Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 07 Sabato calendario

APPUNTI SULLA LEGA PER IL FOGLIO DEI FOGLI


MARCO CREMONESI, CORRIERE DELLA SERA 7/3 -
Si incontrano. E già la notizia non è scontata. Eppure, il faccia a faccia tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini non scioglie affatto tutti gli ostacoli che ancora ingombrano la strada che conduce alle Regionali. Certo, l’ex premier parla di un incontro «simpatico e cordiale». Però, la possibilità di un accordo pieno resta quella: una possibilità. Per dirla con Giovanni Toti, il consigliere politico di Forza Italia, «se l’obiettivo della Lega era quello di staccarci da Ncd, non è stato raggiunto. Se il nostro era quello di convincere la Lega ad accogliere i centristi, ancora non ci siamo» .
La via resta accidentata, le cautele altissime. Il capo leghista non intende rinunciare al suo profilo tutto fatti e niente politicismo, e ancora ieri mattina glissava sull’incontro con l’ex premier: «Ci vedremo ad Arcore? Ricostruzioni fantasiose dei giornalisti». Fatto sta che il faccia a faccia si è svolto: sia pure nella residenza milanese del leader forzista, in via Rovani, invece che nel villone brianzolo. In ogni caso, al termine, il capo della Lega si lascia sfuggire poco, ripetendo il mantra tradizionale che fa risuonare dopo ogni incontro con Berlusconi: «Abbiamo parlato di Milan». Il leader di Forza Italia, invece, lo dice: «Se abbiamo parlato di alleanze? E di che cosa volete che si parli?». Salvini, più o meno nello stesso momento, taglia corto: «Io offro programmi e nomi. Parlo di contenuti, non di accordi o di alleanze. Se qualcuno condivide i nostri contenuti, è benvenuto. Ma non mi interessano alchimie o capriole. Se FI resta stabilmente all’opposizione del governo Renzi, dialoga con la Lega» .
Però, l’ex premier sente di avere in mano qualche carta in più. Il complicarsi della partita interna alla Lega in Veneto, con la contesa tra Luca Zaia e Flavio Tosi, porta il capo di FI a pensare che anche Salvini debba fare bene i suoi conti: la possibilità che Tosi si presenti contro Zaia rende più preziosa l’eventuale alleanza con gli azzurri. Inoltre, al di là del fuoco di sbarramento delle dichiarazioni che provengono da Ncd, Berlusconi ha qualche ragione in più di ritenere che in Campania il partito di Alfano potrebbe alla fine risolversi a sostenere la corsa alla riconferma di Stefano Caldoro. Persino nel caso in cui FI nel Veneto appoggiasse Zaia e Ncd il grande rivale Tosi. In effetti, dal partito centrista qualche conferma, sia pure cauta, arriva. Tra l’altro è ancora tutt’altro che certo che in Campania si presenti, da solo o in compagnia, il neo movimento «Noi con Salvini».
E così, Berlusconi lo ha ribadito: il suo partito sosterrà Zaia anche se Tosi corresse con Ncd. Però, avrebbe ricordato l’ex premier a Salvini, nulla è gratis: «Il nostro sostegno non può essere incondizionato». Per esempio, se il segretario leghista fino a qualche tempo fa poteva sperare che FI si sarebbe alla fine accodata ai candidati presidenti scelti in modo unilaterale per Liguria e Toscana, ieri ha dovuto ricredersi. La partita non è chiusa. Di certo non per la Toscana, dove la Lega ha presentato l’economista Claudio Borghi Aquilini. Per la Liguria, oggi è una giornata significativa: Salvini sarà a Genova per sostenere la corsa del suo candidato Edoardo Rixi. All’appuntamento, era annunciata la presenza di vari amministratori di FI: l’entità della loro partecipazione sarà una cartina di tornasole significativa.

