Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 30 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI DEL 30 MARZO 2015


Andreas Günter Lubitz, 27 anni, tedesco, copilota della Germanwings, martedì 24 marzo ha fatto precipitare volontariamente il volo 4U 9525 sul massiccio dei Trois-Évêchés, nelle Alpi francesi, causando la morte sua e delle altre 149 persone a bordo.

«Il copilota ha rifiutato di aprire la porta della cabina di pilotaggio al comandante di bordo e ha azionato il comando per la perdita di altitudine, per una ragione che ignoriamo totalmente ma che può essere analizzata come una volontà di distruggere l’aereo». Così giovedì il procuratore di Marsiglia Bice Robin, dopo aver ascoltato i 40 minuti di audio delle scatola nera rinvenuta, dalle fasi di rullaggio allo schianto.

Stefano Montefiori: «Si sentono le grida di alcuni passeggeri, verso la fine della registrazione contenuta nella scatola nera, mentre il comandante di bordo Patrick Sondenheimer cerca di sfondare la porta nella speranza di riprendere la cloche. Lubitz invece, una volta che si è rinchiuso nella cabina, non pronuncia una parola. Si sente solo il suo respiro calmo, regolare, fino all’impatto contro le rocce» [1].

«Lubitz non era un fanatico religioso, non era un militante politico, non era un estremista. Persino i tabloid più spericolati e cinici come la Bild faticano a costruire un profilo da mostro. Almeno, per ora» (Tonia Mastrobuoni) [2].

«Andreas era un fissato, voleva diventare pilota, ma era mentalmente instabile» ha detto alla Bild un non meglio identificato «ex compagno di classe» del «copilota amok», il copilota pazzo, come ormai lo definiscono i tedeschi. Francesca Pierantozzi: «Adesso che si sa cosa ha compiuto Andreas Lubitz, tutti quelli che lo conoscevano lo ritraggono come un “instabile”, ossessionato dalla sua passione del volo, uno psicolabile. Il “ragazzo sportivo, sorridente, tranquillo” di cui avevano all’inizio parlato i colleghi del club di volo, i vicini di casa, i conoscenti, piano piano scompare» [3].

Lubitz era malato, forse esaurimento nervoso, forse depressione, sicuramente aveva problemi agli occhi. Una malattia che nascondeva ad amici e azienda. I fatti certi: nel 2009 manifestò un grave episodio depressivo che lo costrinse a interrompere la scuola di volo. E di sicuro c’è che martedì scorso non avrebbe dovuto essere nella cabina di pilotaggio dell’A320: lo dice un certificato di malattia per assenza irrinunciabile dal lavoro dal 16 al 29 marzo 2015, stracciato in mille pezzi come tanti altri documenti medici, nel cestino accanto alla scrivania della sua casa di Düsseldorf, perquisita dalla polizia [4].

«Non c’era nessuna lettera d’addio, né alcun documento che desse indicazioni di fede politica estremista. Ma tante, tante prove di una malattia acuta, e continue terapie tuttora in corso», ha fatto sapere venerdì la Procura di Düsseldorf [4].
Sabato il New York Times ha scritto che, secondo due fonti coinvolte, nell’indagine Lubitz si era fatto curare per alcuni problemi alla vista, e che «gli inquirenti non hanno escluso la possibilità che i suoi problemi di vista avessero origine psicosomatica e non organica».

Circa un anno fa, parlando con l’allora fidanzata, Maria W., hostess di 26 anni, Lubitz aveva detto: «Un giorno farò qualcosa che cambierà completamente il sistema, e tutti conosceranno il mio nome e se lo ricorderanno».

Tonia Mastrobuoni: «Stempiato, jeans e sciarpa a righe, sorriso timido. Sulla foto che ha fatto il giro del mondo, presa dal suo profilo Facebook, Andreas Lubitz è seduto su un muretto. Lo sfondo, inquietante, è il Golden Gate, il famoso ponte di San Francisco che appoggia su una montagna. Ma quello che salta agli occhi è la sua aria da “bravo ragazzo”. Ed è questo che sta facendo impazzire la Germania» [2].

Lubitz era originario di Montabaur, paesino di 12 mila abitanti in Renania-Palatinato, nell’ovest della Germania [5].

