

• La gravità della malattia (generalmente sulla base di un parere medico) giustifica l’assunzione di sostanze proibite. Quando la vita è in pericolo, o può esserci il rischio di pericolo, ogni norma può (e deve) essere trasgredita.

• L’ebraismo si fonda sulle leggi della Torà attraverso l’interpretazione e la saggezza dei Rabbini, senza i quali il testo della Torà è spesso incomprensibile. In tal modo l’ebraismo si fonda su un minimo di rivelazione, Torà Scritta, e un massimo di interpretazione, Torà Orale.

• Le Mitzvot, azioni-guida, precetti, che si trovano alla base dell’ebraismo.

• Le Mitzvot generalmente possono essere classificate in due principali categorie: chukim, statuti la cui logica di fondo rimane sconosciuta per l’essere umano; e mishpatim, leggi comprensibili razionalmente per l’uomo.

• Le leggi della kasherut vanno sempre di pari passo con il resto delle leggi della Torà, in special modo con la proibizione della Rechilut e della Lashon HaRà: la proibizione della maldicenza.

• In base alla Halakhà (Legge Religiosa Ebraica) la protezione della vita e la tutela della salute sono obbligatorie. Questo obbligo, se è in gioco la vita dell’uomo, prevale su tutte le mitzvot della Torà.

• La tradizione rabbinica enumera nel Pentateuco 613 precetti, di cui 248 obblighi e 365 divieti. L’elencazione più autorevole è quella contenuta nel Sefer ha-Mitzwot (Libro dei Precetti) del Maimonide, il massimo filosofo ebreo e talmudista che la redasse nel 1170.

• Il concetto legale di “sofferenza degli animali”, detto Tza’ar Ba’alè Chayim. Appare nel Talmud.

• Indicazioni del principio secondo cui gli animali sono parti della Creazione Divina verso cui l’uomo ha delle responsabilità emergono in vari passi biblici: questi mettono in luce non solo il divieto di infliggere atti crudeli agli animali, ma anche il dovere di usare misericordia e bontà nei loro confronti.

• Di Shabbat è prescritto il riposo anche per gli animali. Nello stesso giorno si può chiedere a un non-ebreo di mungere la mucca allo scopo di alleviarne la sofferenza, ma il latte non può essere adoperato. Sempre di Shabbat è permesso, per la stessa ragione, aiutare un animale a partorire.

• La halakhà presa alla lettera afferma che è permesso infliggere sofferenze agli animali quando ciò risponde a una finalità legittima per l’uomo.

• La shechità, il metodo di uccisione o abbattimento degli animali a fini alimentari secondo la tradizione ebraica. L’obbligo della shechità si deriva da una mitzvà (comandamento) contenuto nel libro di Deuteronomio 12:21.

• La metodologia di abbattimento viene derivata dalla Legge Orale, la quale regola in modo dettagliato sia la tecnica stessa di macellazione sia l’idoneità a metterla in pratica. In linea di principio, ognuno può praticare la shechità, ma è invalso l’uso che non si macelli se non si abbia ottenuta l’autorizzazione da un Maestro. Il Maestro non autorizza a effettuare la shechità se non è sicuro che lo shochet (macellatore) conosca nel dettaglio le regole necessarie.

• Nel 1965, in Gran Bretagna, furono delineati i principali “diritti di base” degli animali domestici, più precisamente indicati come “libertà” degli animali stessi. Esse furono poi ridefinite, sempre in Gran Bretagna, dal Farm Animal Welfare Advisory Committee, diventato successivamente Farm Animal Welfare Council (FAWC) nel 1979, e sintetizzate nelle Cinque libertà degli animali oggi conosciute.

• Le Cinque libertà degli animali oggi conosciute: libertà dalla fame, dalla sete e dalla malnutrizione; libertà dalla costrizione di vivere in ambiente disagevole; libertà dal dolore, dalle lesioni, dalle malattie; libertà di esprimere un comportamento normale; libertà dalla paura.

• Le problematiche relative al “benessere animale” in sede di macellazione si focalizzano su: a) contenimento dell’animale pre-abbattimento; b) tecniche di stordimento e relative deroghe all’obbligo di stordimento; c) tecniche di abbattimento/giugulazione; d) gestione del dolore; e) valutazione dei tempi di incoscienza; f) morte dell’animale e inizio delle operazioni successive.

