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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

POPOLARI A CACCIA DI SOCI FORTI PER UN RISIKO DA 750 MILIARDI

Due banche in cerca d’autore, Montepaschi e Carige, quattordici banche commissariate, tra le quali Banca Marche e Popolare dell’Etruria, dieci banche popolari che entro la fine del 2016 dovranno trasformarsi in spa, casse di risparmio minori, Unipol Banca. In tutto a larghe spanne sono oltre 750 miliardi di euro di attivi bancari che dall’estate entreranno nel frullatore di una ristrutturazione che segnerà le caratteristiche del sistema creditizio italiano per molti anni a venire. A guidare la danza saranno le popolari che si trasformano in società per azioni e in particolare le quattro maggiori: Ubi, Banco Popolare, Popolare di Milano e Bper. I quattro cantoni di questa singolare partita sono quindi BergamoBrescia, Verona, Milano e Modena. I l motivo per il quale la prima fase del campionato saranno loro a giocarla è che possono scegliere, e la ragione per la quale possono scegliere è che, quale più quale meno, hanno capitale in eccesso rispetto alle richieste della Bce e quindi possono fare da aggregatori. Le altre, perché non hanno le risorse o le dimensioni, subiranno o avranno la possibilità di fare la loro scelta nella fase successiva.
I TEMPI
Sarà un campionato complicato perché le opzioni sono molte e le variabili che determineranno le scelte altrettante. I tempi istituzionali per il fischio di avvio sono 18 mesi dalla pubblicazione da parte della Banca d’Italia delle regole da applicare per la trasformazione delle dieci popolari in spa. Via Nazionale ha assicurato che sarà rapida, quindi possiamo immaginare che la prima palla sarà toccata certamente entro la fine del 2016. I tempi delle scelte invece saranno probabilmente assai più stretti perché la prima tra le quattro che abbiamo sopra indicato che farà la sua scelta e troverà il consenso della controparte su di essa, avrà già dimezzato il campo delle opzioni possibili per le altre due.
LE SCELTE
A parte Montepaschi, Carige e le banche commissariate, che non hanno realisticamente la possibilità di restare da sole, le dieci popolari, e soprattutto le prime quattro almeno in teoria questa possibilità ce l’hanno. Il motivo per il quale molto probabilmente non faranno questa scelta è che una volta persa la natura cooperativa per quella di società per azioni saranno facilmente scalabili, tanto più che proprio la loro storia di cooperative ha impedito che si formassero noccioli duri consistenti di azionisti che possano sostenerle di fronte ad un attacco esterno. Ciascuna ha decine di migliaia di soci, e se qualcuno di questi soci ha pacchetti consistenti nessuno di quei pacchetti (anche mettendoli insieme) ha dimensioni sufficienti. Hanno anche investitori istituzionali con presenze rilevanti, ma è difficile considerare i fondi “azionisti da nocciolo duro”. Crescere di dimensione è quindi la prima strada che saranno tentate di percorrere, per questa ragione e anche per una seconda, che è poi quella che ha spinto la Bce, la Banca d’Italia e il governo Renzi a varare il decreto che le trasformerà in spa. Questa seconda ragione è che con i tassi così bassi fare utili è difficile senza sostanziali economie di scala, e con le dimensioni che oggi hanno anche le maggiori tra le popolari, è difficile aggredire le attività oggi più redditizie, quindi per esempio seguire l’internazionalizzazione delle imprese oppure gestire da asset manager i risparmi degli imprenditori. Quindi diventare più grandi è importante da una parte per difendersi e dall’altra per fare economie di scala e aggredire le attività che stanno più in alto nella catena del valore, quindi migliorare la redditività e aumentare la possibilità di accedere al mercato dei capitali. Elemento quest’ultimo particolarmente importante in un clima regolatorio che chiede requisiti patrimoniali sempre più elevati. Il sillogismo che ispira il sistema è in questa fase quindi il seguente: le regole spingono per patrimoni più solidi, quindi per aumentare il credito all’economia ci vogliono banche robuste. Ma per rafforzarsi patrimonialmente devono essere redditizie, e poiché per guadagnare di più devono avere costi più bassi e dare servizi a maggiore valore aggiunto, l’unica strada è crescere di dimensione.
