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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

ACQUISIZIONI, NON SOLO PREDE BUZZI, DE AGOSTINI, SIGMATAU A COMPRARE SONO GLI ITALIANI

Cedere il controllo e rinunciare alla bandiera dell’italianità per continuare a crescere, con la garanzia della salvaguardia dei posti di lavoro e la doppia promessa dello sviluppo del marchio e del mantenimento del centro ricerca. Sono alcuni dei presupposti su cui si basa l’operazione con cui la Pirelli sta facendo spazio nel capitale a un nuovo azionista di maggioranza, la cinese ChemChina, permettendo però nello stesso tempo al suo numero uno Marco Tronchetti Provera di restare al comando della gestione fino al 2021. Si tratta soltanto dell’ultimo esempio degli ultimi mesi di perdita dell’italianità di uno storico gruppo dell’industria tricolore. E’ accaduto, solo per citare alcuni esempi, con Parmalat, Bulgari, il settore trasporti di Finmeccanica, le squadre dell’Inter e della As Roma. E sta accadendo proprio in questi giorni con Pininfarina, per la quale l’azienda stessa ha confermato che si tratta la cessione agli indiani di Mahindra, e con il Milan, che potrebbe finire in mano a una cordata asiatica. Ma se, da una parte, ci sono imprenditori che per fare fronte a una concorrenza sempre più agguerrita e dalle spalle più larghe cedono il bastone del controllo (nella maggior parte dei casi monetizzando l’investimento), dall’altra, c’è chi si muove controcorrente. E tenta di affrontare un contesto di mercato completamente cambiato comprando altre società e unendo le forze, così da evitare di diventare facile preda degli appetiti stranieri. L’esempio più eclatante è quello dell’italiana Gtech, la ex Lottomatica, che ha appena comprato la statunitense International Game Technology (Igt) nell’ambito di un’operazione da 6,4 miliardi di dollari (dato che comprende anche il debito da 1,75 miliardi di Igt) e che si appresta, in virtù della nuova struttura, a trasferire la sede legale a Londra. Gtech, tuttavia, rappresenta un po’ un caso estremo, così come anche la Fiat, che da quando ha rilevato l’americana Chrysler si è trasformata in un gruppo dal respiro internazionale e dalla sede legale pure nel Regno Unito. A parte la ex Lottomatica e Fca (Fiat Chrysler Automobiles), le cronache finanziarie degli ultimi mesi non fanno che raccontare del consolidamento che il mercato italiano sta attraversando in tutti i suoi principali settori. Tra accordi già raggiunti, offerte pubbliche di acquisto di società in Borsa più o meno in corso, dossier già sottoposti ai diretti interessati, l’elenco si sta allungando di giorno in giorno. E chiama in causa grandi gruppi, come nel caso delle nozze - che a questo giro pare siano davvero imminenti - tra le compagnie delle telecomunicazioni Wind e 3 Italia, di origini rispettivamente russa e cinese, oppure nel caso della società cementiera Buzzi Unicem, che proprio in questi giorni sta mettendo le mani sull’italiana Sacci al prezzo di 120 milioni. Non si può, poi, ignorare l’iperattività della famiglia dell’ex premier Silvio Berlusconi, attiva su due fronti: da una parte, attraverso la Mondadori, per comprare la divisione libri del gruppo editoriale Rcs; dall’altra, tramite Ei Towers, che a sua volta fa capo a Mediaset, per rilevare le torri di trasmissione di Rai Way, quotata in Borsa e controllata dall’omonimo gruppo della televisione di Stato. La febbre di consolidamento è rivolta sia all’estero sia in Italia. La società di consulenza Boston Consulting Group, per esempio, ha passato in rassegna i gruppi di casa nostra che nel 2014 si sono lanciati in grandi acquisizioni oltre confine, per scoprire che le prime dieci operazioni dell’anno scorso valgono 815 milioni. Tra queste, spiccano quella con cui l’azienda del gas Snam ha rilevato l’84% di Trans Austria Gasleitung per 530 milioni e quella con cui il gruppo dell’aperitivo Campari ha comprato la canadese Forty Creek Distillery per 120 milioni. Ma la spinta alle aggregazioni interessa anche aziende di dimensioni minori. E’ il caso delle aziende farmaceutiche Alfa Wassermann e Sigma-Tau, che a dispetto del nome sono italianissime e che hanno appena annunciato un matrimonio che darà vita a un gruppo con un fatturato da oltre 900 milioni di euro e un organico di circa 2.800 dipendenti. Sebbene, in generale, i numeri non sostengano ancora la tesi di una ripresa del fenomeno dell’M&A (fusioni e