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 2015  marzo 05 Giovedì calendario

L’EMIRATO CHE SPINGE IL CALIFFO


SE UN ALTRO PAESE AVESSE fatto la metà di quello che ha fatto e fa il Qatar, si ritroverebbe da anni nella lista degli stati sponsor del terrorismo e sommerso da sanzioni non inferiori a quelle che hanno colpito Siria, Russia, Iran e Sudan nell’ultimo decennio. Invece l’emirato può continuare indisturbato a fare shopping in Europa, il suo nuovo leader Tamim bin Hamad al Thani viene ricevuto a Washington con tutti gli onori da Barack Obama e la Fifa (Federazione internazionale del calcio) sconvolge i calendari agonistici di tutto il mondo a vantaggio dell’edizione della Coppa del Mondo che si giocherà fra sette anni nel piccolo Stato del Golfo Persico.
Ufficialmente, in Siria e in Libia l’emirato ha appoggiato i gruppi ribelli sponsorizzati anche da americani ed europei, ma nella realtà attraverso individui e organizzazioni autonome con base in Doha ha finanziato e armato gruppi jihadisti e terroristici, e ogni volta che americani, europei e Onu hanno fatto presente il problema alle autorità, queste non hanno preso provvedimenti e hanno lasciato a piede libero gli accusati. Il ministero degli Affari religiosi continua a invitare imam estremisti nel paese, le persone accusate di aver raccolto e trasferito fondi ad al Qaeda, Jabhat al Nusra (la filiale siriana di al Qaeda) e all’Isis al massimo vengono arrestate per qualche settimana e poi rilasciate, e gli aiuti ufficiali dell’emirato in Libia e in Siria non vanno più agli alleati locali degli occidentali, ma ai Fratelli Musulmani e ai salafiti.
Sostanziare le accuse di cui sopra con fatti specifici è facilissimo, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Si può cominciare dal caso più esemplare, quello di Abdulrahman al Nuaymi, un impiegato del ministero dell’Educazione del Qatar protagonista di una significativa carriera. Nel dicembre 2013 il ministero delle Finanze americano ha inserito al Nuaymi nell’elenco degli Specially designated terrorists e gli ha applicato sanzioni finanziarie. L’uomo è accusato di avere trasferito milioni di dollari ad affiliati di al Qaeda in Iraq, Siria, Somalia, Libano e Yemen nel corso di un decennio. Per alcuni anni ha trasferito 2 milioni di dollari al mese ad al Qaeda in Iraq, il precursore dell’Isis, e in tempi recenti 600 mila dollari ad Abu Khaled al Suri, emissario di Ayman al Zawahiri in Siria. A leader degli al Shabaab somali avrebbe fornito 250 mila dollari. In seguito il nome di al Nuaymi è entrato nella lista nera Onu dei finanziatori di al Qaeda, poi in quelle di Turchia, Unione Europea e Regno Unito. Nonostante tutto questo, a Doha al Nuaymi è a tutt’oggi un uomo libero e le autorità locali si limitano a dire che stanno indagando su di lui come su altri casi segnalati.

