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 2015  marzo 04 Mercoledì calendario

DEBALTSEVO, GLI OROLOGI HANNO GIÀ L’ORARIO DI MOSCA

Debaltsevo (est ucraino) La geografia dell’Ucraina di guerra cambia sotto gli anfibi dei soldati in ritirata, dal Donbas verso Kiev, dopo l’ennesima sconfitta: le truppe si sono lasciate dietro insieme a tappeti di proiettili, torri di lanciarazzi, carcasse carbonizzate di mezzi corazzati, un barattolo di latte condensato che qualcuno ha abbandonato nella fuga ancora con il cucchiaio immerso, nell’enorme trincea tra Uglegorsk e Debaltsevo. A Kiev i cyborg, come hanno chiamato i soldati dei battaglioni che per settimane hanno resistito nell’aeroporto di Donetsk, ti guardano dai manifesti in ogni strada della Capitale: sotto c’è il loro nome, la loro età, la scritta: onore, libertà e vittoria. Dopo 242 giorni di assedio, l’aeroporto Prokoviev è ali e carcasse di aerei bruciati, colline di residui di missili inesplosi, chilometri di edifici bombardati intorno al quartiere Kievskij. Una decina di soldati prigionieri sono disposti in fila, in abiti civili, a testa bassa. Devono cercare tra i resti delle macerie i cadaveri dei compagni ucraini, “quelli che loro considerano eroi”. È la legge della tregua. Dove sorgeva un aeroporto, loro vedono un fallimento e un nuovo scacco filorusso. A Debaltsevo distrutto l’acquedotto così come strade principali e secondarie; colpiti tutti i ponti che collegavano questo snodo ferroviario al territorio circostante. Palazzi sventrati e deserti circondano le fermate dove gli autobus hanno ripreso a passare e chi può parte da questa città carcassa.
L’UCRAINA sarà di chi fugge, la DNR, la Novorossia, di chi resta. Leonarda ha 85 anni, è lituana, ma russo e ucraino sono la sua lingua madre e matrigna. Quando sua figlia è partita per Charkov le ha detto che non è scappata nel ’41, non lo farà ora: “Sono sopravvissuta a una guerra vera, sopravviverò a questa guerra stupida. Eto ne voina, eto banditism: questa non è guerra, è banditismo”.
C’è chi è in fila per una coperta, chi per un pezzo di pane, chi cucina liofilizzati in una pentola su un falò a terra.
Le truppe della DNR fermano il traffico per sminare e avvertono: podozdite, sejcas budet sriv; aspettate, ora ci sarà un esplosione. I civili solo per un motivo sono sereni per i morti, che siano parenti o estranei, perché non gli è toccato vedere questo: il rifugio collettivo dell’amministrazione sovraffollato senza cibo e acqua, anziani che si scaldano al fuoco accanto alle loro case distrutte, usciti fuori dalle cantine.
“Kuda nam idti: dove dovremmo andare ora? Ci siamo guadagnati la pensione tutta la vita e ora Kiev non ce la spedisce più perché deve comprare le armi”. Vova era un minatore e giù in cantina non è sceso. “Ho già passato metà della mia vita sottoterra, non voglio passarci quello che mi resta come fossi già seppellito, voglio morire in superficie”. Sul cancello verde Gregorij aveva scritto col gesso ljudi, persone, come se una parola potesse servire a fermare proiettili e schegge mentre i sobaki Kieva, i cani di Kiev, sparavano casa per casa durante il lungo assedio di quella che era una città e ora è un presepe incenerito. Alcuni razzi Grad rimasti inesplosi nei tetti, chi non piange comincia a ripulire. “Quando sparavano dovevano saperlo, qui vivevano dei civili. Avevo dalla vita tutto quello che alla vita chiedevo: acqua, luce, gas, la pensione”. La sua casa è stata colpita da un missile Uragan, dal tetto cadono cemento e legno. Il resto del rione è un canyon di macerie che diventa sempre più silenzioso, mentre sta per cominciare il coprifuoco. La guerra per lo spazio è anche del tempo. L’orologio non ha più la stessa ora del resto delle città d’Ucraina, le lancette della terra del kraj, del confine, ormai segnano moskovskoe vremja, fuso orario di Mosca.