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 2015  marzo 05 Giovedì calendario

Notizie tratte da: Alvar González-Palacios, Persona e maschera. Collezionisti, antiquari, storici dell’arte, Archinto Milano 2014

Notizie tratte da: Alvar González-Palacios, Persona e maschera. Collezionisti, antiquari, storici dell’arte, Archinto Milano 2014.

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«Non v’è storia senza dati, senza fatti certi ma la storia non consiste in dati. Il ruolo di questi è costringerci ad immaginare ipotesi che li spieghino, che li interpretino giacché ogni fatto è per se stesso equivoco». [José Ortega y Gasset]

Balzac dovette acquistare sette comò prima di trovare quello giusto.

«Una delle più grandi iatture che può capitare a chi vive circondato di libri è traslocare». [A. González-Palacios]

«Non si può riempire il vuoto con contenuti più grandi dello spazio disponibile: il vuoto va misurato con le regole dell’immaginazione prima di essere ammobiliato o, meglio, stivato di ogni tipo di informazioni». [A. González-Palacios]

Braque diceva di Picasso: «Picasso era un grande artista, adesso è soltanto un genio».

Picasso diceva di Braque: «Dipinge con la merda di tutte le epoche».

Voltaire: «Excusez-moi si je vous écris une longue lettre, je n’ai pas eu le temps de vous en écrire une courte».

D’Annunzio: «Io ho quel che ho donato».

• Bernard Berenson (1865-1959)
Un Berenson ormai ottantottenne scrive che è «“facile e calda l’atmosfera fra ebrei di nascita”, quando si ritorna ai ricordi di infanzia dato che “è stato uno sforzo (per quanto inconsapevole) quello di fare le viste di essere solamente francesi, inglesi o americani”». [Dai diari di Bernard Berenson, Sunset and Twilight, Londra 1963; versione italiana Tramonto e Crepuscolo, Milano 1966]

Berenson creò il prototipo del «critico d’arte-guru-connoisseur-esperto-santone-esteta-esegeta-entità morale proprietario di villa, giardino, biblioteca»

Disinvolte e sempre proficue furono le pratiche antiquariali dei coniugi Berenson. Mary racconta di come quella volta «un quadro è uscito da Firenze nel doppio fondo di un immenso baule colmo di bambole».

Berenson era solito salutare con tre inchini, e mai da dietro un vetro, la luna nuova mentre in tasca roteava una moneta d’argento.

Berenson ha ventidue anni quando va a vedere la prima della Tosca. Giudicò la pièce eseguita con “perfect simplicity”, ma anche «crudele, difficile da reggere per i suoi nervi delicati». [La Tosca di Victorien Sardou, 24 novembre 1887]

«Fino a qualche mese fa», scrive Berenson, «pensavo che i quadri olandesi o spagnoli potevano rivaleggiare con quelli italiani. Non lo penso più. A questo punto posso dire di aver visto sufficienti quadri olandesi e stanno a quelli veneziani come Mr Howells sta a Shakespeare».

Berenson si fece leggere Gli indifferenti direttamente dall’autore, Alberto Moravia. Era il 1929, e il romanzo non era ancora stato pubblicato.

Di Berenson il caustico giornalista Frank Davis disse: «era piccolo e minuto, con una barbetta appuntita, estremamente lindo e ordinato. Aveva la fama di un infaticabile donnaiolo fra le dame intelligenti, e mia moglie ne verificò la nomea». [Country Life, 27 agosto 1987]

• Roberto Longhi (1890-1970)
Roberto Longhi nacque in uno degli ultimi giorni del 1889 ma viene registrato all’anagrafe nei primi giorni di gennaio del 1890. Era più conveniente.

Longhi: «Era sirena crudele e angelo custode a giorni alterni». [A. González-Palacios]

Come si divertiva il professor Longhi? Costringendo gli studenti alle sue ubbie. Come quella volta che chiese ad uno di loro di imbucare una lettera di invito a casa Longhi per una cena alla quale lo stesso, ovviamente, non era stato invitato.

