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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

ACEA, LA SCELTA DI MARINO: VENDERE O FARE PIU’ ACQUA

Un motore diesel. Un‘azienda ogni anno più profittevole con un debito elevato, ma sostenibile. Un’utility che potrebbe crescere con l’integrazione orizzontale nel settore idrico in Toscana e che, comunque, patirebbe pochi scossoni in caso di cambiamenti al vertice. È la fotografia dell’Acea, l’azienda dei servizi partecipata dal Comune di Roma al 51%, da Francesco Gaetano Caltagirone al 15,86%, dai francesi di Suez Environnement al 12,5% e quotata in Borsa, come emrge dall’analisi dell’Università Bocconi sugli ultimi bilanci (vedi tabella). In Borsa il titolo cresce (+26% in sei mesi a 12,16 euro il 25 marzo). Se il sindaco Ignazio Marino decidesse per lontana ipotesi di cedere ora tutta la quota del Comune di Roma, incasserebbe 1,3 miliardi.
Il momento è favorevole. Secondo i dati Ricerche & Studi di Mediobanca, fatto 100 il valore di Borsa nel gennaio 2003, al 17 marzo 2014 l’indice azionario ( total return , comprensivo dei dividendi, di cui si ipotizza il reinvestimento) era cresciuto di più di tre volte a 461,6 punti, l’incremento maggiore fra sei utility considerate: 12 anni di buona performance. Dal collocamento in Borsa, luglio 1999, alla stessa data il titolo è tornato poi al pareggio (+0,4%) dopo le perdite precedenti il 2008, mentre aziende simili restano sotto soglia.
Il bivio della cessione
«L’azienda ha una crescita moderata e costante, basata sulla diversificazione — dice Stefano Caselli, prorettore all’internazionalizzazione della Bocconi —. Ragionando da azionisti al 51%, siamo al bivio: vendere ora, monetizzando a un buon prezzo, o tenere la partecipazione come un titolo da cassettista. Nel medio termine si può andare avanti senza aggregazioni, ma se il Comune vendesse anche parzialmente si aprirebbe l’interrogativo se proseguire con questo modello di business, radicato sul territorio, o procedere verso una crescita più spinta e di consolidamento con altre utility. Sarebbe interessante se entrasse un socio di capitale per fare di Acea un polo aggregante». Ora il Comune di Roma dovrà vendere la sua quota del 3,54% di Acea Ato 2 (idrico). Una possibilità è che sia integrata in Acea, che di Ato 2 ha il 96,46%.
Martedì 24 marzo Acea ha tenuto il consiglio d’amministrazione, probabilmente l’ultimo a sette membri, come volle Marino solo dieci mesi fa. È stata fissata infatti per il 23 aprile l’assemblea che dovrebbe riportare il board a nove — per future aggregazioni o cessioni nel quadro della legge di Stabilità — con il ritorno di Roberta Neri, l’ex direttore finanziario che portò l’azienda in Borsa, e l’ingresso di Massimiliano Capece Minutolo. Neri, 50 anni, presidente e socia di Byom (gestione di fondi) e Manesa (studi d’architettura), consigliere di Solare Caltagirone e Sorgenia, è stata in Acea dal ‘91 al 2009 sui dossier strategici: riorganizzazione del settore energetico , gestione dei rapporti con le Autorità di regolazione per le tariffe idriche, sviluppo dello smaltimento industriale dei rifiuti. Capece Minutolo è l’uomo di fiducia di Caltagirone: 47 anni il 17 aprile, esperienza nelle infrastrutture, è nel comitato esecutivo di Vianini e nel board di Grandi Stazioni che cambierà con la privatizzazione.
Il costo del board
Il risparmio del 30% sui costi con un consiglio ristretto — annunciato da Marino quando sostituì con Alberto Irace l’amministratore delegato Paolo Gallo, voluto da Gianni Alemanno— non sarebbe, per l’azienda, vanificato perché i nuovi entranti hanno minori retribuzioni del passato. Un consigliere Acea, secondo il verbale approvato dall’assemblea del 5 giugno 2014, guadagna ora 26 mila euro lordi (30 mila se è nei comitati): si vedrà se si resta in linea. Il tetto massimo del cda indicato era di 792 mila euro, contro gli oltre 2 milioni precedenti.
Vediamo i conti. Tra il 2011 e il 2014 (bilancio da sottoporre all’assemblea) i ricavi sono diminuiti del 7% a 3,038 miliardi, anche per il calo dei consumi energetici nota l’azienda. Il margine operativo lordo però, sceso dell’1,5% a 718 milioni in quattro anni, è in ripresa negli ultimi tre (+6%) e l’utile netto nel quadriennio è raddoppiato a 169 milioni. I dipendenti scendono e anche i pur elevati debiti netti, giù del 10% dal 2011 a 2,089 miliardi. Valgono meno della metà del patrimonio, cresciuto invece con costanza (+13% nei quattro anni). «Il debito è ben strutturato, a tasso fisso — dice Caselli — e la società lavora su tariffe regolate: condizioni ideali per produrre utili se riparte l’inflazione». Altro fattore di crescita, gli avvenuti investimenti in tecnologia.
Delle quattro aree ambiente, energia, idrico e reti, è il settore dell’acqua quello ritenuto dagli analisti interessante per le aggregazioni, soprattutto in Toscana, dove Acea è partner industriale di quattro ambiti territoriali su sei, e Campania. È nell’idrico infatti che nasce quasi metà del margine lordo (292 milioni su 718 nel 2014) e Acea è leader nazionale (8,6 milioni di cittadini serviti). Sono in corso contatti fra i sindaci di Roma e Firenze, l’ipotesi è semplificare costituendo un Ato unico, con scambi azionari fra Acea e i comuni azionisti.
Così, anche se Roma scendesse sotto il 51% di Acea, la gestione dell’acqua resterebbe pubblica.