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 2015  marzo 05 Giovedì calendario

LETTERE

Sono in attesa di divorzio, i tempi della separazione consensuale (tre anni) sono maturati dall’ottobre del 2014. In fase di separazione, ho ceduto la gran parte del patrimonio a mia moglie con gran perdita economica personale (mia moglie vive in una villa di 300 mq con parco e piscina, io mi sono ritirato in 45 mq). Sono un 65enne architetto che è riuscito a far vivere la propria famiglia al meglio ma ora la situazione è peggiorata: non ho più lavoro, ho dovuto chiudere lo studio e sono andato in pensione. Vivo con una pensione di 660 euro e 1.400 euro lorde che mi derivano da alcune proprietà. Non mi lamento, potrei vivere benissimo se non fosse che ancora devo pagare a tempo indeterminato un assegno a mia figlia minore, 26enne, universitaria con poca voglia di concludere gli studi e ancor meno di lavorare. Mia moglie è bancaria e percepisce mensilmente più di me, avendo anche lei redditi da affitti. Adesso la giudice ritiene le condizioni della separazione “un capestro” per mia moglie; ma ora io alla mia età mi trovo a fronteggiare le continue assurde richieste di una moglie che non tollera il naufragio del nostro matrimonio e che trova ampio sostegno nella logica di una legislatura in materia di divorzio totalmente schierata dalla parte della donna. La mia condizione non è certamente delle più disperate ma quando un giudice mi dice che mia figlia «non può mangiare i mattoni o l’intonaco » mi viene in mente l’aristocratica Maria Antonietta che in mancanza di pane suggerisce al popolo di mangiare brioche.
Lorenzo L.
Firenze