Longhi per capire il processo creativo di un artista disegnava a memoria dipinti che aveva visto e di cui non sempre possedeva le fotografie.

La tela più nota appartenuta a Longhi è Il fanciullo morso da un ramarro di Caravaggio.

Ci fu una cena particolarmente indigesta per Longhi, quella in cui Berenson esordì: «Mi dica, caro amico, come si sente Lei a vivere con un genio?». Il genio era Anna Banti, la signora Longhi. Si sa, tra i due storici d’arte i rapporti furono sempre segnati dalla rivalità.

• Anna Banti (1895-1985)
Anna Banti non amava la maternità. Lei che madre non fu, condannò le sue gatte, tutte sterilizzate, alla stessa sorte.

La Banti aveva dei difficili rapporti con gli studenti del marito. Un giorno, per dispetto, ordinò al cameriere: «Ottavio, faccia a pezzi lo smoking del professore e così potrà lucidare l’argenteria un po’ meglio». Lo smoking a brandelli era lo stesso che Longhi aveva deciso di regalare al suo allievo Francesco Arcangeli.

Anna Banti non volle mai prendere atto della malattia del marito. Ad un Longhi sofferente, che riusciva a malapena a camminare, disse: «Muoviti, non hai nulla, possibile che tu sia sempre così lamentoso?».

Il medico curante del marito finalmente riuscì a far capire alla Banti che Longhi era morente. A quel punto la testa di Anna iniziò a sbattere contro il muro, i colpi furono così forti da provocare il distacco della retina.

Ebbe una breve parentesi di arteriosclerosi. Piero Gelli, un giorno la chiamò a Firenze e si sentì rispondere: «“No, caro, non posso vederla… come sa sono a Napoli, mi chiami quando torna a Firenze”. Il giovane restò perplesso: la Banti era sì a Firenze ma forse, non sicura di sé, era davvero, in forma mentis, a Napoli».

«Sapeva ancora ridere o meglio irridere insieme ai suoi studenti», è così che la Banti descrisse il marito.
Hortense Serristori (1871-1960)

La contessa Hortense Serristori, scrive Berenson è «fra le persone che conosco, una delle pochissime veramente intelligenti. Eppure, eppure, è così racchiusa nel pregiudizio dovuto al suo essere nata spagnola e in una società attaccata alla propria ricchezza, che le è impossibile guardare in faccia quanto succede nel mondo. Per tutti i problemi del ventesimo secolo, le sue risposte sono settecentesche come lo sono quelle dei Soviet, è impenetrabile e impermeabile come loro alle idee politiche».

• Vittorio Cini (1885-1977)
Accanto ai grandi capolavori artistici Vittorio Cini metteva le fotografie della bellissima moglie, l’attrice del cinema muto Lyda Borelli. E tutte erano firmate «Tua».

«Vive per questa sua creatura e niente lo fa più felice che mostrarla ai visitatori, come farebbe un bambino coi suoi giocattoli». È così che Berenson descrive l’amico Vittorio Cini indaffarato nel restauro della sua casa a San Giorgio Maggiore.

Nell’ascensore c’era un minuscolo dipinto di Jean Barbault. «Così lo vedo sempre», diceva Cini.

• Hélène Stathatos (1887-1982)
Madame Stathatos era «una tiranna in guanti (e dalmatica) di seta». Quelli del Museo Nazionale, confidò Anna Levi a González-Palacios, erano disperati perché «la signora, che via via recava ceramiche, gioielli, manufatti stupefacenti come una sacerdotessa sacrificale, era diventata l’incubo quotidiano non trovando di meglio che comporre e disfare le sue vetrine, mortificando fra sorrisi e lacrime la ruvida rassegnazione dei conservatori».

• Nicolas Landau (1887-1979)
«Nicolas Landau non solo aveva gusto ma anche l’intelligenza e la forza di saperlo imporre». [A. González-Palacios]

«Accostare oggetti antitetici, proporre, imporre ciò che gli altri non amavano e forse non guardavano nemmeno, fu una scoperta: magistrale nel caso di un grande artista come De Chirico, estremamente ingegnosa nel caso di un negoziante come Landau».

