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 2015  marzo 04 Mercoledì calendario

A CORTONA CON LORENZO


[Lorenzo Cherubini, Jovanotti]

Ci sono giornate che sorprendono. Partono in un modo e poi d’improvviso cambiano segno. L’aria sottile dell’inverno, il cielo di smalto sul borgo di Cortona, la vista dall’alto della Val di Chiana: lo stesso paesaggio della Gioconda di Leonardo, oltre cinque secoli fa. Un set come questo, per un incontro con Jovanotti sul futuro della musica e della creatività, lascia presagire un mondo rilassato, pacificato nelle sue armonie, in cui tutto è compiuto.
Invece Lorenzo Cherubini, anche alla soglia dei cinquantanni, ti disordina. Sei di fronte a uno dei pochi musicisti italiani al tempo stesso superpop e wired, per la sua fame di energia, per la voglia – nonostante la fatica – di frequentare la tensione, di essere parte della contemporaneità. La tecnologia come strumento per essere al centro di quel che cambia: «La canzone è la cosa più importante, e non rinuncerò mai alla sua forza evocativa», spiega Lorenzo. «Tuttavia uso i codici linguistici del nostro tempo. In questo sono forsennato, forse in affanno nella mia rincorsa. Ma ci metto una grande gioia, curiosità, bisogno di sentirmi rilevante, amato, di avere qualcuno che mi risponde, di stare in una zona di insicurezza».

Nelle ore che trascorreremo insieme questo doppio binario tornerà spesso. Due rette parallele, che trovano una sintesi in questo crociato della leggerezza. Da una parte la religione dell’entusiasmo e una forte simpatia verso l’innovazione, anche quella che scardina il modello economico e le forme tradizionali della musica, fino alla pirateria; dall’altra il rifiuto di qualsiasi feticismo: «Mi ha sempre interessato la sostanza, mi piacevano le canzoni, ero meno interessato a come si sentissero. Ad alcuni piace la musica più per come l’ascoltano che per quel che è. Non sono mai stato un nerd». Conta quel che hai da esprimere, non il mezzo: «L’arte cambia, si arricchisce e parla in modo diverso, ma resta tale solo se riesce a liberare emozioni. Pur se liquida e disarticolata, la musica vincerà sempre».

Al cancello non ci sono cani da guardia ma Mou, color caramella, e Otto («Lo chiamammo così perché fu trovato il giorno in cui Valentino Rossi vinse il suo ottavo titolo mondiale»), una coppia di meticci che farà otto chili in tutto. Al piano terra, la sala dove è nato 2015 CC., il disco di cui a fine giornata non avremo parlato quasi per nulla. Oltre a una lavagna con la tracklist dell’album, console, computer e a un tripudio di gadget audio-tech, qui – in una via di mezzo tra un rifugio e una cantina – ci sono i Lari e i Penati di Lorenzo.
Se fosse uno show televisivo potrebbe essere una puntata sugli accumulatori seriali, quelli che in modo compulsivo stipano la casa di oggetti. A titolo esplicativo ma non esaustivo: le bici («Mi sono rotto tutto, cerco di stare più attento»), i dischi incorniciati dei Run DMC, dei Kraftwerk e di James Brown (di cui c’è anche un autografo), una lettera firmata Ben Harper (che suona tipo: «Caro Lorenzo, il più bel concerto che ho visto dopo quello di Bob Marley»), una Bibbia, la foto di Sammy Davis Junior («Ebreo, nero, sempre vestito benissimo, cool e sleek, con quel tocco alla Harlem»), quella con Claudio Abbado («Non dovrei nemmeno pronunciarlo, il nome del Maestro»), gli album prodotti da Rick Rubin, una rara immagine dei Beastie Boys ancora con i Run DMC, i Public Enemy («Furono loro e Spike Lee a farmi capire che la musica poteva muovere un popolo»), una statuetta di Walter White – il cattivo di Breaking Bad – pappagalli di diverse fogge e colori (Lorenzo ne ha anche uno tatuato sul braccio destro), una riproduzione del Jova formato presepe scolpita da un artigiano napoletano, l’intera famiglia Cherubini sotto forma degli animali del calendario cinese (la moglie Francesca il gallo, la figlia Teresa la tigre, lui il cavallo di fuoco), un manifesto con su scritto «Songwriters of the world the hits start with you» (Cantautori del mondo, i successi iniziano da voi), una gigantografia della serie cartoon Adventure time. Tutto questo è tenuto insieme dal sincretismo di Jovanotti. La stanza delle meraviglie è un flusso di coscienza, un ipercubo di Chris Nolan, in cui ogni faccia ricompone un mosaico di senso, troppo complesso per essere ridotto a tre dimensioni. Ognuno di questi oggetti rappresenta un’aspirazione «Volevo essere i Beastie Boys», o un’ispirazione: «James Brown ha rivoluzionato la musica nera. Prima era solo in levare. Lui ribalta tutto per farsi notare, e introduce l’accento in battere, permettendo la nascita del funk, della dance, dell’hip-hop». Tra alto e basso, anche i colori lisergici dei cartoon trovano un perché: «Quando inizio un disco nuovo cambio la parete. Prima c’era l’onda di Okusai. Stavolta ero incerto tra la serie a cartoni e Les demoiselles d’Avignon di Picasso».