acquisizioni) in Italia, anche perché molte operazioni sono solo alla fase iniziale, la tendenza è in atto. Lo conferma Donato Iacovone, amministratore delegato di E&Y (come viene chiamata ora la storica società di consulenza Ernst&Young): «Non c’è dubbio che il sentiment sia cambiato per più di un motivo. Innanzi tutto, c’è un ritorno di fiducia da parte degli investitori esteri nei confronti del nostro paese che inevitabilmente sta contagiando anche gli imprenditori. Poi ci sono almeno due aspetti finanziari di cui tenere conto: i tassi ai minimi e i prezzi quanto mai convenienti. Finalmente le nostre imprese hanno capito che le dimensioni non solo contano ma possono trasformarsi in un innegabile vantaggio competitivo». E tra i settori che a breve potrebbero essere coinvolti, Iacovone vede in prima posizione l’agroalimentare: «Non lo dico per l’imminente partenza di Expo che farà sicuramente da traino a tutta la filiera dei prodotti del made in Italy, ma perché soltanto nel nostro Paese si riesce a unire qualità e gusto. La dimostrazione è un interesse molto forte in arrivo, per esempio, dagli Stati Uniti. In Italia, poi, ora esiste la possibilità di dare vita a dei poli aggreganti». Che in questa fase l’attenzione per il settore del cibo sia alta lo conferma la nascita del fondo lanciato dal gruppo De Agostini “Idea Taste of Italy”, ai cui vertici siedono anche Oscar Farinetti (Eataly), Claudia Limonta (Rovagnati) e Daniela Ferrero (Venchi). Il veicolo si propone di agire come un private equity dedicato all’agroalimentare. Tra l’altro, va segnalato come nel comparto del cibo ci siano gruppi come la Ferrero e la Barilla che, a forza di piccole acquisizioni negli anni, fino a ora sono sempre riuscite a mantenere la loro autonomia, senza rispondere alle sirene dei grandi concorrenti esteri. Ma in questa fase c’è movimento anche nel comparto aeroportuale. In primo luogo perché si sta perfezionando la fusione tra Aeroporto di Firenze (Adf) e Società Aeroporto Toscano (Sat), i due gruppi controllati da Corporacion America, la holding attiva in diversi settori che fa capo alla famiglia argentina Eurnekian. E in seconda battuta perché il fondo delle infrastrutture F2i punta a rafforzarsi ulteriormente nel settore aeroportuale sfruttando le quote degli scali messe in vendita dagli enti locali. Vanno poi segnalati altri due settori che dovrebbero conoscere a breve la loro stagione di consolidamento. Tanto per cominciare, quello bancario, sulla spinta della riforma delle Popolari appena diventata legge. Vanno poi monitorati attentamente il comparto delle energie rinnovabili, nonché il variegato mondo delle utility locali e delle società controllate dalle amministrazioni pubbliche, non appena il governo riprenderà in mano il dossier con il quale intende ridurre da 8 mila a non più di mille le ex municipalizzate. E a proposito di Stato, negli ultimi mesi è apparsa un po’ silente l’istituzione finanziaria creata dal Governo per sostenere la crescita e l’internazionalizzazione delle aziende italiane proprio attraverso operazioni di M&A. Si tratta del Fondo Strategico controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), la cui ultima operazione risale ormai all’autunno scorso con l’ingresso nella filiale italiana del gruppo alberghiero inglese Roccoforte come primo passo per lo sviluppo del settore turistico. Il Fondo diretto dall’ex banchiere Maurizio Tamagnini, a quanto risulta, ha esaminato molti dossier, ma al momento nessuno di questi sarebbe in fase di avvio concreto. E questo nonostante le munizioni a disposizione pari a oltre 6 miliardi di euro e una joint venture creata con il fondo sovrano del Qatar proprio per investire nelle eccellenze del made in Italy. A frenare l’operato del Fondo Strategico è senza dubbio il limite per il quale non può investire in società in perdita, anche se con buone potenzialità una volta risanate. Ma c’è chi indica anche la mancanza di un indirizzo di politica industriale da parte del governo che contenga una indicazione dei settori sui quali sarebbe meglio puntare e investire. Intanto nel troppo frammentato settore del turismo comincia a muoversi anche il privato. Sono in corso trattative tra Atahotels controllata da Unipol (eredità della Fonsai dei Ligresti) e la Una Hotels per formare un gruppo di maggiori dimensioni, che potrebbe essere un polo per ulteriori aggregazioni.
Luca Pagni Carlotta Scozzari, Affari&Finanza – la Repubblica 30/3/2015