La carriera dopo la prigione
La sua biografia spiega molte cose. L’ex impiegato del ministero dell’Educazione in prigione c’è stato, ma nel lontano 1998 per aver promosso una petizione che criticava la famiglia dell’emiro. Perdonato e scarcerato tre anni dopo, divenne amministratore della prestigiosa Università del Qatar, presidente del Centro arabo per la ricerca e gli studi politici, ente finanziato dallo Stato, creò la ong Gaac, impegnata a organizzare conferenze a sostegno della “resistenza” in Iraq, Somalia e Gaza, fu membro fondatore del consiglio di amministrazione dell’ente caritativo Eid bin Mohammed al Thani (legato alla dinastia degli al Thani), che un think tank americano definisce «probabilmente la più grande e influente organizzazione assistenziale salafita militante nel mondo», e presidente della Federazione calcistica del Qatar. Nel 2010 il Comitato olimpico del Qatar lo ha premiato per i suoi meriti in ambito sportivo. Nel 2009 aveva firmato il manifesto promosso da due imam radicali che accusava l’Egitto di apostasia per collaborazionismo con Israele, autorizzava il jihad «su tutto il territorio della Palestina» e invitava i musulmani a uccidere tutti gli ebrei e a impadronirsi dei loro beni. È conosciuto anche come leader di un’organizzazione per la difesa dei diritti umani che si chiama Alkarama.
Al Nuaymi è solo un caso fra molti. Secondo un anonimo diplomatico occidentale intervistato dal Daily Telegraph, «ci sono fra otto e dodici soggetti in Qatar che raccolgono milioni di sterline per i jihadisti e non lo fanno nemmeno di nascosto». La maggior parte del denaro va a Jabhat al Nusra, ma le armi acquistate dal gruppo con tali risorse sono finite in buona parte nelle mani dell’Isis dopo che è scoppiato il conflitto fra le due organizzazioni e in molti casi la seconda ha avuto la meglio. Almeno in un caso, secondo gli americani, i soldi sono partiti dal Qatar e sono finiti direttamente nelle mani di un emiro dell’Isis, il tunisino Tariq al Harzi, che da un misterioso finanziatore residente nell’emirato ha ricevuto circa 2 milioni di dollari alla condizione che fossero utilizzati per operazioni militari. Al gruppetto evocato dal Daily Telegraph appartiene probabilmente Hamid Abdulah al Ali, un salafila kuwaitiano che dal 2006 gli americani accusano di essere un «facilitatore di terroristi che ha procurato sostegno finanziario a gruppi affiliati ad al Qaeda e reclutatore di jihadisti» per il suo ruolo negli attacchi ai militari americani in Iraq, e che è stato detenuto in Kuwait per aver accusato i governanti di essere “kaffir”. Nonostante questo nel marzo 2012 il ministero degli Affari religiosi del Qatar lo ha invitato a pronunciare nella grande moschea di Doha il sermone del venerdì, nel corso del quale ha lodato il grande jihad condotto in Siria da Jabhat al Nusra. Un altro salafita kuwaitiano invitato più volte in Qatar dal ministero degli Affari religiosi e autorizzato a tenere sermoni nelle moschee qatariote è Hajjaj al Ajmi. In una conferenza sponsorizzata dallo stesso ministero ha affermato che l’aiuto umanitario ai civili siriani «è importante, ma la priorità va data al sostegno ai mujaheddin e alla fornitura di armi (...). Date il vostro denaro a coloro che lo spenderanno per il jihad, non per gli aiuti umanitari». Il rappresentante di al Ajmi in Qatar responsabile delle raccolte fondi è un dipendente del ministero degli Affari religiosi autorizzato a tenere sermoni nelle moschee e spesso invitato a intervenire in tv.
Altro caso istruttivo riguarda Khalifa Subaiy, un dirigente della Banca centrale del Qatar che nel 2007 venne identificato da Bahrein, Qatar e Stati Uniti come finanziatore del terrorismo, emissario di al Qaeda in Medio Oriente e facilitatore del trasferimento di terroristi in Pakistan. Gli Stati Uniti lo accusavano di trasferire denaro alla leadership di al Qaeda in Pakistan. Condannato in contumacia nel Bahrein, fu arrestato e imprigionato in Qatar nel marzo 2008. Ma solo per sei mesi, dopodiché fu rilasciato. Washington protestò e si attivò presso il consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite perché il suo nome fosse inserito nella lista nera dei finanziatori di al Qaeda e i suoi conti bancari congelati, cosa che avvenne. Ma la giustizia qatariota si rifiutò di applicare integralmente il provvedimento: fu lasciato nella sua disponibilità un conto corrente che la Banca centrale avrebbe “sorvegliato”. Nel settembre scorso il ministero delle Finanze americano ha rivelato che Subaiy continua a operare attività finanziarie a vantaggio di al Qaeda attraverso due cittadini giordani con passaporto del Qatar, che nel 2012 hanno trasferito su sua direttiva centinaia di migliaia di dollari a dirigenti di al Qaeda in Pakistan. Le autorità del Qatar non hanno battuto ciglio. Subaiy continua a restare un uomo libero.

La complicità del banchiere
La vicenda del banchiere qatariota aiuta a ricordare che l’armadio del Qatar è pieno di scheletri della complicità dell’emirato col terrorismo di matrice islamica. Fra i leader di al Qaeda che hanno ricevuto denaro da Subaiy, infatti, c’è Khalid Sheik Mohammed, la mente dell’11 settembre e di innumerevoli altri attentati, catturato dagli americani e dai servizi segreti pakistani nel 2003 a Rawalpindi. Prima di trasferirsi in Pakistan, suo paese di origine, Khalid aveva vissuto in Qatar dal 1993 al 1996. Era stato invitato lì dall’allora ministro degli Affari religiosi, un membro della famiglia al Thani, che lo ospitava in una sua tenuta fuori Doha insieme ad altre decine di mujaheddin reduci dall’Afghanistan. Si scoprirà poi che molti di loro erano affiliati ad al Qaeda. A Khalid fu assegnato un posto di lavoro al ministero dell’Acqua e dell’elettricità, ma quello che faceva veramente sarebbe venuto a galla anni dopo. Robert Baer, l’ex agente della Cia alla cui vita si ispira il film Syriana, scrive che negli anni Novanta «il Qatar ospitava dieci terroristi di al Qaeda che poi sarebbero apparsi sulla lista dei più ricercati». Gli americani, che avevano individuato trasferimenti di denaro dal Qatar a suo nipote Ramzi Yousef, autore del primo attentato al World Trade Center nel 1993, chiesero più volte alle autorità qatariote di arrestare Khalid, ma esse tergiversarono. Quando diedero il permesso agli americani di catturarlo, Khalid era già fuggito in Pakistan con un passaporto qatariota fornito dal ministro degli Affari religiosi.
Il quale fu messo agli arresti domiciliari per qualche settimana. Alla fine dell’anno fu liberato e nominato vice ministro degli Affari interni.