Francesca ha accesa le candele. Ci sediamo e Lorenzo sistema le maniche arrotolate della camicia hipster della divisa d’ordinanza, che prevede anche jeans, canotta Nba (dei Bulls, la squadra di Barack Obama e un tempo di Marco Belinelli), sguardo diretto, risata contagiosa. È tempo di iniziare i nostri test. Ci sono le parole da scegliere, per comporre l’alfabeto di Jovanotti che scorre in queste pagine. E poi abbiamo portato un po’ di foto, dal walkman a Spotify, per ripercorrere gli ultimi trent’anni della musica e della tecnologia, per capire come l’innovazione abbia cambiato la creatività. È strano parlare del tempo in un’epoca tanto schiacciata sul presente, anche se la memoria non è stata cancellata, è solo bypassata dall’iperstimolazione, dall’istante. La compressione della qualità – nei tempi come nel suono – non è una degenerazione, «è piuttosto un adattamento a quel che stiamo vivendo, alla nostra cultura. Ma leggere l’Odissea sul tablet non toglie nulla alla sua bellezza».
È un’accelerazione presente ovunque, ma è così soprattutto a New York, dove Lorenzo ora vive per la maggior parte del tempo, e dove la figlia Teresa – che ha 16 anni – va a scuola. «Tutto si consuma in fretta, anche la musica. Un attimo c’era Lady Gaga, poi arriva Miley Cyrus, mi distraggo un momento e le tv della palestra dove mi alleno sono sintonizzate su Taylor Swift. Moltiplica tutto questo per 300 milioni di abitanti e capisci con quanta forza ti arriva addosso il cambiamento». Saliamo sulla macchina del tempo e torniamo all’inizio degli anni ’80, al walkman, appunto. L’abbiamo scelto perché è il primo gadget tecnologico personale che permette di portare la musica dappertutto. «In fondo il walkman è il proto-telefonino, fa status. La tecnologia ha sempre una carica erotica. Ha in sé l’idea di riproduzione e di evoluzione, è come un corpo femminile, bello perché sai che da lì nasce la vita. E poi la tecnologia ha una sua purezza, una pulizia, il fascino della merce, un profumo di gomma che risveglia in noi istinti animali. Se lo ascolti adesso, ti accorgi di quanto si sentiva male: la velocità cambiava a seconda di quanto era carica la pila, di quanto durava la cassetta». Ecco, la cassetta. L’ultimo supporto analogico. «A 19 anni arrotondavo le 80mila lire che mi davano per le serate in discoteca con le cassette: tre ore di spettacolo, tre C60 che vendevo a 30mila lire l’una». Il nome Jovanotti nasce da lì. «Dovevo firmarle con uno pseudonimo perché in realtà stavamo evadendo la Siae. Oh, tanto sarà tutto prescritto, no?».
Scorrono immagini di dischi in vinile, di Stereo8 in voga alla fine degli anni ’60, la discussione si sposta su quanto lo strumento di riproduzione cambi il modo in cui si scrive musica: «So che molti ascoltano le canzoni dal telefonino, e dunque quando registriamo verifichiamo che i brani funzionino anche così. È importante che un pezzo suoni bene sul cellulare». E non importa se il suono non è perfetto: «Mia figlia ascolta i Beatles dallo smartphone e si emoziona lo stesso». Lorenzo, prima ancora di essere musicista, è dj e appassionato. Non scarica gratis («Non voglio nemmeno sapere quanti soldi ho dato a Steve Jobs»), ma Napster, l’anticristo delle major, quando uscì gli fece simpatia, non paura. «La pirateria ha sempre avuto un ruolo nella storia. Di diffusione di cultura, di agilità rispetto alla tecnologia. Le case discografiche sono state troppo lente, il protezionismo le ha indebolite».
Dopo il download, illegale e legale, ecco l’alba dello streaming. «Per me è lo strumento perfetto: l’idea di avere la musica nel cloud mi piace. Spotify ha fatto invecchiare iTunes perché Apple non è mai riuscita a essere social, Ping aveva troppe barriere».
Se tutto è liquido e digitale, se le parole d’ordine sono mashup, remix, velocità, una cosa è rimasta analogica, le persone, il rapporto con il pubblico nei concerti: «Prima di avere la data di uscita di CC. avevo già fissato i live. Molti dei pezzi dell’album sono stati scritti pensando di suonarli davanti a uno stadione pieno. Voglio uno spettacolo di rock ’n’ roll, dove chi viene si scordi il telefonino in tasca per due ore. Un’esperienza selvatica, primitiva, dove l’ipertecnologia resti sul palco».