I MATRIMONI
Visto che stare soli diventa difficile possiamo immaginare che i matrimoni saranno all’ordine del giorno, e qui si può procedere per fusioni (che a volte maschereranno acquisizioni) oppure accettare l’idea di essere comprati da qualche colosso estero. La scommessa che possiamo fare è che almeno le quattro popolari maggiori proveranno la strada delle nozze prima di rassegnarsi ad altri destini. Volendo sposarsi tuttavia la scelta del partner non è semplice. In passato si usavano i matrimoni combinati (vedi tra i più recenti Unicredit-Capitalia e Verona-Lodi), ma oggi non c’è moral suation che riesca a convincere una banca e mettersi sulle spalle guai altrui. In più, almeno fino al 2007, comprare era per certi versi più semplice: si compravano reti di distribuzione, ovvero sportelli, pezzi di geografia per allargare il proprio perimetro territoriale. Oggi il problema con gli sportelli è come chiuderli, e quando si sceglie un partner entrano in gioco fattori assai più complessi. Contano la dimensione e la qualità del patrimonio, la situazione di liquidità, la qualità degli attivi, la dimensione e i tempi delle sospirate sinergie (essenzialmente quante persone si possono mandare in pensione, in quanto tempo e con quali costi). Poi entrano in gioco le sovrapposizioni territoriali, il modello di banca che si intende perseguire, la dinamicità dei territori che si vanno a inglobare e, niente affatto ultimi, le aspirazioni personali degli uomini di vertice e i sistemi di potere e gli interessi locali che ci sono dietro ogni sede centrale di una banca. In questo quadro così complicato per il momento quelli che si danno più da fare sono i consulenti e le banche di affari, che riempiono le agende dei banchieri e riempiono i loro tavoli di piani, simulazioni e ipotesi. Decisioni ufficiali non le ha prese nessuno e anche gli orientamenti sono al momento preferenze personali, nulla di più.
LA BELLA DELLA CLASSE
Stando a quello che è stato detto pubblicamente o nelle segrete stanze, la bella della classe, quella con la quale tutti vorrebbero convolare è la Popolare di Milano. L’amministratore delegato del Banco Popolare Pierfrancesco Saviotti lo ha detto pubblicamente, gli amministratori delegati di Ubi e Bper non lo hanno detto ma i loro uomini lo hanno quantomeno intuito. Bpm è la più piccola delle grandi, ha un posizionamento ideale in Lombardia, è contigua territorialmente a tutte e tre, e in più sta ben messa con circa 700 milioni di patrimonio eccedente dopo gli stress test della Bce. Anche Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Bpm, guarda con interesse a Verona, perché i due gruppi insieme sarebbero fortissimi in Lombardia e forti anche in tutto il Nord Ovest e un pezzo del Nord Est. In più Saviotti è vicino alla pensione e per il posto di amministratore delegato dopo l’eventuale fusione non ci sarebbero duelli rusticani. Nonostante l’attrazione reciproca dei due ceo, il matrimonio tuttavia non sarà affatto facile. Il presidente del Banco Popolare Carlo Fratta Pasini non si è pronunciato, ma a Verona si dice che la sua prima scelta sarebbe la contigua Ubi, che è grande quasi quanto il Banco (metterebbero insieme quasi 250 miliardi di attivi), è molto solida e non sposterebbe su Milano i centri di potere della banca, preoccupazione non solo del presidente ma anche l’imprenditoria veronese importante azionista dell’istituto. Insieme poi, Ubi e Banco Popolare avrebbero maggior forza per ingoiare il boccone più impegnativo, il Montepaschi, che ha attivi per 183 miliardi. Tutte e tre le banche arriverebbero a 440 miliardi, il che ne farebbe la terza grande banca italiana non lontanissima da IntesaSanpaolo che di attivi ne ha 646.