Landau si autodefinì «le spécialiste de l’invendable».

È così che Landau spiega la vicinanza fra lavori di epoche e luoghi diversi: «Achetez Japon, vendez Padoue».

«Contentatevi di sapere, la sapienza non ha bisogno di ispirazione». [Nicolas Landau]

«Gli occhi spiegano meglio un’opera delle parole». [Nicolas Landau]

«I collezionisti si dividono in orizzontali e verticali, quelli che espongono e quelli che accumulano». [Nicolas Landau]

«Lo stock di un antiquario è fatto dagli invenduti». [Nicolas Landau]

«Quando parlo di me taccio». [Nicolas Landau]

«Le cose rare non sono quelle che la gente compra piuttosto quelle che ignora». [Nicolas Landau]

«Come si capisce se un bronzo è antico? dal prezzo». [Nicolas Landau]

«Non acquistate mai un originale la cui copia è al Louvre». [Nicolas Landau]

• Costantino Bulgari (1889-1973)
È negli anni Venti che la firma di Bulgari diventa davvero nota. Trattarono le pietre più famose al mondo, una in particolare: il diamante da quaranta carati del pascià d’Egitto. Venduto dall’esiliato re Farouk quando venne a Roma.

Barbara Hutton, nel più grande ristorante di Parigi, ordinava soltanto un oeuf à la coque. Era questo il pranzo della famosa ereditiera che si accaparrò il diamante da quaranta carati del pascià d’Egitto. Lo fece ritagliare, riducendolo di quasi due carati e mutandone la forma, ai tempi ottagonale.

• Basilio Lemmermann (1894-1975)
Lemmermann acquistò, da un esiliato russo come lui, l’epistolare amorosa fra Zenaide Wolkonsky e lo zar Alessandro. Il barone, ad un González-Palacios curioso di sapere che fine avesse fatto, se fosse stata venduta o meno, rispose: «Sì, ma non agli americani, ai russi, pagavano di più».

Il colpo di fortuna di Lemmermann fu l’acquisto, da un profugo russo come lui, di un armadietto settecentesco. A essere importante non era l’armadietto in sé, ma quello che nascondeva: uno degli elementi della predella del Polittico Quaratesi di Gentile da Fabriano. La tavola dipinta e inchiodata sottosopra era stata usata per rinforzare uno degli sportelli. Oggi è nella National Gallery di Washington.

La reputazione di Lemmermann tra gli esuli russi era pessima. Longhi un giorno entrò in un negozio tenuto da due generali russi e, quando «fece loro il nome di Lemmermann: i due si alzarono all’unisono e sollevando il braccio verso la porta esclamarono “Liemermann, conoscie Liemer mann? Iesca!!”».

• Madeleine Castaing (1894-1992)
Madeleine Castaing: «Era il suo gusto inconsueto a far diventare chic ciò che in altre mani sarebbe rimasto kitsch». [A. González-Palacios]

«La fantasia era parte della vita di Madeleine, non sempre attenta alla cronologia. Non spiegava bene perché il giorno in cui affermava di aver avuto un appuntamento con Proust fu il giorno in cui lo scrittore morì: “È stato il più grande dolore della mia vita” aggiungeva malinconica». [A. González-Palacios]

«Tutto quello che avete è molto brutto», disse una volta la Castaing ad un’amica che le stava mostrando casa, «ma vi ammiro molto, siete riuscita a creare un’atmosfera nella quale si sta bene… brava!».

Famosa per aver usato una tinta, il verde chiaro, che poi venne definita da tutti: «verde Castaing».

Il trucco di Madeleine Castaing, nel suo lavoro, era guardare per ore i quadretti con vedute d’interni dei piccoli pittori dell’epoca a lei più cara. Se ne impossessava per poi riproporlo con pazienza ed estro nei tessuti e nelle moquettes. I suoi interni, ideati più di mezzo secolo fa, rimasero atemporali. [A. González-Palacios]

• Filippo d’Assia (1896-1982)
«Si era tentati di pensare», confessa González-Palacios, che Filippo d’Assia «come Augusto scrivesse prima di parlare persino le conversazioni private».