Nel mondo che non permette di avere riferimenti di lungo periodo, chi saranno i Jova di domani? Lorenzo esita: «Spesso uno è interessante per un breve attimo, e per capire se ha le potenzialità provo a immaginarlo sui manifesti di San Siro nel 2030». Pochi sopravvivono, e tra questi, alcuni dei musicisti che hanno già collaborato con Lorenzo: Salmo, «che utilizza codici hip-hop ma potrebbe far musica con la chitarra acustica, perché ha una poetica»; i Tre Allegri Ragazzi Morti anche se «il termine indie non mi piace, la scena off da noi non esiste»; le Luci della Centrale Elettrica di Vasco Brondi, anche se «non è detto che l’obiettivo di Vasco sia suonare a San Siro. Il mondo è frammentario, non c’è più nemmeno un mainstream del desiderio». Il mainstream oggi è la gratificazione immediata di YouTube: «Mia figlia segue gli youtuber come io guardavo Discoring. È stata sei ore in fila per farsi firmare un libro da uno dei suoi preferiti, poi sono andato a vederlo, mi ha fatto tenerezza. Se avessi 18 anni farei quella roba lì. La rete ha cambiato tutto e loro sono bravi perché sono giovani, hanno la naturalezza per parlare ai loro coetanei. Con la JovaTv lavoro in forma diversa. Cerco una modalità meno seduttiva, quell’energia preferisco metterla in una canzone». Il cerchio è completo. Siamo tornati alla canzone, al sacro graal della leggerezza, non a caso una delle parole chiave di Lorenzo. «Non sono un tipo leggero. Sono problematico anche rispetto alla produzione della leggerezza. Da ragazzi veniva più facile, ci si pensava meno». Certo, il «pensiero è sopravvalutato, conta moltissimo l’istinto», ma il Jova adulto si trova a riflettere spesso sull’Italia, «come capita con un parente malato, che vorresti guarisse». A volte sono proprio storia e bellezza che ci fregano. «A New York una sera ho cenato con un grande imprenditore. Mi fa: “I paesi di grande estensione come l’America non colpevolizzano la ricchezza, perché la mia ricchezza non è la tua povertà. Ho saputo prendere, ma ce n’è per tutti. Nel tuo paese”, mi ha detto, “è tutto occupato, c’è l’idea che la ricchezza, la torta, sia finita”. E quest’idea in fondo penalizza lo sviluppo». Il paesaggio di Cortona, iper-lavorato, curato fino all’ultimo dettaglio nei secoli, ha in sé un’idea di perfezione che si può solo preservare. Nella forza primitiva di una cascata, invece, ci sono caos e potenzialità. Come in una nuova vita.