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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

MA LA RUSSIA CANCELLALA ANCHE MEMORIA

Ruslan Kutaev, segnatevi questo nome. È sepolto in qualche prigione della Cecenia o della Russia. L’hanno arrestato mentre stava celebrando il giorno della memoria del popolo ceceno. Era più o meno un anno fa. Poi, secondo prassi del luogo, gli hanno messo in tasca tre grammi di eroina.
È stato condannato a quattro anni per detenzione di stupefacenti, crimine «grave» e «socialmente pericoloso». È un noto attivista dei diritti umani, ha una faccia mite, quattro figli bambini e una moglie che al momento della sentenza ha pianto. Lui no. È uscito dalla gabbietta degli imputati offrendo docilmente i polsi ai suoi carcerieri.
La storia di Kutaev – che finora era arrivata in Occidente in briciole di notizie sui siti delle organizzazioni umanitarie – emerge finalmente da un film documentario trasmesso l’altra sera dalla televisione franco-tedesca Arte intitolato «Cecenia, una guerra senza tracce» e realizzato dalla francese Manon Loizeau. È un viaggio dentro questo Paese tanto evocato quanto misterioso ma ora tanto più emblematico, quasi una «Putinlandia». Qui si possono vedere realizzate ed estremizzate tutte le derive del regime russo mai così evidenti dalla crisi ucraina in poi, arrivando fino all’atroce omicidio di una settimana fa di un oppositore politico come Boris Nemzov. Patriottismo, culto della personalità, controllo totale dell’opinione pubblica, uso politico della giustizia, incarcerazione di nemici e dissidenti, manipolazione e cancellazione della memoria.
Tra il ’94 e il 2006, in due riprese, la guerra che Mosca ha sempre definito «operazione antirerrorismo» e come tale è stata digerita dai governi occidentali, Usa in testa, ha fatto grosso modo 150 mila morti, un quinto della popolazione. La capitale Grozny, da spettrale cimitero di uomini e cose, appare ora come una Disneyland di vetro e cemento. Ovunque grattacieli e centri commerciali, un paesaggio pastellato dai colori delle bandiere russa e cecena e i ritratti giganteschi di Putin (raffigurato spesso con immagini giovanili) e del presidente Ramzan Kadyrov. E al centro della città, il corso principale, è diventato Prospekt Putina, corso Putin, diremmo noi. Capitava anche sotto Stalin, ma non a Mosca. Poi venne la regola che vie e corsi si potevano intestare solo ai morti, per quanto illustri e potenti. La Cecenia - naturalmente - fa eccezione. Qui tutto è permesso, al potere assoluto che grazie a Putin si è attribuito il giovane Kadyrov, figlio di Ahmad ucciso in un attentato, nulla si può opporre. Lui, sospettato di mille crimini, si presenta come un capo ultrà, nel film lo si vede con la maglietta con stampata la faccia di Putin. Balla in piazza, si agita, depone fiori, pronuncia discorsi, in uno di questi ha proposto che il prossimo premio Nobel per la pace sia dato a Putin «che lo merita molto più di Obama».
Ma l’aspetto più suggestivo della vicenda Kutaev – nel film è documentata passo passo – è la pretesa di manipolare e cancellare la memoria. Kadyrov non vuole che si ricordi la deportazione staliniana dei ceceni del 1944 perché nel suo regime c’è soltanto il presente. Ed è un’operazione che in qualche modo sta facendo anche la Russia. Da mesi si sta preparando la festa del 9 maggio, saranno 70 anni dalla vittoria sul nazismo e saranno la nuova narrazione del mondo secondo Putin. Da tempo il ministero degli Esteri russo reagisce con straordinaria sensibilità ad ogni accenno rievocativo che non rientri nei suoi parametri. È di ieri la nota in cui si chiede alla Ue di non essere «indulgente» con i sentimenti revascisti che vorrebbero rivedere i risultati della seconda guerra mondiale e il processo di Norimberga. E questo perchè all’Onu il rappresentante Ue aveva detto che la seconda guerra mondiale aveva portato in alcuni paesi non la libertà ma nuovi crimini contro l’umanità. Palese il riferimento ai paesi finiti al di là della cortina di ferro e ora, finalmente, rientrati in Europa.
E sempre ieri si è saputo che chiuderà l’unico museo della memoria costruito in un lagher, a Perm 36, una specie di Auschwitz russa, dove sono stati reclusi dissidenti come Vladimir Bukowski, Nathan Sharanski, Serghey Kovaliov, Gleb Yakunin ed è morto per uno sciopero della fame Valery Marchenko. Da due anni non riceveva finaziamenti, l’amministrazione non poteva nemmeno più pagare la bolletta della luce. Sarà trasformato da museo delle repressioni politiche in museo del sistema penitenziario. Prima mostra prevista le tecnologie di controllo sui detenuti. Da monumento dedicato alla memoria delle vittime, alla celebrazione dei secondini.