*****

MARCO CREMONESI, CORRIERE DELLA SERA 7/3 -
Sfida e controsfida. Azione e reazione. In sostanza: muro contro muro. In Veneto la Lega prosegue sulla strada che porta allo scontro frontale. Il segretario della Liga veneta Flavio Tosi, sindaco di Verona, ieri lo ha detto chiaro come mai fino a questo momento: «Se il Consiglio federale non torna indietro, forse mi dimetto e “liberi tutti”. E allora, potrei candidarmi a governatore». Contro Luca Zaia, il candidato del suo stesso partito. La risposta di Matteo Salvini arriva a strettissimo giro: «Basta liti. Chiunque non sostiene Zaia, si mette automaticamente fuori dalla Lega: in Veneto l’alternativa è fra Zaia e Moretti». La parola chiave è «automaticamente». Il capo della Lega intende dire che neppure ci sarà bisogno di un provvedimento specifico: il consiglio federale della Lega ha infatti già stabilito che la fondazione di Tosi, «Ricostruiamo il Paese», è soggetto politico. E, in quanto tale, incompatibile con la militanza leghista. Alla mezzanotte di lunedì, scadrà il termine perentorio entro cui ciascuno — a partire da Tosi — dovrà fare le sue scelte. Quanto a Zaia, tutto vuole che la vicenda si trasformi in un derby Milano-Venezia: «In ogni caso e come al solito scelgono i veneti. Io sono veneto e ho sempre fatto quello che per i veneti ritenevo più giusto»...
L’ultima puntata della vicenda si era chiusa giovedì sera, con un pronunciamento del consiglio veneto contro il commissariamento sancito in via Bellerio. La Lega salviniana ha stabilito che sulla questione delle liste e delle alleanze elettorali, in Veneto ogni decisione deve essere concordata con il commissario Giampaolo Dozzo. Appunto, l’affronto su cui, secondo Tosi, il consiglio federale dovrebbe tornare indietro, il segno dell’ingerenza «milanese». Ma, appunto, Salvini dice di considerare la questione chiusa. La partita, per lui, è comunque assai rilevante: al di là delle questioni legate alle regionali del 10 maggio, per il capo leghista si tratta di sancire la decisiva metamorfosi della Lega. Da quella identitaria e tradizionalmente basata sulle «nazioni» (le regioni) a quella formato Salvini, lepenista e orgogliosamente populista. Il Veneto resta l’ultimo scoglio sulla strada dell’affermazione del nuovo partito. E non per nulla, sembra, Salvini oggi non parteciperà alla manifestazione dei Fratelli d’Italia a Venezia. Ufficialmente, il leader leghista sarà assente per motivi famigliari. È vero però che il rischio di una contestazione era assai alto, e così l’eventuale prezzo. Anche pochi militanti a fischiare il leader, superstar mediatica, all’ombra di una bandiera con il Leone di San Marco, sarebbe diventato uno dei fatti politici più rilevanti della giornata. Meglio, allora, andare a Genova a sostenere la corsa di Edoardo Rixi. Lontano dal clima avvelenato della Laguna.

