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 2015  marzo 29 Domenica calendario

«IO, MEDICO CON IL VELO, COSÌ CONCILIO ISLAM E LIBERTÀ»

Nel suo contratto prematrimoniale Maryam stabilì due condizioni: potersi dedicare senza limitazioni agli studi e al lavoro. Ventisei pretendenti rinunciarono alla sua mano, il ventisettesimo rimase. Oggi la dottoressa Maryam Matar è tra i medici più stimati dell’Emirato di Dubai, direttrice dell’Associazione per le malattie genetiche, prima donna Sottosegretario di Stato per la Sanità.
Una giovane donna di potere alle prese con le contraddizioni della Dubai dell’arte e dei grattacieli, oasi di contaminazioni culturali e laboratorio di una modernità che s’innesta su una struttura sociale tribale ancorata ai valori tradizionali dell’Islam. Un pugno di dune sabbiose dove si pescavano le perle sulla via per l’India, stravolto dalla corsa al lusso dopo le scoperte dei giacimenti petroliferi negli anni Sessanta e diventato crocevia delle rotte finanziarie. In questo contesto la generazione di Maryam, classe ’75, è cresciuta tra nostalgie identitarie e fughe in avanti in stile occidentale, inseguendo il cambiamento senza strappi.
Modulare femminilità ed emancipazione, cambiare senza perdersi è la sfida per le donne nel mondo arabo musulmano oggi, cosa significa viverla quotidianamente?
«È un mondo complesso e variegato, io sono stata fortunata a poter seguire la mia strada grazie all’apertura e al pluralismo di Dubai, una realtà molto diversa dall’Arabia Saudita o dall’Egitto. Sono cresciuta tra amici hindu, ebrei e cristiani, la forza del nostro Paese è la diversità. Ma esistono anche grandi resistenze, chi percorre il deserto a dorso di cammello non passerà all’auto dall’oggi al domani. Rispettare le tradizioni è un modo per rispettare se stessi. Per una donna avere coscienza di sé significa saper dominare il proprio fascino e la forza che la femminilità può avere anche nelle sedi decisionali. Toccando le note giuste, una voce morbida può dirigere l’intera sinfonia».
La libertà sta quindi nel valorizzare, non nell’azzerare, le differenze.
«Le racconto una storia. Quando la maggiore delle mie sorelle ebbe la prima mestruazione, nostra madre ci portò in un negozio di gioielli. Ci fece guardare quelli in vetrina, poi chiese che ci venissero mostrate le pietre più preziose. Il proprietario andò nel retro e tornò con uno scrigno di zaffiri, diamanti e rubini, infinitamente più belli di quelli esposti. La sera a cena baba (papà) ci spiegò che da quel momento nostra sorella diventava uno splendido gioiello, da coprire con il velo come il rubino nello scrigno. Dopo il matrimonio sarebbe stato suo marito a decidere se continuare a coprirla. Ci sentimmo fiere di essere donne».
Ma il corpo consegnato dal padre al marito viene sottratto al libero arbitrio della donna e diventa spazio politico...
«Non sta a me dire cosa sia giusto e cosa sbagliato, ma il rapporto tra uomo e donna non dev’essere necessariamente mosso dal conflitto e dalla competizione, piuttosto improntato alla complementarietà e al rispetto di ruoli che si rafforzano a vicenda. All’inizio del mio percorso visitai la regione di Ras Al Khaima per una campagna di screening. Era difficile convincere le donne a farsi visitare e capii che prima dovevo conquistare la fiducia del capo tribù. La ottenni spiegandogli con semplicità le questioni mediche ma anche mostrandogli rispetto con il mio abbigliamento tradizionale. Alla fine mi autorizzò a visitare sia le donne che gli uomini».
Strategia o convinzione?
«Entrambe. Troppo spesso ci sentiamo vittime di sistemi che potremmo cambiare dall’interno con la conoscenza. Gli Emirati sono la prima nazione araba per parità di genere. A questo si arriva investendo sull’istruzione delle ragazze, e dei ragazzi. Gentiluomini si diventa».