L’ipocrisia di Doha
A causa delle pressioni internazionali il Qatar nel 2004 ha creato un’unità di intelligence per individuare operazioni finanziarie sospette e nel 2010 una commissione anti terrorismo che ha l’autorità per congelare depositi e asset finanziari di fiancheggiatori del terrorismo. Fino a oggi una sola transazione sospetta è stata segnalata e nessun individuo è stato sanzionato dalla commissione. Un’incredibile disinvoltura, quando si consideri che alcune campagne pubbliche di raccolta fondi per i ribelli siriani sono state approvate via twitter da Jabhat al Nusra, e che Doha ospita da quasi quattro anni lo stato maggiore di Hamas, classificata come organizzazione terroristica in molti paesi. Il governo dell’emirato giustifica i rapporti con gli estremisti palestinesi, siriani e afghani (i talebani dispongono da tre anni di un’ambasciata) con la necessità di trattare il rilascio di ostaggi e ospitare negoziati di pace. Ma la politica del Qatar in Siria e in Libia fa pensare a tutto tranne che alla pace. Mentre individui legati in vari modi alla famiglia regnante promuovono raccolte di fondi per Jabhat al Nusra, il governo è andato spostando il suo sostegno dal Libero esercito siriano al Fronte islamico, in particolare alla formazione Ahrar al Sham. Quest’ultima vuole istituire in Siria uno Stato islamico, cosa che si spiega anche col fatto che alcuni suoi leader provengono da al Qaeda, e che la formazione ha cercato di creare un’alleanza con Jabhat al Nusra e con l’Isis.
In Libia il Qatar ha continuato a fornire armi alle milizie islamiste anche dopo la caduta di Gheddafi, mentre si organizzavano le elezioni per decidere il futuro del paese. Quando è scoppiata la crisi fra il “governo di Tobruk“ e il “governo di Tripoli“, Doha non ha avuto esitazioni e ha appoggiato e armato le milizie della cosiddetta Alba Libica, coalizione di forze islamiste dell’area dei Fratelli Musulmani, ma che contano nelle loro file anche personaggi come Abdelhakim Belhadj, che ha combattuto coi talebani in Afghanistan e gestito a Jalalabad campi per volontari arabi che volevano battersi al fianco del mullah Omar.

«Allah, distruggi ebrei e cristiani»
Nonostante questo e altro. Casa Bianca, dipartimento di Stato e della Difesa americani continuano a chiudere un occhio e a considerare il Qatar un alleato, come dimostra l’incontro a Washington fra l’emiro Tamim bin Hamad al Thani e il presidente Obama il 24 febbraio scorso. I motivi di tanta indulgenza starebbero nel fatto che negli ultimi anni il Qatar è diventato la principale base militare americana in Medio Oriente e che la diplomazia qatariota è il tramite attraverso cui gli Stati Uniti tengono rapporti con Fratelli Musulmani e talebani. Per rispondere alle critiche, un portavoce della Casa Bianca all’indomani dell’incontro fra i due capi di Stato ha spiegato: «L’America non concorda col Qatar su ogni questione, ma i nostri interessi convergono più spesso di quanto divergono». Tre settimane prima dell’incontro fra Obama e al Thani, alla grande moschea di Doha il sermone del venerdì era stato affidato al wahabita saudita Sa’ad Ateeq al Ateeq, che così ha parlato: «Allah, rafforza l’islam e i musulmani. E distruggi i tuoi nemici, i nemici della religione. Allah, distruggi gli ebrei e chi li ha fatti diventare ebrei, distruggi i cristiani e gli alawiti e chiunque li abbia fatti diventare cristiani, e gli sciiti e chiunque li abbia fatti diventare sciiti. Allah, salva la moschea di al Aqsa dalle grinfie degli ebrei». Chissà se qui gli interessi convergono.