*****

STEFANO FOLLI, LA REPUBBLICA 7/3 –
Ecco una fotografia nitida e convincente di come si sta trasformando il centrodestra: Berlusconi incontra finalmente Salvini e poi fa sapere che Forza Italia in Veneto sosterrà senz’altro il presidente uscente della regione, il leghista Zaia. Senza distinguo e — sembra di capire — senza condizioni. E l’Ncd di Alfano, il partito di cui Berlusconi si era eretto a protettore con l’idea di farne il proprio ancoraggio moderato per non finire risucchiato dal radicalismo di Salvini? Non se ne parla più. Vedremo se riemergerà nei prossimi giorni in qualche piega dell’accordo Lega-Forza Italia, ovvero se la vittoria del capo leghista è totale, quanto meno in Veneto.
Per adesso gli avvenimenti sono lineari. Salvini ha detto per giorni che nella regione avrebbe fatto campagna anche da solo, per cui Forza Italia aveva un’unica opzione: aggregarsi al Carroccio riconoscendone di fatto la leadership oppure restare senza una politica e senza una proposta alternativa da offrire agli elettori. Berlusconi ha bevuto il calice amaro e ha deciso di appoggiare il burbero Matteo padano. Non è un episodio minore, è la fine di un’epoca.
Fino a non molto tempo fa un simile esito sarebbe apparso impensabile. Berlusconi era senza mezze misure il capo della coalizione di centrodestra. Ad Arcore si presentavano i vari capi fazione o capi partito e il leader annodava i fili, smussava le tensioni, spegneva i rancori e riannodava i fili. Negli anni questa abilità cominciò a mostrare la corda e sappiamo cosa è successo con Casini e Fini, giusto per citare due nomi. Eppure, di crisi in crisi, Berlusconi ha continuato a svolgere un ruolo indiscutibile: nulla accadeva sotto la tenda del centrodestra senza che il capo non ne fosse informato e, se del caso, intervenisse. In particolare, alleanze e candidature erano la sua riserva di caccia e pochi avevano il potere di metter bocca.
Oggi tutto è cambiato. La nuova Lega tira dritto con cinismo e determinazione. Con temerario pragmatismo Salvini mette insieme gli spezzoni della destra anche estrema e non si cura di essere indicato come uno che organizza piazze inquietanti. Va avanti e a Berlusconi dice in sostanza: «Se vuoi seguirmi, aggregati». Difficile adesso sostenere che la Lega si è piegata a Berlusconi. È vero il contrario. Del resto, per capirlo bastava sentire Salvini alla fine del colloquio mentre comunicava sarcastico che «con Berlusconi abbiamo parlato del Milan».
È una specie di rivoluzione copernicana. Berlusconi non è più il capo di una coalizione, nel senso che non è più in grado di determinarla. In fondo ha cercato di tenersi stretto Alfano, il più recente dei vari «traditori » che hanno lasciato Palazzo Grazioli, proprio per illudersi di essere ancora l’uomo che dà le carte. Ma la verità è che in Veneto ha dovuto accettare una subalternità a Salvini, anche se adesso qualcuno cercherà di negarlo. E le minacce di vendicarsi se il capo leghista non avesse piegato la testa? Parole. Chi si prende la responsabilità di far cadere la giunta Maroni in Lombardia? Chi vorrebbe organizzare un fronte anti- Zaia in Veneto, magari facendo leva sul principale dissidente del nascente «salvinismo », il sindaco Tosi?
La risposta a entrambe le domande è: non certo Berlusconi. E infatti Tosi è un po’ abbandonato al suo destino. Sul piano tattico egli si trova ad agire in spazi angusti. Fuori della Lega, la sua candidatura — magari dentro la cornice centrista — rischia di rappresentare solo una manovra di disturbo. Il sindaco di Verona, conosciuto per essere un eccellente amministratore, meriterebbe di più. Ma se non sta attento a come si muove, rischia di perdere tutto. Di sicuro non ci sarà Forza Italia a dargli una mano. Il vecchio Veneto bianco, venticinque anni fa diventato leghista in nome dell’autonomia, oggi segue la deriva lepenista di Salvini. Non si sa quanto la gradisca davvero, ma la accetta. Lo stesso fa Forza Italia rinunciando a una tradizione che in parte sarebbe ancora incarnata da Tosi. Quanto alla candidata del centrosinistra, Alessandra Moretti, la sua strada resta in salita nonostante i litigi a destra. Anche questo vuol dire qualcosa.

