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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

GIRO DEL MONDO IN CINQUANTA LIBRI

BRUCIANO. Invecchiano. Cedono alle censure. E risorgono, più vitali di prima. La storia lo insegna: più che le guerre, sono le idee, contenute nei libri, a incendiare i popoli e a trasformare il mondo. Ma quali libri?
Per alcuni la scelta è scontata: può una storia dell’uomo non partire da Omero, Erodoto, Confucio e Platone? Tra classici della letteratura, pietre miliari della scienza, bestseller d’epoca che ancora generano eco, la babele si fa in un attimo affollata: la Bibbia, certo. E il Corano, ovviamente. La Geografia di Tolomeo e Il canone della medicina di Avicenna. E il Kamasutra?
È un intreccio di voci lontane, di lingue diverse, di paesaggi stranieri, che si ricompone nell’immaginario di ognuno ma che immediatamente ne evoca altri, l’esercizio di compilare elenchi sulle opere che hanno modificato il corso della storia. A partire dalla misura: quanti libri ci vogliono per raccontare la civiltà?
Andrew Taylor, giornalista e studioso dell’Università di Oxford, non ha dubbi. E aggiorna il genere delle liste, passione nazionale degli anglosassoni, portandolo al numero più basso di sempre: “I 50 libri che hanno cambiato il mondo”, saggio appena arrivato in libreria per Garzanti (traduzione di Roberto Merlini). Un viaggio tra giganti: Newton, Shakespeare, Dickens, Darwin. E nomi che hanno esercitato la loro influenza in modo imprevedibile, anche tra chi non ne ha mai sfogliato i libri. Gerardo Mercatore, per esempio: persino chi non lo ha mai sentito nominare ha un’immagine del mondo che è pressocché la stessa di quella che il cartografo fiammingo sviluppò nel Cinquecento nel suo “Atlante”. O William Harvey: noto o no, tutte le volte che qualcuno è sul lettino operatorio farà bene a rivolgergli un pensiero grato per aver scritto l’ “Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus”.
Ci sono le grandi storie, destinate a non tramontare: quelle dei pellegrini verso la tomba di Tommaso Becket ne “I racconti di Canterbury” di Geoffrey Chaucer; la voce di Shahrazad che con le leggende arabe e persiane strega il suo re e l’esploratore inglese Sir Richard Burton, traduttore de “Le mille e una notte” nel 1885; l’idealismo di “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel De Cervantes, primo romanzo moderno; “I dolori del giovane Werther” di Wolfgang Goethe, emblema di passione ed estetica romantica. E “Il principe” di Machiavelli, «perché ha mostrato che gli uomini sono in grado di creare la propria fortuna se sanno cogliere le opportunità della vita». Le “Ballate liriche” di William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge. L’”Ulisse” di Joyce e “1984” di Orwell.
Ma questa non è la biblioteca imprescindibile; i testi fondamentali della letteratura, che altri saggi, in passato, hanno allineato, trasformandosi in fil rouge dei saperi essenziali: “1001 libri da leggere prima di morire” di Peter Boxall (Atlante editore); “I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori”, a cura di Romano Montroni (Longanesi), “Curarsi con i libri” di Ella Berthoud e Susan Elderkinn (Sellerio). Semmai, è l’inglese Martin Seymour-Smith il precedente più illustre, e più autorevole, con la sua storia del pensiero, dall’antichità a oggi, intitolata “I 100 libri più influenti mai scritti”.
Ridotti alla metà, spiccano inevitabilmente gli assenti: Dante, che per Harold Bloom è l’altro polo, con Shakespeare, del canone occidentale. Non c’è Diderot, né Voltaire, né Rousseau. C’è Tolstoj ma non Dostoevskij. Neanche l’ombra di Kafka: ma siamo proprio certi che l’angoscia e lo smarrimento dei suoi libri non abbiano rivoluzionato lo sguardo sull’esistenza?