I MATRIMONI
Questo è il progetto più ambizioso, che nessuno osa ancora neppure formulare. La seconda opzione per livello di ambizione, anch’essa assai impegnativa, è che Ubi si faccia da sola il suo Montepaschi e Banco Popolare convogli con Milano e con Bper. L’Italia avrebbe così dietro alle due big (Unicredito e IntesSanpaolo) un gruppo – Ubi-Mps – con oltre 300 miliardi di attivi e subito dietro un secondo gruppo – Banco Popolare-Bper-Bpm – con poco più di 230 miliardi di attivi. Queste sono le ipotesi più complicate. Anche se c’è qualcuno che ipotizza di mettere insieme addirittura tutte e quattro le grandi popolari, una operazione di sistema difficilissima per tante ragioni, compreso il numero eccessivo di galli nel pollaio. A parte queste ipotesi particolarmente ambiziose, tutti gli incroci sono possibili, comprese le nozze tra Bper e Milano, che a qualcuno sembra l’ipotesi più facile, che potrebbe essere la base per ulteriori aggregazioni minori successive per raggiungere una dimensione che ormai tutti pensano dovrebbe almeno avvicinarsi a 200 miliardi di attivi. Dal punto di vista del sistema infatti i problemi da risolvere sono almeno due: trovare casa a Mps, Carige, Popolare Etruria e Banca Marche, più le commissariate più piccole), e avere almeno una ma ancora meglio due altre grandi banche nazionali oltre a Intesa e Unicredito, come è negli altri paesi europei comparabili, dove di gruppi in grado di sostenere i grandi investimenti ce ne sono almeno tre o quattro.
IL SECONDO GIRONE
Quando avremo le idee chiare sul girone di andata del campionato si passerà alla fase due, che coinvolgerà le popolari minori e il resto del sistema. Credito Valtellinese e Popolare di Sondrio per esempio dovranno decidere se mettersi insieme o no ed eventualmente da sole o in coppia a quale gruppo maggiore aggregarsi, i poli che nasceranno dovranno poi valutare i rispettivi interessi per Carige, Banca Marche, Popolare Etruria. E le tre popolari non quotate che diventeranno spa, prima di entrare nel gioco grosso dovranno risolvere i problemi in casa, il più importante dei quali è il livello della capitalizzazione, che fino ad ora è stato fissato dalle assemblee e che risulta decisamente superiore a quello degli istituti comparabili. Una volta che tutte queste caselle andranno a posto i poli maggiori finiranno probabilmente per attirare i gruppi minori nella loro orbita, chiudendo questo ennesimo ciclo di riassetto e consolidamento del sistema bancario italiano.
A CACCIA DI SOCI FORTI
I pochi mesi che precederanno le prime scelte saranno però assai importanti per tutti. Per due ragioni: la prima è che per i titoli delle quotate il decreto del governo ha avuto l’effetto di deformare i valori relativi. Tutte le azioni sono salite molto, ma le più piccole, considerate prede, sono salite più delle più grandi, considerate predatrici, e quando si tratterà di decidere i concambi questo squilibrio potrebbe pesare. La seconda ragione è che le popolari non hanno oggi noccioli duri di azionisti. Quando arriverà il momento delle negoziazioni presidenti e ceo che avranno dietro le spalle azionisti di peso avranno più forza di chi invece non le ha. E infatti grandi e piccoli hanno già cominciato il corteggiamento. I corteggiati saranno soprattutto le fondazioni ex bancarie, a cominciare da Compagnia di Sanpaolo, Cariverona, Caripadova, Carifirenze e Cariparma, che in base alla recente autoregolamentazione negoziata con il Ministero dell’Economia dovranno ridurre le rispettive quote nelle banche conferitarie e si troveranno svariati milioni di euro da reinvestire. Molta corteggiata è anche Unipol, che può mettere sul piatto della bilancia la sua banca (300 sportelli e 13 miliardi di attivi) e anche un po’ di contante offrendosi come socio forte di fronte a progetti industriali credibili. Potrebbero entrare in gioco anche fondazioni minori portando in dote le loro Casse di Risparmio a volte traballanti offrendo però anche una stabilità azionaria di lungo periodo. Nei prossimi mesi il pre-campionato, se così vogliamo chiamarlo, sarà questo, già dall’estate cominceremo a vedere chi ha tessuto di più.
Marco Panara, Affari&Finanza – la Repubblica 30/3/2015