• Mario Praz (1896-1982)
Per tutti Mario Praz era uno iettatore, portava male.
Il film di Visconti Gruppo di famiglia in un interno si diceva ispirato a Praz. Quest’ultimo volle andare a vederlo con l’amico González-Palacios, ma usciti dalla sala «disse che non valeva la pena di vedere quel film: gli sembrava insincero e i quadri che si vedevano erano falsi».

«Praz cercava meno l’arte fuori dal tempo che il tempo condensato nelle arti». «Vedere l’invisibile non significa rifiutare l’evidenza». [Marc Fumaroli, prefazione all’edizione francese de Il mondo che ho visto, 1993]

• Peggy Guggenheim (1898-1979)
«La lista dei suoi amori è una specie di breviario dell’arte del Novecento». Peggy Guggenheim fu moglie di Max Ernst, amante di Marcel Duchamp e forse anche di Jackson Pollock. [A. González-Palacios]

Ebbe una figlia che si suicidò. «Non per mancanza di denaro ma forse perché avere una simile madre non era sorte invidiabile». [A. González-Palacios]

Gore Vidal racconta che quando qualcuno chiese alla collezionista, Peggy Guggenheim, che cosa pensasse degli artisti italiani negli anni Settanta rispose: «They are very bad, aren’t they?».

• Pietro Maria Bardi (1900-1999)
Pietro Maria Bardi era tutto un intercalare di «è vero?».

Bardi definiva Le Corbusier tirchio e opportunista. «Raccontava come l’architetto avesse fatto la corte a Mussolini e a Bottai per farsi affidare la costruzione di tre città sull’Agro Pontino». «Quando feci la prima mostra dedicata a Le Corbusier», disse Bardi, «nel 1950 gli scrissi per avere i disegni fatti in Brasile che si era riportato con sé. Gli dissi che volevo assolutamente esporli e mi rispose secco je veux les vendre. Così gli feci un assegno ed ebbi i disegni che però dovetti far reintelare».

A chi gli chiedeva come esportare un quadro da Venezia, Bardi rispondeva: «dichiari che è un anonimo del Cinquecento, che non è in buono stato e che vale duecentomila lire».

• Vitale Bloch (1900-1975)
«Se [Vitale Bloch, ndr] passava la giornata con Roberto Longhi, la sera non sapevi se eri con Bloch o con Longhi: la voce e i gesti erano uguali e nello stesso modo mordeva la sigaretta dicendo perfidie con l’aria dubbiosa e guardando di sottecchi l’interlocutore. Il giorno seguente diventava Ben Nicolson, tutto vago e galleggiante, gentile e astratto. Fu anche amico di Friedlaender e di Berenson e a forza di voler essere come tutti e tre aveva perso l’anima come Faust». [A. González-Palacios]

Bloch fece suo Il Tramonto di Giorgione, scoperto da Longhi alla vendita Donà dalle Rose a Venezia nel 1934, venduto poi alla National Gallery.

Alla cerimonia funebre di Longhi «Vitale inscenò un rito bizzarro girando per tre volte intorno alla bara con segni e mormorii inquietanti». [A. González-Palacios]

«Bravo, bravissimo… Il sait tout et rien d’autre», diceva Bloch quando non aveva nulla di peggio da dire.

• Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975)
Bandinelli si rifiutò di fare da guida ad Hermann Göring. Ma poi nel 1938 accompagnò, in camicia nera, Hitler assieme al duce, perché «voleva avere un’impressione diretta avendo scelto “il proprio posto fra gli spettatori anziché fra gli attori”».

Umberto Saba disse: «trattavano tutti [i Bandinelli, ndr] con la sicurezza di sé e la signorilità che solo una lunga tradizione possono dare».

Il conte rosso, come veniva chiamato Bandinelli, nel 1971 ammise che «in fondo noi intellettuali di estrazione borghese non possiamo che essere comunisti di complemento; quelli autentici, di ruolo, vengono solo dalla classe operaia».

