Francesco La Licata, La Stampa 29/3/2015, 29 marzo 2015
L’INARRESTABILE DECLINO DI COSA NOSTRA QUELLA «VITA NORMALE» NEL NOME DEL PADRE
Angelo Provenzano è un ragazzo sveglio. Nelle poche occasioni in cui ha incontrato i giornalisti ha dimostrato una buona qualità di ragionamento, basando la comprensibile difesa del padre con argomentazioni abili, come l’aspirazione a una «vita normale» per il figlio di un uomo che fu, forse, mafioso, ma grazie a uno Stato che per anni gliel’ha permesso. L’ultima che si è inventata è l’arte di raccontare il padre - che lui considera morto anche se ancora respira - e il suo rapporto col genitore.
Questi racconti li riserva ai turisti bostoniani in visita in Sicilia. In attesa degli immancabili rimbrotti scandalizzati di rito, si possono azzardare poche riflessioni, anche perché non conosciamo le risposte che il giovane rampollo offre ai curiosi turisti, vittime del fascino del male. La prima: non si sa quanto consapevolmente, Angelo Provenzano contribuisca a certificare l’inarrestabile declino della mafia, offrendosi nell’identico ruolo che ebbero gli indiani d’America quando lasciarono le praterie per chiudersi dentro i tendoni di un circo equestre. La seconda: dice di farlo per vocazione all’industria del turismo e per provare a ritagliarsi una «vita normale». Ma gli sembra normale, il mestiere che si è scelto, senza mai una parola critica nei confronti del mondo di suo padre? Forse i turisti apprezzerebbero ascoltare, dalla sua voce, le storie delle vittime di Cosa nostra. Anche per sapere cosa pensa di quel bagno di sangue.
Francesco La Licata, La Stampa 29/3/2015