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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

QUELLE INDAGINI SUL MALE NON CONOSCONO REDENZIONE


Se c’è un autore per il quale è invalicabile il confine tra giallo e noir, questo è James Ellroy. Entrambi i generi presuppongono un’indagine sul Male, con una differenza. Nei gialli, un corpo sociale tutto sommato sano viene a un certo punto turbato, ferito, sporcato da qualcosa che proviene dall’esterno – cosicché, quando l’elemento di disordine è rimosso, si torna felicemente alla situazione quo ante. Il noir, al contrario, prevede lunghe discese verticali in una società irrimediabilmente corrotta. Qui il Male non viene da fuori, è solo il cattivo frutto di un tessuto malato. Un fuori, non esiste più.
È il mondo senza redenzione raccontato in romanzi come Prega detective e American Tabloid. E soprattutto Dalia nera, probabilmente l’apice del primo Ellroy e al tempo stesso spartiacque della sua carriera. Se c’è un noir in cui le regole del genere vengono sovvertite e scavalcate da ogni lato, è la versione romanzata dell’omicidio di Elizabeth Short, caso irrisolto realmente verificatosi nel 1947. Ellroy da un lato lo trasforma in una vicenda da teatro elisabettiano. Dall’altra adopera le più moderne tecniche narrative (l’apertura vera e propria della vicenda è preceduta da una lunga digressione sul torneo di boxe per poliziotti in cui i due detective che indagheranno sul caso diventano amici) per adattare all’attuale percezione del mondo ciò che non sarebbe credibile se utilizzasse ancora i codici di Dashiell Hammett. E del resto, non era un incurante scavalcatore di generi anche il Dostoevskij di Delitto e castigo?
Per indagare la zona oscura ci vuole il passo del cavallo. E poi L.A, non Pietroburgo. Al pari di registi cinematografici «notturni» quali il David Lynch di Mullholland Drive o prima ancora il Billy Wilder di Viale del tramonto, James Ellroy trova in Los Angeles l’epicentro di ogni abiezione. Una città dove assistere alla morte dei propri sogni, tradire ciò che si ha di caro e infine smarrirsi, sprofondare sempre più in basso, è un destino per sfuggire al quale c’è bisogno di molta fortuna. Con la differenza che mentre altri cantori del luogo hanno trovato in Hollywood un’efficace allegoria dell’umana decadenza, a Ellroy è bastato frugare nel suo terribile passato: ecco I miei luoghi oscuri, ovvero la storia di Geneva Hilliker, madre dello scrittore, assassinata a El Monte il 22 giugno del 1958. Anche qui, il colpevole non è stato mai trovato.
Ma non sarà un caso irrisolto l’intera Storia (con la maiuscola) degli Stati Uniti? È la domanda che ossessiona il James Ellroy degli ultimi anni. In Sei pezzi da mille aveva raccontato il vortice di menzogne e infamie di ogni tipo che separa l’omicidio di JFK da quello di Martin Luther King, mentre ora, in Perfidia, si spinge a ritroso fino al 1941.
Quale redenzione per un Paese che vince la guerra sganciando due bombe atomiche? Lo stesso paese («with God on his side») che ha nel genocidio dei nativi la sua colpa primigenia e il suo eterno rimosso.
La Storia la scrivono i vincitori. Quei figli ingrati che sono gli scrittori, le fanno il contropelo.