«Am Spiessweiher civico 8, tranquillo quartiere di case benestanti su una collina che domina la ricca, placida Montabaur: eccoci nel luogo dove Andreas Günter Lubitz, vivendo spesso dai genitori pur avendo un appartamentino a Düsseldorf vicino all’aeroporto di servizio, ha maturato chi sa come, celandolo a tutti, il suo disegno di morte» (Andrea Tarquini) [6].

Della madre di Andreas Lubitz si sa che lavorava come organista nella chiesa della locale comunità evangelica. Il padre avrebbe un impiego come ingegnere nell’industria del vetro in Svizzera [7].

I Lubitz giovedì sono arrivati sul luogo della sciagura a Le Vernet, in Francia, dove si trovavano anche i familiari delle vittime. Sono stati tenuti sotto protezione, isolati dagli altri. Marco Imarisio: «Pensavano di dover piangere un figlio morto in un incidente inspiegabile, hanno scoperto che invece si è suicidato e nel farlo ha tolto la vita ad altre 149 persone. Sopravvivere a un figlio è qualcosa che un padre e una madre non dovrebbero mai vivere. Per loro questo è il primo giorno di una vita peggiore della morte, dove non ci sarà perdono» [8].

Secondo l’edizione francese di Metro, un amico dei genitori del copilota ha raccontato che Lubitz già a nove anni aveva frequentato l’aeroclub di Sisteron, a qualche decina di chilometri da dove martedì ha poi schiantato l’A320 [9].

Dichiarazione di Dieter Wagner, del club aeronautico Lcs Wsterwald di Montabaur, dove Lubitz con alianti e piccoli aerei sportivi cominciò a volare: «Anni fa, con la scuola siamo andati a fare un’esercitazione di volo sulle Alpi, non lontano dal luogo dell’incidente. Le Alpi francesi gli piacevano molto e quella è una zona dove si va spesso a volare con gli ultraleggeri, perché ci sono buone condizioni» [9].

Era ancora un teenager quando aveva preso la licenza per pilotare gli alianti, su un Ask-21 che ancora oggi si trova in un hangar del club Lsc Westerwald. E sempre lì aveva rinnovata la licenza lo scorso autunno [10].

Aveva il classico curriculum del pilota tedesco, si era formato prima a Brema poi a Phoenix. Tutto sembrava procedere regolarmente, fino a un breve periodo, nel 2009, in cui aveva deciso di interrompere tutto. L’episodio è rimasto agli atti, nella documentazione del dipartimento del traffico aereo tedesco, con il codice «Sic», che indica la necessità che l’interessato sia sottoposto a «controlli medici regolari». Poi era stato riammesso, era stato anche steward, per undici mesi, e dal 2013 era stato ingaggiato come co-pilota sugli Airbus A320, la tipologia di aerei cui apparteneva anche quello precipitato lunedì sulle Alpi [2].

Roberta Miraglia: «Perché non hanno funzionato i controlli psico-attitudinali effettuati da una delle principali compagnie aeree al mondo? Possibile che a Lufhtansa nessuno si fosse accorto che il giovane aveva sofferto, forse soffriva ancora, di disturbi?» [11].

Nella conferenza stampa di giovedì l’amministratore delegato di Lufthansa, Carsten Spohr, ha detto: «La sua abilitazione era al 100 per cento, senza macchie» [2].

Alcuni colleghi, a causa di un periodo di undici mesi in cui aveva lavorato da steward, lo avevamo soprannominato «Andy pomodoro» [12].

Nel settembre 2013 la Us Federal aviation administration gli aveva conferito un certificato di eccellenza e il suo nome era entrato nel database dell’ente americano che supervisiona l’aviazione civile. Lo stesso mese era stato assunto da Germanwings, la linea low cost di Lufthansa, il settimo vettore al mondo [13].

Secondo l’ex fidanzata Maria W., rintracciata da Bild, Lubitz «aveva compreso che proprio per i suoi problemi di salute il suo sogno di diventare un comandante della Lufthansa non si sarebbe mai realizzato».

La sua stanza nella casa dei genitori era tappezzata di immagini di velivoli, vecchi e nuovi, il marchio Lufthansa e strumenti per il volo disseminati ovunque [11].

Appassionato di mezze maratone, nel 2007 era arrivato 72esimo su 780 partecipanti alla 10 chilometri di Montabaur, cui aveva partecipato insieme al padre, Günter Lubitz. E tra il 2011 e il 2013 aveva anche corso la mezza maratona organizzata da Lufthansa a Francoforte, raggiungendo sempre risultati discreti, tagliando il traguardo sotto l’ora e quaranta minuti [2].