Berenson circa le idee comuniste dell’amico Bandinelli, disse: «Tu sei un convertito a una nuova religione: ne convieni? Tu diffondi con ardore dogmi che per me restano inaccettabili ma non c’è ragione per non doverci incontrare, come prima, per parlare dei nostri studi».
«L’arte popolare», spiega Bandinelli, «possiede la rozzezza ma al contempo anche la forza di quella barbarica. La si potrebbe definire quasi un’arte provinciale nella stessa Roma».

• Luigi Magnani (1906-1984)
Luigi Magnani era diventato quasi cieco. Comprava non solo con i suoi occhi malati, ma anche con le sue orecchie e con gli occhi dei molti amici.

Luigi Magnani «mise o fece mettere una foto al posto di un originale di Dürer quando espose la sua raccolta alle masse». [A. González-Palacios]

• Francis Watson (1907-1992)
Di Francis Watson John Fleming e Hugh Honour dicevano che: «bisognava fare attenzione a non trovarsi una freccia nella schiena quando si usciva dalla sua stanza». [A. González-Palacios]

La moglie Jane adorava mettere Francis Watson in imbarazzo. E a Francis piaceva farsi mettere in imbarazzo da lei. Come quella volta che lo costrinse a contrabbandare un gatto riempito di sonnifero. Attraversò la Manica con il felino sotto il cappotto.

Francis Watson trascorse un felice periodo di vedovanza. Visse con un multimilionario che di tanto in tanto ospitava dei giovani rifugiati politici. All’amico González-Palacios scrive una lettera in cui riporta di quella volta che venne redarguito da X [così lo chiama, ndr]: «prima di portare questi ragazzi cinesi qui spiego loro quale persona distinta tu sia e come debbano trattarti con gran rispetto. Ma non hanno il tempo di varcare la porta di ingresso che ti metti a baciarli e a pizzicar loro il sedere – se non peggio. Questo deve finire. Stamani ti ho visto baciare B. a tavola. È disgustoso alla tua età».

• Anthony Blunt (1907-1983)
«Ad un membro della Mostra del Settecento napoletano che Blunt presiedeva, disse: “Lei è intelligente, ma parla troppo”».

Poi ci fu quella volta che Blunt disse: «Spero che Lei non pensi quello che dice, altrimenti dovremmo tutti lasciarla solo in questa stanza».

Sir Anthony Blunt fu la spia dei russi nella corte inglese. Quando il compagno lesse della notizia si buttò dal terzo piano. Non morì, ma si fracassò tutte le ossa.

Quando scoppiò il caso Sir Anthony Blunt, la spia dei russi, lo yacht reale con sopra la regina Elisabetta, che doveva attraccare a Napoli, cambiò rotta. E così la regina non inaugurò mai la grande mostra sul secolo XVIII nella Napoli dei Borbone. Ai lavori aveva partecipato (il non più Sir) Anthony Blunt.

• Giulio Carlo Argan (1909-1992)
Giulio Carlo Argan, il celebre critico d’arte, era un bravissimo imitatore. Contraffaceva gli accenti di Toesca, di Venturi, e persino il gestire di Roberto Longhi.

• Philip Pouncey (1910-1990)
Pouncey attribuì a Leonardo da Vinci la paternità del disegno la Donna che lava i piedi ad un bambino. In precedenza attribuito a Raffaellino da Reggio. Identificò anche i lavori di Andrea del Sarto, di Dosso, di Lorenzo Lotto, del Correggio, del Parmigianino e del Peruzzi.

I magnifici disegni a casa di Pouncey erano schermati con piccole tendine che levava ogni sera: «Così non solo sono protetti ma si è costretti a guardarli ogni giorno».
Pouncey era un grande ammiratore di Jane Austen, lesse almeno dieci volte Orgoglio e pregiudizio.