• La Ortodox Union (OU), guidata da Rav Menachem Genack, già allievo di Rav Joseph Soloveitchik. L’organizzazione supervisiona la kasherut di 6000 impianti in 83 paesi.

• Il chalaf, il coltello particolarmente affilato usato nella shechità. È proporzionale alla grandezza dell’animale, arrivando a una lunghezza di circa 45-48 cm per un vitello e di circa 55-60 cm per un bovino adulto. Queste misure, oltre allo spessore della lama e alla perfetta affilatura, permettono la recisione in un unico gesto di entrambe le giugulari e delle carotidi assicurando una rapidissima e massiva emorragia anche arteriosa.

• Il chalaf da shechità viene obbligatoriamente riaffilato e ricontrollato prima di ogni singola macellazione e gli shochatim sono sempre provvisti di un set di diversi coltelli e dell’affilatore allo scopo di assicurarsi sempre la disponibilità di uno strumento adatto.

• La corretta gestione della shechità comporta: 1) immobilizzazione non stressante per l’animale; 2) taglio rapido, netto, deciso (di entrambe le carotidi ed effettuato all’altezza della 1ª-2ª vertebra cervicale); 3) divieto assoluto di ulteriori manualità sull’animale sottoposto a shechità, sino alla verifica dell’avvenuta incoscienza, da controllarsi non prima di 30 secondi dal taglio (riflesso corneo-palpebrale) allo scopo di non indurre alcuna reazione nell’animale per un tempo ottimale; 4) verifica dei riflessi.

• La Danimarca, che ha vietato la shechità nel febbraio 2014.

• La kasherut è la parte della legge ebraica che ha a che fare con gli aspetti alimentari della religione ebraica, cioè con gli alimenti che a un ebreo è permesso o meno mangiare e come essi debbano essere preparati e consumati. Il termine kasherut deriva dalla radice ebraica Kaf-Shin-Resh, che significa appropriato, adatto o corretto. È la stessa radice della parola più comunemente nota kasher, che descrive il cibo che soddisfa questi standard.

• La salute non è l’unica ragione per le leggi alimentari ebraiche. Molte delle leggi della kasherut non hanno alcun legame noto con gli aspetti clinico-sanitari.

• Le leggi della kasherut si osservano semplicemente perché così richiede la Torà. La Torà non rende esplicita alcuna motivazione e per un ebreo ortodosso e osservante non esiste la necessità di ulteriori spiegazioni. Secondo alcuni, le regole della kasherut rientrano nella categoria dei chukkim, i precetti per i quali non vi è alcuna ragione se non quella di dimostrare la nostra obbedienza a Dio. Altri, invece, hanno cercato di accertare motivazioni diverse per l’imposizione di queste leggi.

• Di norma il prodotto kasher, prima di essere immesso sul mercato, viene contrassegnato mediante l’apposizione di uno speciale marchio di certificazione (detto hechsher) rilasciato da chi ha effettuato i controlli.

• Tra le informazioni riportate dalla marcatura essenziali per il consumo kasher: la presenza di carne o latticini, o di nessuno dei due (parve), se il prodotto è senza lieviti (kasher-le-Pesach), se il prodotto è stato cotto da un ebreo (pas yisroel o bishul yisroel), se il latte è stato munto sotto supervisione (cholov yisroel) e altro ancora.

• Il sito internet www.hechshers.info in cui sono elencate centinaia di autorità religiose che in tutto il mondo svolgono attività di certificazione sui marchi kasher.

• In ambito ebraico il valore della certificazione kasher dipende in massima parte dalla reputazione del certificatore: l’autorità di certificazione deve godere di un’indiscussa notorietà e riconoscimento. Ne consegue che le autorità rabbiniche di certificazione debbano necessariamente essere espressione di una triplice competenza: talmudica, chimica e tecnologica.

• Perché gli americani comprano kasher: 55% – salute e sicurezza; 38% – consumatori vegetariani; 16% – consumatori halal (legge islamica); 35% – scelta di gusto e sapore; 16% – esistenza di line-guida di produzione; 8% – prodotti di qualità; 8% – consumatori strettamente kasher; 8% – ricerca di prodotti vegetariani per ragioni religiose e/o dietetiche.

• In gran parte d’Europa e soprattutto nelle terre tedesche, dove l’allevamento e il consumo della carne suina avevano una rilevanza alimentare fondamentale, a partire dal Medioevo e nel corso del Rinascimento fino all’Età Moderna gli ebrei avevano sostituito il maiale con l’oca.