E poi il bowling, i fast food, la pesca, le arrampicate su roccia [6].

Si è saputo che negli scorsi due mesi e fino a una decina di giorni fa la clinica universitaria di Düsseldorf, Uniklinikum, ha visitato Lubiyz due volte, «per indagini diagnostiche, a febbraio, e poi il 10 marzo scorso». Per quali sintomi e quali malattie i medici non lo dicono, hanno però precisato che «le notizie secondo cui fosse in cura per depressione sono inesatte» [4]. Precisazione che rimanda all’ipotesi dei forti problemi alla vista che avrebbero compromesso la sua capacità di continuare a lavorare come pilota.

«L’altra sera ero a cena con un amico pilota e ho subito avanzato l’ipotesi della sindrome di burnout per spiegare la dinamica dell’incidente aereo. La sindrome di burnout è il “bruciarsi” tipico di professioni in cui le performance sono importanti, in cui lo stress può diventare deleterio in presenza di personalità predisposte o che mascherano tendenze depressive. Accade così che via via questi soggetti “brucino” le risorse che hanno a disposizione. Risorse cognitive, affettive, relazionali. Diventano indifferenti, apatici. Addirittura cinici se svolgono professioni di aiuto. Nel caso in questione poi il profilo di personalità del copilota era già emerso quando a 21 anni ebbe episodi che ne rallentarono l’addestramento. Già burnout» (Claudio Mencacci, direttore delle Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano) [16].

Emilio Sacchetti, ordinario di Psichiatria all’università di Brescia e presidente della Società Italiana di Psichiatria: «Se invece facciamo l’ipotesi di una depressione grave, tale da portare al suicidio, è difficile che nessuno se ne sia accorto. La depressione vera è una malattia difficile da celare. E nel caso sia stata diagnosticata in passato è presumibile che sia stata curata» [15].

Una ragazza che era stata a scuola con lui, a Montabaur, ha scambiato due parole, tra le lacrime, con la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Ha detto di non credere che l’azione fosse stata pianificata. «Dev’essere stato un Amoklauf», ha detto. Amok è un termine di origine malese, è l’esplosione improvvisa della violenza, di una follia irrefrenabile. In Germania la parola si è diffusa dopo una sparatoria in una scuola di Erfurt, nel 2002: da allora, le autorità scolastiche usano il termine per lanciare l’allarme e avvertire del pericolo di un’aggressione omicida [10].

Danilo Taino ed Elena Tebano: «A Düsseldorf il copilota viveva con la fidanzata, un’insegnante di scuola secondaria, al secondo piano di una palazzina bianca in Zum Hexenkotten, strada di un villaggio residenziale fuori città, vicino a un lago: tanti sentieri e prati per correre. Sulla cassetta della posta, due nomi, Lubitz e Goldbach, quello della fidanzata. Il Rheinische Post racconta che poche settimane fa, Lubitz ha ordinato due Audi, una per sé e una per la fidanzata: curioso per chi pensa di avere una vita breve davanti, ma non necessariamente contraddittorio. Si cerca di capire, di dare una ragione se non razionale almeno comprensibile a quello che è successo. Difficile, forse impossibile» [10].

Note: [1] Stefano Montefiori, Corriere della Sera 27/3; [2] Tonia Mastrobuoni, La Stampa 27/3; [3] Francesca Pierantozzi, Il Messaggero 28/3; [4] Andrea Tarquini, la Repubblica 28/3; [5] Mauro Evangelisti, Il Messaggero 27/3; [6] Andrea Tarquini, la Repubblica 27/3; [7] Flaminia Bussotti, Il Messaggero 28/3; [8] Marco Imarisio, Corriere della Sera 27/3; [9] Danilo Taino ed Elena Tebano, Corriere della Sera 28/3; [10] Danilo Taino ed Elena Tebano, Corriere della Sera 27/3; [11] Roberta Miraglia, Il Sole 24 Ore 28/3; [12] Tonia Mastrobuoni, La Stampa 28/3; [13] Roberta Miraglia, Il Sole 24 Ore 27/3; [14] Marco Gorra, Libero 27/3; [15] Mario Pappagallo, Corriere della Sera 27/3; [16] Luigi Ripamonti, Corriere della Sera 28/3.