• Douglas Cooper (1911-1984)
«Mi piacevano i suoi vestiti azzardati, il suo umorismo maligno e divertente e ammiravo i suoi scritti. Per quanto sia stato bugiardo nella vita privata, come storico dell’arte mirava sollo alla verità. L’assuefazione alla verità fa guadagnare nemici, specialmente se combinata, come in Douglas, con una lingua mordace quanto spiritosa» (John Pope-Hennessy, Learning to look, Londra 1991).

Cooper aveva solo un occhio. L’altro lo perse in un grave incidente d’auto. «Ad opinione di Francis Bacon, doveva giocoforza essere buono».

«Sono Mrs Onassis», disse Jacqueline al maggiordomo, «il signor Cooper non ha il piacere di conoscerla» si sentì rispondere.

• Quella mattina che Winston Churchill andò a fare visita a Cooper e Richardson e loro non poterono intrattenersi con lui perché erano attesi da Picasso: «Potevate portarlo», disse il pittore, «so che non ama i miei quadri e così avrei potuto dirgli quel che penso io dei suoi».

• Jacques Kugel (1911-1985)
Kugel non risparmiava sarcasmi a nessuno, nemmeno a se stesso. Al figlio di un collega disse: «Lei sarà onesto, oppure farà l’antiquario?».

• John Pope-Hennessy (1913-1994)
John Pope-Hennessy veniva chiamato il Papa, per via del cognome.

Il fratello James finì assassinato in un torbido incontro sessuale. Pare che amasse essere umiliato e persino imprigionato o picchiato. (A Lonely Business. A Self-Portrait of James Pope-Hennessy, a cura di Peter Quennell, Londra 1981)

Quando il ‘Papa’ andò ad identificare il cadavere del fratello rimase «inorridito dalla espressione dissoluta, quasi satanica, sul suo volto. Era come prendere parte ad una tragedia giacobita mai scritta».

• Benedict Nicolson (1914-1978)
González-Palacios benché non apprezzasse la cucina di Benedict Nicolson, ricorda di una cena in cui alla pessima tavola faceva da contraltare un’ottima compagnia. «Nella sua borsa di lavoro si nascondevano fotografie di quadri caravaggeschi, appunti personali, dattiloscritti e traduzioni da lui corrette, qualche salsiccia, mezzo pollo, dolciumi. Se era impossibile non ammirare le sue doti di storico e di critico d’arte, la sua bella prosa inglese e l’ingegno delle sue idee, non era altrettanto facile apprezzare il risultato delle sue letture di Brillat-Savarin [l’autore del libro di cucina La Physiologie du Goût, ndr]».

• Elvina Pallavicini (1914-2004)
González-Palacios di lei disse: «Mi ha sempre ricordato un personaggio di Proust, gentile col prossimo non tanto per considerazione quanto per rispetto di se stessa».

• Sandro Orsi (1915-1999)
«Per quanto in Italia pochi registi siano stati in grado di rievocare la storia nazionale attraverso la finzione scenica, se si vuole capire il Risorgimento è bene rivedere due film di Luchino Visconti, Il Gattopardo e Senso. L’atmosfera delle diverse case in cui si svolge l’azione delle due pellicole, imbevuta di sentimenti e di risentimenti, di manie antiquate e di nuove idee, svela il ritmo segreto della storia. Quel che Orsi fece nella sua casa, nella stessa epoca in cui Visconti finiva i suoi film, è un’opera d’arte che aiuta ad indovinare un’Italia ancora antica ma già tentata dai nuovi tempi». [A. González-Palacios]

• Liliane de Rothschild (1916-2003)
Liliane de Rothschild, quando non voleva ascoltare qualcosa, accusava una vaga sordità. E faceva uso dei suoi proverbiali «quoi?» per respingere le inutili ingerenze.

Liliane de Rothschild per raggiungere il primo piano della sua palazzina si ritirava su una sedia meccanica che saliva per mezzo di un congegno elettrico. La sedia su cui si appollaiava, incastrata su un moderno meccanismo, non poteva che essere di epoca Luigi XV.

• Daniel Wildenstein (1917-2001)
Wildenstein, uomo di cultura, usava generosamente termini come emmerdeur, emmerdement e merde. (D. Wildenstein, Y. Stavridès, Marchands d’art, Parigi 1999).

