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 2015  marzo 05 Giovedì calendario

IL COMPLOTTO GIALLOROSSO


PARTECIPAZIONE. Ho smesso di amare i romanisti e lo stadio Olimpico a metà della stagione dello scudetto, 2000-2001, durante AS Roma-Perugia. Mancavano due mesi alla fine del campionato, avevamo diversi punti di vantaggio sulla Juve, mi pare sei. La squadra quel giorno non girava, andò in svantaggio due volte, pareggiò con Montella nel recupero. Intorno a me si lamentavano tutti, gridavano ai giocatori di andare a lavorare, fischiavano. Si lamentavano nel momento migliore della AS Roma da diciott’anni in qua: non avrei mai trovato la felicità allo stadio. In realtà stavo cercando la cosa sbagliata: il tifoso romanista non cerca la felicità, ma la Partecipazione. Quanto alla Partecipazione, nel caso della AS Roma e dello stadio, o è una bugia o è riservata agli eletti. Per me il tifoso romanista è quel ragazzo dell’età mia che ogni domenica, quando raggiungevo il mio posto accanto a lui in Curva Nord, spingeva in fuori le ginocchia per disturbarmi il passaggio, cosa di cui rideva col vicino, e poi quando lo incontrai per caso in un bar vicino casa di amici, dove era cassiere, fece il timido e il rispettoso perché tanto la AS Roma non unisce. Il mito della Partecipazione è un malinteso creato da Venditti, che forse voleva conciliare tendenze popolari e frequentazioni altolocate e politicizzate di corso Trieste. La prima strofa di Grazie Roma è falsa: «Dimmi cos’è che ci fa sentire amici / anche se non ci conosciamo. / Dimmi cos’è che ci fa sentire uniti / anche se siamo lontani». La strofa autentica di Grazie Roma è più avanti: «Dimmi chi è chi è che mi fa sentì importante / anche se non conto niente, / (...) / che mi fa campà sta vita così piena di problemi».

COMPLOTTISMO E VITTIMISMO. Il direttore di IL è juventino. Mi ha chiesto di scrivere un pezzo sui tifosi romanisti. Voi come ci vedete? Mi ha risposto: «Radio romane, vittimismo, complottismo». Poco dopo, per caso, sono stato invitato allo stadio da mio suocero e mio cognato per la Coppa Italia. L’Olimpico era vuoto e freddo, il pubblico depresso, la Roma sta giocando male da quando l’allenatore ha dichiarato che vinceremo lo scudetto. Abbiamo battuto l’Empoli con un rigoretto, parola stupenda che il mondo ci invidia, come “dietrologia” e “rosicone”, e che significa che l’arbitro ci ha fatto un favore, che il rigore c’era ma anche no. In macchina, abbiamo ascoltato una radio romanista, e nel giro di tre minuti il conduttore, di fronte alla tv che diceva che forse il rigore non c’era, ha detto: «Poi ci sto se mi levano il rigore.Basta che mi ridanno tutto il maltolto dal 1927 in poi». Per «tutto il maltolto dal 1927 in poi» si intende che la AS Roma si considera oggetto perenne dei torti arbitrali fin dalla sua fondazione.
(Devo usare “AS Roma” invece che “Roma” perché chi chiama l’AS Roma soltanto “Roma” è uno schiavo della proprietà americana che ha cambiato lo stemma, levando “AS”).

LE RADIO ROMANE. Le radio hanno una funzione fondamentale: parlando della AS Roma a ogni ora chiariscono che la squadra appartiene ai tifosi invece che ai presidenti. Il fatto che parte dei discorsi siano sui torti veri o presunti subiti da arbitri e Sistema non vuol dire che servano a quello. È un’occupazione simbolica della città, una mobilitazione perpetua. Serve a chiarire, da sempre, che la squadra appartiene ai tifosi. Siccome tecnicamente non è vero, bisogna far sentire la pressione, e l’unico modo è parlare. In particolare, oggi, i tifosi si oppongono all’idea che una squadra per diventare forte debba adottare un modello efficiente di business, aumentare il fatturato, organizzare uno stadio che sia un centro commerciale. Perché se si inizia a ragionare su come guadagnare di più, il tifoso popolare sospetta che avendo pochi soldi verrà estromesso. Il posto più interessante per capire l’estetica del tifoso romanista, ma non soltanto, è il sito asromaultras.org, che colleziona una quantità incredibile di materiale d’archivio, articoli e fotografie, per raccontare la storia del tifo romanista puntellando tutto con scritti ispirati e dichiarazioni d’intenti. In un brano di Roberto Stracca, esperto di ultras del Corriere della sera, morto a soli quarant’anni nel 2010, si dice che «in una società omologata e assopita chi non pensa che la vita sia partecipare a un reality spaventa». La colpa degli ultras è «essere usciti, metaforicamente, dallo stadio. Fin quando si sono picchiati per un rigore non dato o per uno striscione rubato, non è mai fregato niente a nessuno. Ma quando hanno cominciato a elaborare un loro pensiero, una mentalità (che non è né di destra né di sinistra, anche se simbolicamente e retoricamente ha forti richiami con l’estrema destra), allora sì che hanno cominciato a dare fastidio». Tra le opere concrete citate da Stracca, «gli striscioni per chiedere case per i non salariati, difendere gli operai messi in cassa integrazione, esaltare i pompieri che salvavano le vite dopo un terremoto», e avere «urlato contro la speculazione di chi vuole costruire gli stadi e chiesto giustizia per i bambini vittime di crimini efferati». L’aspetto dell’antagonismo politico è uno di quei temi quasi impossibili da definire, perché l’estetica che l’accompagna è stata talmente delegittimata e rigettata dar Sistema come un residuo del passato che poi, a sentir presentare la vita ultras come movimentismo sociale non si riesce neanche a cominciare un ragionamento. Ma bisogna partire dal fatto che l’influenza delle radio romane sull’immaginario popolare riesce concretamente dove l’hip hop italiano fallisce: creare simboli per la gente, intrattenere con storie comprensibili, reali o simboliche che siano.