«Le liste sono inevitabilmente soggettive, e anche le più autorevoli, come quella di Bloom, sono contestabili e risentono della cultura di chi le stila», interviene il critico letterario Piero Dorfles, autore de “I cento libri che rendono più ricca la nostra vita”, raccolta di successo uscita lo scorso anno (Garzanti): non un canone personale, né i libri più importanti della storia della letteratura, ma quelli che fanno parte del patrimonio comune, e che permettono di stabilire connessioni con gli altri. Perché è la condivisione il vero valore della lettura: «Leggere, in sé, non ci fa migliori. C’è chi legge moltissimo ma non capisce nulla. Hitler aveva una biblioteca sterminata ed era un forte lettore, ma non mi pare che ciò l’abbia reso una persona più ricca», aggiunge Dorfles: «La lettura che conta è quella analitica, critica, che sa andare in profondità, e ci consente di interpretare la realtà e i comportamenti sociali. Ecco perché nella mia lista includo non solo libri che amo, ma anche libri che odio: perché sono utili strumenti di correlazione, per capire la gente e com’è fatta la società nella quale viviamo».
Taylor conferma: e nella sua golden list include libri che cambiano il mondo, anche quando riportano indietro l’uomo: incubi, strumenti di propaganda, come il “Libretto Rosso” di Mao. Soprattutto, “I protocolli dei Savi di Sion”, frutto del feroce antisemitismo russo di fine Ottocento e alla base delle politiche razziali naziste.
«Approvo l’inserimento dei Protocolli», dice lo scrittore Stefano Bartezzaghi: «Perché questo è anche un catalogo dei libri possibili: come il libro falso, l’arma subdola, che tuttavia continua ad essere evocata fino ad oggi. La lista di Taylor è intelligente perché spezza l’incantesimo che il libro sia soltanto letteratura: qui, invece, ci sono volumi inclusi perché rappresentano, in forma di libro, un concentrato d’epoca: “L’interpretazione dei sogni”, “Il capitale”. Anche quando sembrano testi squisitamente narrativi, in realtà evocano molto altro: come “Il giovane Holden”, “Se questo è un uomo”, “Il secondo sesso”. C’è un anglocentrismo evidente e inevitabile. Ti imbatti nell’ “Iliade” e ti domandi: perché non l’ “Odissea”? Sfogli gli italiani in lista, e trovi curioso un canone che includa solo Machiavelli e Primo Levi. E “Lo Zibaldone” di Leopardi, allora? Liquidare, poi, gli ultimi anni con “Harry Potter”, per quanto sia una grande allegoria della diversità e dell’accettazione dell’altro, è francamente discutibile. Capisco le ragioni della scelta - il libro è stato un successo globale - ma ha cambiato più casa Rowling che il mondo. E lo dico con tutto l’affetto che ho per il maghetto», aggiunge Bartezzaghi, che ha rivisto le traduzioni delle ultime edizioni della saga inglese: «Siamo di fronte a giochi, è evidente, non certo ai Dieci Comandamenti: consigli, da leggere come le guide ai ristoranti: per farsi un’idea». Liste personalissime, per niente esaustive: «Uno che ha cambiato il mondo, secondo me? Ferdinand de Saussure», provoca Bartezzaghi, chiamando in causa il semiologo svizzero, padre della linguistica moderna: «Un limite del gioco è quello di credere che il sapere si basi su alcuni pilastri, quando invece è proprio lo spazio tra le colonne quello in cui si forma la cultura». Vuoto apparente, che si colma di esperienze, incontri, suggestioni: di vita. «Libro è anche il nudo elenco», continua Bartezzaghi: «Ciò che ha la forma del libro, prima d’essere contenitore di pensiero: manuali, prontuari, baedeker. Avrei inserito l’”Almanacco di Gotha”», genealogia di re e nobili, dal 1763 in poi.
Con uno scatto d’originalità, Taylor coglie un momento della storia nel quale queste pubblicazioni cominciano a circolare: la Harris’s List of Covent Garden Ladies, con le prostitute del West End londinese, nel Settecento. La Crockford’s Clerical Directory, nel 1858. L’”Elenco abbonati del distretto telefonico di New Haven”, nel Connecticut del 1878. Una cinquantina di nomi, i primi abbonati raggiungibili al telefono, in una guida che non cesserà mai più d’esistere. Per l’amore, il lavoro, le aspettative di miliardi di persone, un libro che ha cambiato il mondo.