Wildenstein era affascinato dalla ghigliottina, una volta disse: «Ne possiedo una, l’ultima, la sola che resta della Rivoluzione francese. L’ho pagata settantacinque milioni di franchi e per essere una reliquia del 1793 è poco».

Wildenstein convinse Paolo VI a non vendere la Pietà Vaticana di Michelangelo. La cui cifra, immensa, sarebbe servita a lenire la fame del terzo mondo. Disse: «ve l’immaginate? Un ebreo che vende la Pietà di San Pietro? Mi avrebbero crocifisso.»

Fu la lingua a uccidere Winckelmann. Il teorico del Neoclassicismo venne ammazzato dopo essersi vanagloriato con un gigolò delle medaglie d’oro donategli dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria.

• Philippe Jullian (1919-1977)
«Il maggiore inconveniente delle passioni è che ci costringono ad aprire la porta a persone che pur essendo in grado di soddisfarle non hanno mai la nostra stima». [Biografia di Ghislain de Diesbach, Parigi, 1993]

«Nulla vi è di peggio di coloro che dopo aver passato la vita in bilico fra lo scandalo e il nulla insistono nel voler sentenziare sul bene e sul male» [Ghislain de Diesbach, Un esthète aux enfers: Philippe Jullian, Paris, Plon, 1993]

«I legami più solidi per un superficiale sono quelli sorti dal piacere». [Ghislain de Diesbach, Un esthète aux enfers: Philippe Jullian, Paris, Plon, 1993]

«Ho impiegato trent’anni per accorgermi di non amare la società, ma se non ci fossi andato avrei speso la vita a rimpiangere di non averlo fatto». [Ghislain de Diesbach,
Un esthète aux enfers: Philippe Jullian, Paris, Plon, 1993]

Jullian vedeva così l’India: «Si potrebbero dare feste sublimi in questo paese se solo ci fossero persone da invitare»; «la miseria vi è nascosta da una cortina di mendicanti».

Jullian si suicida impiccandosi con una cravatta di seta di Charvet.

• Federico Zeri (1921-1998)
In Zeri «l’amor patrio […] assumeva in lui un aspetto così possessivo da diventare femminile, evirante: siccome la nazione, chi la abita e chi la governa, non corrispondevano ai suoi ideali finiva per detestarli così come una madre mostruosa può uccidere il figlio incapace». [A. González-Palacios]

• Dino Fabbri (1923-2001)
Sembrava spesso più rilegato che vestito. [A. González-Palacios]

«Dino Fabbri amava il lusso ad ogni costo e mezzo secolo fa ebbe l’idea geniale di offrirlo agli italiani per cento lire: si andava al chiosco dei giornali e si aveva la possibilità di guardare attraverso il buco della serratura i capolavori dell’arte, i mobili preziosi che popolavano i palazzi, i cristalli, i bronzi, gli avori dei tesori dei re». [A. González-Palacios]

Dino Fabbri intuì come, dopo il calcio, la più grande passione italiana erano le arti figurative: «in quale altro paese i falsi Modigliani sarebbero diventati soggetto di polemiche infinite sulle prime pagine dei quotidiani?». [A. González-Palacios]

• Robert Rosenblum (1927-2006)
Rosenblum ad un’amica che aveva scoperto una sua tresca, disse: «Ti scongiuro, fallo per l’amore che mi porti, dillo a tutti, ti supplico».

• Jacques Petit-Horry (1929-1992)
«Non amo la porcellana, è aggressiva», diceva Petit-Horry.

Jacques Petit-Horry nonostante fosse un antiquario, odiava vendere le sue creature. González-Palacios confidò all’amico che desiderava comprare quel disegno, raffigurante un giovane malinconico, che stava appeso vicino al caminetto. Insistette a lungo con il proprietario di casa. Poi una sera Petit-Horry disse: «Ho scritto il prezzo dietro la cornice, ma è un prezzo che non potrai pagare». C’era scritto: «Perché tu possa amarlo quanto l’ho amato io, e tenerlo sempre con te».