*****

TOMMASO CIRIACO E RODOLFO SALA, LA REPUBBLICA 7/3 -
A corto di alternative e sconfortato da mille grane giudiziarie, Silvio Berlusconi sigla l’unico patto possibile con Matteo Salvini: quello al ribasso. Quarantacinque minuti di faccia a faccia tra i due leader nell’abitazione milanese dell’ex Cavaliere suggellano una bozza d’intesa che lui stesso è costretto a spiegare così ai fedelissimi del cerchio magico: «Matteo me l’ha detto chiaramente, le Regionali sono un test per le Politiche. Non mi resta che allearmi con lui e fare opposizione a Renzi. Se mi metto contro la Lega, finisce che mi sbranano». Via libera degli azzurri a Luca Zaia in Veneto, allora. E resa incondizionata al candidato leghista in Liguria, in cambio del sostegno del Carroccio a quello di FI in Toscana. A sbloccare la situazione, paradossalmente, è l’imminente scissione di Flavio Tosi, ormai pronto a correre con l’Ncd spaccando clamorosamente i padani.
Quando varca il cancello d’ingresso della palazzina di via Rovani, Salvini è scuro in volto. Sa di poter contare sull’uomo di Arcore, ma non sottovaluta i danni provocati dallo strappo del sindaco di Verona. L’ultimatum dello stato maggiore leghista è fissato per lunedì a mezzanotte e Tosi è intenzionato a farlo scadere senza muovere un dito. Si farà cacciare, poi pianificherà il contrattacco. Il primo siluro è l’addio al Carroccio di tre o quattro senatori, come ha confidato all’Ansa la senatrice Patrizia Bisinella, compagna del primo cittadino.
La mossa più significativa prevede però la guerra senza quartiere a Zaia. Come? Visto che ogni componente autonoma in consiglio regionale permette di presentare alle elezioni due liste senza dover raccogliere le firme, la nascita di un secondo gruppo di “tosiani” moltiplicherebbe gli ostacoli contro il governatore uscente. E sempre in consiglio regionale rischia di nascere una maggioranza trasversale che va dal centrosinistra a Tosi (sono già in 28, servono 31 consiglieri) per riformare la legge elettorale introducendo il doppio turno. Con questo schema il sindaco di Verona e l’Ncd convergerebbero al ballottaggio su Alessandra Moretti. Berlusconi, a dire il vero, preferirebbe evitare uno scontro fratricida con Alfano in Veneto, ma la sua resistenza è vana. «Silvio, io non voglio vedere il nome e il simbolo di Alfano neanche in cartolina», gli comunica Salvini, pronto ad accettare al massimo una civica senza logo. L’ex premier cede al veto, nonostante abbia bisogno del Nuovo centrodestra in Campania. Confida nel sostegno dei centristi a Stefano Caldoro, anche se in realtà una fazione alfaniana spinge per un clamoroso patto con Vincenzo De Luca. «Vedremo cosa acca- drà in Campania nelle prossime ore...», si mantiene cauto Gaetano Quagliariello.
Il sorpasso leghista è ormai nei fatti, eppure Berlusconi non può fare altro che inseguire Salvini. In Liguria, ad esempio, Forza Italia accetta di schierarsi con il leghista Edoardo Rixi, che sarà lanciato oggi stesso a Genova dal leader del Carroccio. Solo in Toscana Berlusconi riuscirà a spuntarla, ottenendo il passo indietro dell’economista padano Claudio Borghi. L’ex Cavaliere è pronto ad accettare tutto, pur di uscire dall’asfissiante isolamento nel quale si è cacciato. «Voglio ricostruire il centrodestra con i moderati, ma in questo momento senza la Lega sono irrilevante». Un patto con Salvini, invece, gli permette di essere riconosciuto come interlocutore dagli antichi alleati. «E d’altra parte - gli ricorda il capo dei leghisti - come pretendi di allearti con me alle Politiche se continui a propormi Alfano?». Berlsuconi non sa, o non vuole dargli torto. È angosciato, ha altro a cui pensare, attende la sentenza della Cassazione nel processo Ruby. Banditi i colpi di testa, la linea è quella del silenzio. E se dovesse andare male? «A quel punto ragionano amari dalle parti di Arcore - la piazza si organizza in mezza giornata...».

*****
MARCELLO SORGI, LA STAMPA 7/3 -
La rottura con il sindaco ribelle Flavio Tosi rappresenta il primo serio intoppo nella marcia fin qui trionfale di Matteo Salvini. Dopo l’ultimo tentativo fallito di trovare un accordo e dopo che ieri il direttivo della Liga Veneta, di cui Tosi è segretario, ha chiesto a Salvini di far marcia indietro rispetto al commissariamento del partito veneto e all’ultimatum per cui il sindaco in pochi giorni dovrebbe rassegnarsi ad appoggiare il governatore Zaia senza contropartite, ci sono due possibilità: un compromesso in extremis, con Salvini che riconosce a Tosi il diritto a restare autonomo e ad andare alle elezioni come alleato, più che come membro dello stesso partito. È improbabile, perché farebbe del sindaco il vero padrone della maggioranza che dovrebbe sostenere Zaia. Oppure la conferma della rottura, dopo la quale Rosi si dimetterebbe da sindaco e si candiderebbe a governatore, terzo incomodo tra Zaia e la candidata del Pd Moretti.
Questa seconda eventualità prevederebbe, da parte di Tosi, un piano B: ottenere dal consiglio regionale la rapida approvazione di una legge elettorale a due turni, che renderebbe i suoi elettori decisivi in caso di ballottaggio tra Zaia e Moretti. Naturalmente non è detto che sia proprio facile far passare la legge in così poco tempo (anche se ad esempio la Regione Calabria c’è riuscita): ma il Pd avrebbe tutto l’interesse ad aiutare Tosi per rendere più difficile la vita a Zaia - e di conseguenza a Salvini-, complicando la riconferma del governatore.
Ammesso che questo piano si realizzi, e a meno di una strepitosa vittoria elettorale al primo turno contro tutto e tutti di Zaia, l’accordo cercato e non trovato in questi giorni diventerebbe obbligato per Salvini prima del ballottaggio: per salvare la faccia e anche la guida leghista della Regione Veneto, divenuta a questo punto il vero indicatore del successo o della sconfitta del leader del Carroccio. Il quale, da uomo simbolo di una rimonta che ha portato al sorpasso della Lega su Forza Italia, si trova alle prese con quella che magari chiamerebbe “la vecchia politica”: un ostacolo che non aveva messo in conto.