• Intorno al Cinquecento, si cucinavano le tzimmes o carote dolci (dal tedesco zummus, composta vegetale), tagliate in fette sottili, cotte a lungo nel grasso dell’oca e nel miele e coperte di zucchero e cannella. Le rotelle di carota, che al termine della cottura assumevano il colore dorato e brunito delle monete, erano prese a simbolo della fortuna negli affari e della prosperità economica.

• Le uova, un alimento onnipresente e sfruttato fino all’abuso nella cucina ebraica nelle sue diverse varianti, sode o affrittellate, sbattute, strapazzate o ripiene, salate, piccanti o dolci.

• Le orecchiette, la pasta tipica della Puglia. Le sue origini sarebbero da ricercare non nelle terre pugliesi ma in Provenza, dove fin dal Medioevo si produceva una pasta molto simile, spessa e a forma di piccoli dischi, scavata al centro mediante la pressione del pollice. Le orecchiette sarebbero giunte in Puglia per la prima volta nel territorio di Sannicandro di Bari tra il XII e il XIII secolo, durante la dominazione normanno-sveva. La loro importazione in terra pugliese sarebbe da collegarsi alla presenza delle comunità ebraiche, dove in quel periodo la componente provenzale era molto significativa.

• La cucina ebraica si può suddividere a grandi linee in ashkenazita e sefardita, così come il popolo ebraico si può distinguere in ashkenaziti e sefarditi. Ashkenaz in ebraico significa tedesco; Sefarad significa Spagna.

• Sono askenaziti tutti gli ebrei che provengono dalla Germania, dall’Europa orientale e dalla Russia, paesi di cultura e religione prevalentemente cristiana. La definizione di sefardita è più elastica perché mentre da principio indicava solo gli ebrei originari della Spagna, oggi include tutti gli ebrei vissuti attorno al bacino del Mediterraneo, in Medioriente e in Asia; in numerosi di questi paesi predominava la cultura e la religione islamica.

• Challà, la morbida treccia di pane, e vino sono gli unici alimenti che accomunano tutti gli ebrei del mondo.

• Maimonide, rabbino e medico spagnolo (1135-1204). Nel 1198 scrisse il trattato El regimen de salud (Trattato sull’igiene) su richiesta del sultano Malik al-Afdal, figlio di Saladino, che glielo commissionò per avere consigli per risolvere i suoi malesseri, indigestioni e “pensieri negativi”.

• Tradizionalmente la carne era considerata simbolo di benessere e ricchezza e dunque molto apprezzata. In molti paesi dell’Est vi erano apposite tasse sulla carne, una per le casse dello Stato e un’altra per la comunità ebraica. In tutte le ricette locali che prevedevano carne di maiale, gli ebrei la sostituirono con altri tipi di animali.

• Per quanto riguarda il manzo, tritare il muscolo o cuocerlo per lungo tempo serviva ad ammorbidirne le fibre muscolari indurite dalle tecniche di kasherizzazione. Originaria della cucina di Baghdad, poi adottata in Germania nel Medioevo, ovunque gli ebrei avevano l’abitudine di cucinare il manzo con la frutta creando pietanze agrodolci.

• Agnello e montone erano le specie più diffuse in oriente ma riservate alle festività.

• Il consumo di pollo è tutt’oggi molto diffuso nella cucina ebraica nonostante abbia un valore diverso dai tempi passati.

• Per gli ebrei di qualunque provenienza il pesce era simbolo di buon augurio e fertilità. Come ogni cibo prelibato veniva riservato per la cena del venerdì sera.

• Il riso, il cereale più consumato in tutto il Medioriente. Accompagna ogni piatto caldo al venerdì sera e freddo al sabato.

• I piatti a base di latte erano più diffusi nelle comunità sefardite che in quelle ashkenazite per la maggior disponibilità di bestie da latte: pecore, capre, mucche e bufali. Nei paesi caldi si consumava molto yogurt, col miele, con la frutta o con la verdura fritta.

• I tipici dessert della tradizione ebraica sono parve ossia non contengono burro, latte e panna. Questo per rispettare le regole della kasherut che prevedono di non mischiare carne e latte nello stesso pasto.

• Il vino è la bevanda sacra per eccellenza, presente in ogni occasione che celebri la vita nei suoi momenti più importanti e in tutte le festività religiose. Al di fuori di queste occasioni, gli ebrei non sono mai stati grandi bevitori di vino seppure fin dal Medioevo, in Francia e in Spagna, fossero coinvolti nel lavoro delle vigne e nel commercio del vino.

