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 2015  marzo 29 Domenica calendario

NEGLI USA NON AVREBBE POTUTO LAVORARE

DAL NOSTRO INVIATO DÜSSELDORF La licenza di pilota di aerolinea di Andreas Kubitz era frutto solo dell’addestramento effettuato nella scuola della Lufthansa. Al contrario di informazioni circolate nei giorni scorsi, il ventisettenne che martedì scorso ha schiantato l’A320 sulle Alpi francesi non è mai stato qualificato come pilota di linea dalla Faa americana. A quanto risulta al Corriere , la Federal Aviation Administration negli anni scorsi ha emesso due certificati di iscrizione di Lubitz nei suoi elenchi. Il primo, il 18 giugno 2010 come «studente pilota»: poteva volare accompagnato da un istruttore. In quell’occasione, il giovane fu anche sottoposto a test medico di «terza classe», cioè del grado meno severo tra quelli previsti ma che comunque comprendeva la necessità di una vista di 20 quarantesimi per occhio e l’assenza di disordini della personalità, psicosi, tendenze al bipolarismo.
Il secondo certificato la Faa lo ha rilasciato a Lubitz il 1° giugno 2012, ma come «pilota privato» — quindi ben lontano dalla qualifica di «Airline Transport Pilot» che deve avere chi conduce aerei passeggeri — con la licenza limitata ad aerei a un solo motore e alianti. Per mantenere questa licenza, avrebbe tra l’altro dovuto sottoporsi a una nuova visita medica presso medici autorizzati dalla Faa cinque anni dopo il primo test, per verificare se qualcosa era cambiato: cioè il prossimo giugno. Forse i problemi psichici sarebbe riuscito a nasconderli, quelli alla vista (dei quali si è saputo ieri) difficilmente.
L’addestramento e l’abilitazione a volare su aerei con passeggeri, dunque, Lubitz li ha ottenuti in due centri di training della Lufthansa, uno a Brema e l’altro all’Atca di Goodyear, Arizona, un campo interamente posseduto dalla compagnia tedesca. Era a tutti gli effetti ed esclusivamente un «pilota LH». Fatto che non alleggerisce, anzi, il senso di crisi che in questi giorni l’aerolinea tedesca sta attraversando. I sistemi delle compagnie aeree in fatto di valutazione del personale iniziano a essere messi in discussione e le spiegazioni che il gruppo tedesco sta dando sono obiettivamente deboli. Ieri, Raphael Diepgen, psicologo della Ruhr-Universität di Bochum, pilota egli stesso, ha tracciato per il settimanale Spiegel un quadro del mondo dei piloti nel quale i problemi psicologici sono regolarmente nascosti e negati dietro un muro di auto-repressione e di paura per il posto di lavoro.
La regola diffusa è che, a un certo punto della carriera, la stabilità psichica di un pilota non viene più controllata: difficile dire se per vizio delle aziende o per opposizione di lavoratori che si sentono sotto pressione. Il mestiere di pilota non è da pantofole: si porta livelli di tensione elevati che negli ultimi anni sono anche aumentati in ragione di orari di lavoro prolungati. Un comandante — venti anni di esperienza — racconta allo Spiegel che i certificati di malattia sono aumentati; ma allo stesso tempo molti suoi colleghi non vogliono fare sapere di non stare bene, quindi continuano a lavorare e «alcuni assumono alcol o droghe». Ieri si è saputo che in casa di Lubitz la polizia ha trovato psicofarmaci. Nonostante questa realtà, le compagnie, compresa Lufthansa, non forniscono dati sui disordini mentali dei piloti, sostengono di non esserne a conoscenza.
Ieri, un portavoce ha detto all’agenzia di informazioni Ansa che «Lufthansa non ha informazioni sulle eventuali malattie che colpiscono i suoi dipendenti». Solo certificati di idoneità al volo verificati ogni anno da medici indicati dalle autorità tedesche. Ma niente di specifico sullo stato mentale, che non può ovviamente essere considerato immutabile nel tempo. Situazione che oggi solleva seri interrogativi sull’approccio alla sicurezza dei voli.
È che, fino a una settimana fa, di problemi mentali in cabina di pilotaggio non si poteva parlare. Lufthansa dovrà iniziare a farlo. In fretta.