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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Virginia Woolf, L’anima russa. Dostoevskij, Čechov, Tolstoj, Elliot Roma 2015, pp

Notizie tratte da: Virginia Woolf, L’anima russa. Dostoevskij, Čechov, Tolstoj, Elliot Roma 2015, pp. 56, 7 euro.

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• Virginia Woolf era tra il pubblico della Royal Opera House al Covent Garden quando, nel giugno del 1911, i Ballets Russes fecero il loro primo debutto sulla scena inglese con il Pavillon d’Armide.

• Virginia Woolf, che più o meno nel dicembre del 1910 scriveva che il carattere umano era cambiato. I Ballets Russes erano stati una sorta di prova generale per l’arrivo sulla scena di una dirompente e cosmopolita estetica modernista.

• La Woolf, che collaborava già da anni con alcune riviste, fra cui il Guardian e il Times Literary Supplement, e si era avventurata sulla strada della scrittura con i primi racconti sperimentali.

• Constance Garnett, una giovane donna di Brighton dalla vista fragile e dalle simpatie socialiste, aveva consegnato all’editore Heinemann il frutto di un lavoro estenuante e appassionato: la traduzione dei Fratelli Karamazov, di Dostoevskij.

• Edward Garnett, marito di Constance, figlio del leggendario Richard, scrittore e bibliotecario del British Museum e lui stesso intellettuale e critico letterario, amico e sostenitore di Joseph Conrad prima e di D.H. Lawrence poi.

• Grazie a Constance il pubblico inglese avrebbe conosciuto, oltre a Dostoevskij, Tolstoj, Čechov, Turgenev, Gogol’, Herzen e altri ancora.

• S.S. Kotelianskij, arrivato a Londra nel 1910, subito accolto nella piccola cerchia di scrittori e artisti che ruotavano intorno a Katherine Mansfield, John Middleton Murry e alle riviste di avanguardia legate al loro nome. Era l’icona della Russia contemporanea, l’esule in fuga.

• Kotelianskij, che Virginia Woolf chiamava Kot nei suoi diari.

• Kot traduceva testi per la piccola e prestigiosa Hogarth Press che Leonard e Virginia Woolf avevano fondato nel 1917.

• La scrittura così diversa degli autori russi, capaci di «bucare
la carne e rivelare l’anima» (Virginia Woolf).

• Tolstoj, il preferito di Virginia Woolf.

• La Woolf, che recensì The Eternal Husband and Other Stories, di Fëdor Dostoevskij, nella traduzione di Constance Garnett, su The Times Literary Supplement il 22 febbraio 1917.

• «Se in precedenza non si è mai letto nulla di Dostoevskij, si chiude questo libro con la sensazione che l’uomo che l’ha scritto sia destinato un giorno a produrre un romanzo davvero grande, ma anche con l’idea che sia successo qualcosa di bizzarro e importante» (Virginia Woolf a proposito de L’eterno marito).

• «Tra tutti i grandi scrittori, nessuno ci pare così sorprendente, così sconcertante come Dostoevskij».

• L’eterno marito, la storia di un certo Vel’čaninov che, molti anni prima dell’inizio della storia, ha sedotto la moglie di un certo Pavel Pavlovič nella cittadina di T –. Vel’čaninov l’ha quasi dimenticata, e vive a Pietroburgo. Ma adesso, mentre gira per la città, s’imbatte costantemente in un uomo dal cappello col crespo nero del lutto che gli ricorda qualcuno cui non riesce a dare un nome. Alla fine, dopo ripetuti incontri che lo conducono in uno stato prossimo al delirio, Vel’čaninov viene sorpreso alle due del mattino da una visita dell’estraneo, che gli spiega di essere il marito di quel suo antico amore, e che lei è morta. Quando Vel’čaninov si reca da lui il giorno seguente, lo trova che maltratta una bimbetta, e gli è subito chiaro di esserne il padre. Riesce a portarla via a Pavel, che è un ubriacone, e la alloggia da amici, ma la piccola muore quasi subito. Dopo la sua scomparsa Pavel annuncia che si è impegnato a sposare una ragazza di sedici anni, ma quando, su insistenza di lui, Vel’čaninov le fa visita, la fanciulla gli confida che detesta Pavel ed è già promessa a un giovane di diciannove anni. I due architettano di spedire Pavel in campagna, e alla fine del racconto lui ricompare in qualità di marito di una bellezza di provincia – e la signora, naturalmente, ha un amante.

• La sostanza del racconto è costituita dal rapporto tra Vel’čaninov e Pavel.

• Pavel, un tipo esemplare di ciò che Vel’čaninov definisce “l’eterno marito”.

• «Unico tra gli scrittori, Dostoevskij ha il potere di ricostruire questi stati mentali repentini e complicati, di ripensare l’intero flusso delle idee in tutta la sua velocità, simile a un treno mentre appare in un lampo di luce, per poi sbandare nell’oscurità subito dopo; perché lui è in grado di seguire non solo la vena scoperta del pensiero compiuto, ma anche di suggerire il sommerso più offuscato della coscienza, in cui i desideri e gli impulsi si muovono alla cieca sotto la melma. Proprio come quando ci svegliamo da una trance di questo tipo, colpendo una sedia o un tavolo per accertarci dell’esistenza di una realtà esterna, così Dostoevskij d’un tratto ci fa osservare, per un istante, il volto del suo eroe o un qualche oggetto nella stanza. Questo è l’esatto opposto del metodo adottato, per necessità, dalla maggior parte dei nostri romanzieri» (Virginia Woolf).