• Alcune curiosità tratte da El regimen de salud di Maimonide del 1198:
• Mangiare le mele prima del pasto, sono un blando lassativo;
• Le prugne sono un buon purgante se mangiate prima dei
pasti;
• Il melone è diuretico, ripulisce le vene ed è facilmente digeribile;
• I fichi e l’uva sono i frutti che fanno meno male;
• L’albicocca è uno dei peggiori frutti;
• La pesca è il peggior frutto, può causare cambi di umore;
• Un bicchiere di succo di melograno è consigliato dopo il pasto;
• Gli spinaci fanno bene contro la stitichezza;
• La melanzana non fa bene all’uomo;
• I fagioli sono sconsigliati perché intorpidiscono la mente;
• Il formaggio è dannoso per il contenuto di grassi, a eccezione del formaggio bianco;
• L’olio di oliva è buono da usare come condimento;
• Il miele è un buon alimento per gli anziani;
• È bene usare la frutta secca per integrare alcune pietanze, fa bene al fegato;
• La carne di capretto è ottima, aiuta a prevenire le malattie nervose;
• Il vino, il migliore tra gli alimenti, è nutriente, favorisce la digestione e fa bene.

• Il vino è uno dei componenti essenziali nei servizi sacramentali ebraici, sia in casa sia in sinagoga e assume un valore specifico legato alla celebrazione delle festività e degli altri eventi del ciclo della vita. Gli ebrei, per primi, hanno regolato ogni aspetto legato alla produzione del vino.

• I vini kasher non richiedono vigneti di proprietà ebraica. La normativa ebraica entra in vigore dal momento della pigiatura delle uve, quando inizia il processo di vinificazione.

• Tre regole fondamentali che sovrintendono la coltivazione in Terra d’Israele: a) Orlah: nei primi tre anni è vietato raccogliere i grappoli; b) Shmitah: ogni sette anni la vite deve essere lasciata riposare e non se ne possono raccogliere i frutti. Nella prassi spesso capita che i grappoli d’uva vengano effettivamente raccolti ma non destinati alla produzione di vino kasher; c) Kilai Hakerem: non sono consentite colture promiscue e dunque tra i filari della vigna non possono essere coltivate piante da frutta o altro.

• Nella fase tipicamente di vinificazione, il vino può essere trattato esclusivamente da ebrei osservanti (che rispettano l’osservanza del sabato) ed è questa accortezza, insieme all’osservanza di altre regole, a renderlo kasher.

• Prima della vendemmia il rabbino e i suoi collaboratori procedono a un’accurata pulizia e bonifica di tutti i macchinari che verranno utilizzati per la produzione del vino.

• Tutte le botti devono essere nuove o utilizzate esclusivamente per la produzione di vini kasher. Nessuna botte usata per la produzione di vini non kasher può essere utilizzata per la vinificazione kasher.

• Nella tradizione ebraica la classificazione del vino dipende dalla condizione di chi ne entra in contatto, volontariamente o involontariamente. La Torah proibisce espressamente il vino consacrato a divinità straniere, detto yayin nèesekh: il divieto non riguarda solo il consumo alimentare, ma qualsiasi tipo di vantaggio personale dal commercio all’uso terapeutico.

• Esistono due diverse tipologie di vino kasher: a) Mevushal (in ebraico, cotto), è il vino che, dopo la sua apertura, può essere maneggiato o versato da chiunque; b) Lo mevushal (non sottoposto a cottura) è il vino che, dopo la sua apertura, può essere maneggiato o versato solo da ebrei osservanti per mantenere intatta la sua purezza religiosa.

• Durante lo Shabbat, il sabato ebraico, che inizia al tramonto del venerdì e termina allo spuntare delle tre stelle del giorno successivo, sulla tavola sabbatica dominano i lumi dello Shabbat, le challot (i due pani intrecciati) e un calice per il vino, che deve essere riempito fino all’orlo e sorseggiato da tutti i presenti al termine della preghiera.

• Nel corso della cena rituale (Seder) di Pesach, i calici da bere sono quattro e simboleggiano le espressioni di salvezza e riscatto che accompagnano la liberazione degli ebrei dalla schiavitù dell’Egitto. Il primo calice è tutto di vino bianco, il secondo di vino bianco misto a rosso; il terzo è metà bianco e metà rosso e il quarto è tutto di vino rosso.