CLASSICI DELL’HIP HOP. E in effetti ascoltando Te la do io Tokyo, la trasmissione più importante di tutto lo scenario delle radio romane, questa capacità si sente ogni secondo. L’altro giorno mi sono sintonizzato su 101.5 e la prima cosa che ho ascoltato è un pezzo di intrattenimento popolare pieno di messaggi, frecciatine, dissing da rapper, che veramente sembrava Tupac. I conduttori cominciano ad annunciare la conferenza stampa per non so che fatto grave appena successo alla AS Roma. Cerco su internet, non trovo niente. In realtà, è un pezzo di teatro improvvisato contro le guardie e lo stile repressivo della polizia, un’elaborata presa per il culo: una finta conferenza stampa che annuncia un fantomatico “blitz” che avrebbe individuato «i colpevoli che sono stati tradotti nelle pubbliche celle». Quindi, nella finzione, gli inviati dei grandi giornali fanno le domande. Corriere, Messaggero. Hanno cognomi ridicoli come “Uccelloni” e parlano con voce snob mezzo effemminata. «Ci sono state vittime?». «No comment», dice con voce stentorea l’ufficiale che ha condotto il non meglio specificato blitz. Si continua con i ritratti ridicoleggianti. C’è «Luca Pizzurello del Daily Telegraph», che parla con accento da inglese snob. E un arabo di Al Jazeera con accento arabo. Loro rappresentano i grandi interessi economici all’estero, si direbbe. La performance non dice niente a parole, è tutto negli accenti e nella scelta degli obiettivi da ridicolizzare. È una commedia dell’arte che ha come personaggi il ricco, il potente, il lacchè. C’è l’inviato comunista del Manifesto. E c’è, per completezza, Adolfo Benito Graziani, di una «testata di estrema destra» che pone «l’italica domanda». C’è pure «la testata dei ragazzi un po’ cosi», che si chiama Frou frou, letto fròu fròu. L’invenzione più rivelatrice è l’ultima: un’esponente dell’élite che prima di fare la domanda sul blitz dice in falsetto: «Vi ricordo che ho tre lauree, sette master, sette incursioni, leggo tanti libri, faccio satira, satira politica...». Lei rappresenta l’élite che si permette di parlare di ultras e tifo dall’alto della sua satira e le sue lauree. Finisce così. Poi dedicano Grazie Roma alla madre scomparsa di una tifosa. Sulle note di Venditti finisce la trasmissione.

TRATTATO DEL RIBELLE. Una cosa come questa mi fa capire meglio cosa intende nel concreto Stracca quando dice «uscire metaforicamente dallo stadio». E mi fa orientare meglio quando su asromaultras.org, il sito museo dell’avvocato Lorenzo Contucci dedicato alla cultura ultras e al rito del tifo, trovo un lungo brano del Trattato del ribelle di Ernst Jünger: «Se le grandi masse fossero così trasparenti, così compatte fin nei singoli atomi come sostiene la propaganda dello Stato, basterebbero tanti poliziotti quanti sono i cani che servono a un pastore per le sue greggi. Ma le cose stanno diversamente, poiché tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà. E non soltanto questi lupi sono forti in se stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in un branco. È questo l’incubo dei potenti». Forse per tentare una strada sua che non venga attirata da queste orbite, la AS Roma, stavolta intesa come società, ha aperto Roma Radio e ci ha portato dentro alcune realtà romane già radicate, per fare un discorso suo. Il confronto fra ciò che vuole la AS Roma e ciò che vogliono i tifosi è complicatissimo e mi pare incredibile esser riuscito a parlarne senza fare nomi, citare tribunali, senza parlare dei tardi anni Settanta e dei rapporti con la politica, ma solo dell’estetica del tifo e della Partecipazione. Su asromaultras.org d’altra parte non c’è solo Jünger o il testo di Stato di polizia dei Peggior amico (peraltro postata senza credits): c’è la classifica delle multe ai tifosi (la Roma è prima indiscussa), o l’articolo goliardico del Times del 2009 che elenca le «50 cose più detestabili del calcio moderno»: vi si sconfessa qualunque moda calcistica recente, dal numero di maglia personalizzato fatto per creare personaggi e venderli, all’ossessione per la tattica: «4-4-1-1, 4-3-2-1, 4-3-3, 4-1-4-1, 4-2-3-1, 3-5-2, 4-2-1-3. Non possiamo semplicemente togliere quello panzone e mettere dentro quello giovane?».