• «Intuizione è il termine che dovremmo applicare al genio di Dostoevskij quando è al suo meglio. Quando ne è pienamente posseduto, è capace di leggere la scrittura più imperscrutabile negli abissi delle anime più scure; ma quando lo abbandona, tutto il suo sorprendente macchinario sembra girare a vuoto nell’aria» (Virginia Woolf).

• La Woolf recensì The Bishop and Other Stories, di Anton Čechov, nella traduzione di Constance Garnett, su The Times Literary Supplement il 14 agosto 1919.

• Il vescovo, il settimo volume dei racconti di Čechov.

• «Nessuno ormai è così sciocco da lamentarsi che la storia de Il vescovo non è affatto una storia, ma solo il resoconto vago e inconcludente della vicenda di un vescovo che è angustiato perché sua madre lo tratta con rispetto, e poco dopo muore di febbre tifoidea. A questo punto siamo consapevoli del fatto che le storie inconcludenti sono legittime; ovvero che, sebbene ci lascino una sensazione di malinconia e magari di incertezza, in un modo o nell’altro ci offrono comunque un punto d’appoggio per la mente – un oggetto solido che getta la sua ombra di riflessione e speculazione» (Virginia Woolf).

• «Spesso sembra che Čechov abbia realizzato le proprie storie nel modo in cui una gallina becchetta i chicchi di grano. Chissà perché ne prende uno qua e uno là, a destra e a manca, quando, per quello che possiamo vedere, non c’è ragione per preferire un grano all’altro?».

• «Qualunque cosa scelga Čechov, la sceglie con il più sottile intuito».

• Le emozioni dei personaggi di Čechov, legate a qualcosa di più importante e molto più remoto del successo personale o della felicità.

• La recensione di Virginia Woolf di An Honest Thief and Other Stories, di Fëdor Dostoevskij (nella traduzione di Constance Garnett), apparsa su The Times Literary Supplement il 23 ottobre 1919.

• Dostoevskij, la cui « commedia ha molto più in comune con la commedia di Wycherly che con quella di Jane Austen. Si va subito deteriorando, e diventa una farsa ingarbugliata e stravagante. La misura e il distacco dei grandi scrittori comici gli sono impossibili. Forse una delle ragioni è che non riesce a concedersi il tempo necessario» (Virginia Woolf).

• «Se Dostoevskij non riesce a mantenersi nei limiti appropriati, è perché il fervore del suo genio lo spinge oltre il confine. È l’empatia che fa passare la sua risata dall’allegria a una violenta e bizzarra ilarità che non è affatto allegra. Persino quando una digressione rischia di intralciare il racconto, Dostoevskij è incapace di sorvolare su qualcosa di tanto importante e amabile come un uomo o una donna senza fermarsi a considerare il suo caso e a spiegarlo» (Virginia Woolf).

• Virginia Woolf, che si interrogava sulla capacità degli inglesi di comprendere la letteratura russa.

• «Tra tutti coloro che si sono deliziati con Tolstoj, Dostoevskij e Čechov negli ultimi vent’anni, forse solo uno o due sono stati in grado di leggerli in russo. La nostra valutazione delle loro qualità è stata formata da critici che non hanno mai letto una parola di russo, che non sono stati in Russia, e nemmeno hanno mai sentito parlare la lingua dei suoi abitanti; che dovevano dipendere, in maniera cieca e implicita, dal lavoro dei traduttori» (Virginia Woolf).

• «In verità, è l’anima il personaggio principale della narrativa russa. Delicata e sottile in Čechov, essa è soggetta a un infinito numero di umori e malumori, mentre in Dostoevskij ha maggiore volume e profondità; spesso afflitta da violente malattie e furiose febbri, è comunque la preoccupazione predominante».

• «I romanzi di Dostoevskij sono vortici ribollenti, mulinelli di sabbia in una tempesta, trombe d’acqua che sibilano e gorgogliano e ci risucchiano. Sono composti puramente e completamente della materia dell’anima. Veniamo inghiottiti contro la nostra volontà, presi nel vortice, accecati, soffocati, e allo stesso tempo riempiti di un’estasi che ci stordisce».

• Il romanziere inglese, incline alla satira piuttosto che alla compassione, alla disamina della società piuttosto che alla comprensione degli individui stessi.

• Per Dostoevskij, ad esempio, non fa alcuna differenza che abbia a che fare con un nobile o una persona semplice, un barbone o una gran dama. Chiunque esso sia, è un contenitore di materia nebulosa: l’anima.

• «La vita domina Tolstoj come l’anima domina Dostoevskij. Al centro di tutti i petali brillanti e vivaci di un fiore c’è sempre questo scorpione: “perché vivere?”. Al centro del libro c’è sempre qualche Olenin, o Pierre, o Levin che raccoglie in sé tutta l’esperienza, si rigira il mondo tra le dita, e non cessa mai di chiedersi, persino mentre ne gode, quale sia il senso e quali dovrebbero essere i nostri scopi» (Virginia Woolf).