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 2015  marzo 05 Giovedì calendario

LE MISERIE MILLENARIE DELLE RISAIE CINESI CHE ACCESERO IN MAO LA SCINTILLA DELLA RIVOLUZIONE

Per amare il riso bisogna attraversare i luoghi in cui è nato, antico di diecimila anni, lungo il fiume Yangtze, interminabile nastro di seta che divide la Cina in due metà: in quella superiore il cuore, l’anima e il cervello, il paese degli alti e pallidi mangiatori di grano, gente discreta e conservatrice, erede di cinquemila anni della storia senza interruzioni del Paese di Mezzo. E nell’altra metà i muscoli della Cina, genti forti, dagli abiti sgargianti che mangiano riso e parlano complicati dialetti costieri.
Ho amato il paesaggio del riso, una splendida campagna verde di tanti verdi diversi, a riquadri, e in mezzo campetti di patate dolci, giardini, cavolaie; un tappeto e un mosaico di giade variamente pallide. Qua e là contadine vestite di nero, pantaloni e camicia lunga e il grande cappello di paglia ornato come il cappello di un vescovo di una grande frangia di tessuto nero, il “mo-hu’’. Non levano il capo al passaggio del treno, continuano, chine, a piantare i germogli del riso. Era la Cina da poco orfana del Grande Timoniere, “i piccoli generali venuti da Pechino’’ con un libretto rosso per dare la caccia agli “elementi neri’’ non sapevano che li attendeva, imprevedibile e paziente, il capitalismo confuciano.
Il lavoro non sembrava in quelle risaie una schiavitù. Sembrava che per il cinese il lavoro fosse una occupazione naturale, lavorava come respira. Faceva sempre qualcosa.
Ricordavo che il giovane Mao era diventato rivoluzionario a causa del riso. Un anno, il riso non era stato ancora raccolto e la provvista di quello dell’inverno già finita, nel distretto scoppiò una carestia. I poveri chiedevano aiuto ai contadini ricchi e iniziarono una protesta denominata “vogliamo mangiare il riso senza dazio’’. Il padre di Mao era un mercante e lo esportava, insensibile alla fame dei poveri, in città dalla provincia. Uno dei carichi fu assalito e distribuito alla gente e l’ira del mercante fu sconfinata. «Io non simpatizzai con lui» scrisse Mao, domesticamente ribelle.
Per millenni il contadino cinese ha detto, guardando i campi allagati dove spuntavano i germogli, lavorando chino nell’acqua: «Io mangio la mia miseria». Attaccato per la vita a quelle pianticelle, ma sempiterno debitore dell’usuraio, del ‘’tzi tzu’’ come si dice in cinese. Per festeggiare una nascita, una morte, un matrimonio dava in garanzia la sua piccola risaia o vendeva le sue braccia a tempo indeterminato. Dopo sei mesi il proprietario gli chiedeva la restituzione con gli interessi del trecento per cento e alla fine il contadino diventava servo della sua gleba. Continuava a lavorare, a pagare interessi, continuava a fornire centinaia di “ketti’’ di riso: una vita immobile, una interminabile usura.
Il paesaggio modellato dalle risaie: una geometria paziente specchiata nei riflessi dell’acqua, l’unico che si possa veramente amare, perché è la natura in cui l’uomo ha inciso il suo segno. Mezza umanità si sfama col riso e lo incontri ovunque, in Indocina, in India, sugli altipiani dell’Africa.
Colmo di riso fu il mio primo e unico ricco piatto da prigioniero nella Siria tra deserto e montagna, riso cotto nel grasso in un grande calderone da sabba dai guerrieri del jihad, riuniti attorno al fuoco nel silenzio sospeso della sera, dopo la preghiera e la battaglia. E parve, a me che lo amavo, un buon segno di liberazione.
Ma dove la sua apparizione più ti sconcerta è in Egitto, dove fu introdotto dagli arabi: perché in nessun luogo il mistero della vita e della fecondazione è stato più assiduamente vivo con quello straordinario spettacolo della terra ricoperta dall’immenso liquido fecondatore, oggi come tremila anni fa. Così tra due deserti di roccia e di sabbia il Nilo stende le sue riviere verdissime, le geometriche risaie che, come le acque, lambiscono e si arrestano di colpo ai piedi della sabbia. Il verde e l’acqua finiscono con un taglio secco, come nella ammezzatura di uno stemma. Il riso dove il ciclo della fecondazione e della nascita vive senza le ierogamie del cielo e della terra, laddove la pioggia è quasi sconosciuta.