Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 04 Mercoledì calendario

FAME DI LIBRI


[Ernesto Mauri]

Sono quarantotto e hanno firmato un appello, pubblicato il 21 febbraio dal Corriere della Sera, che più tosto non si può: “Noi autori della casa editrice Bompiani (insieme ad alcuni amici che pubblicano presso altri editori, intellettuali e artisti) manifestiamo la nostra preoccupazione per il ventilato acquisto della Rcs Libri da parte della Mondadori, eccetera eccetera”. Primo firmatario Umberto Eco, poi via i nomi, da Nanni Balestrini a Pietrangelo Buttafuoco, da Furio Colombo ad Andrea De Carlo, da Paolo Giordano a Dacia Maraini, da Franco Battiato a Carmen Moravia. E il giorno dopo se ne sono aggiunti altri. Lo scenario che i firmatari prefigurano è da Armageddon: “Un colosso del genere (Mondadori più Rcs Libri: ndr) avrebbe enorme potere contrattuale nei confronti degli autori, dominerebbe le librerie, ucciderebbe a poco a poco le piccole case editrici e (risultato marginale ma non del tutto trascurabile) renderebbe ridicolmente prevedibili quelle competizioni che si chiamano premi letterari”. Preoccupazioni sacrosante, ma che non entrano nel merito del vero problema, cioè come ridare fiato e possibilità di sopravvivenza a un’industria culturale in sofferenza perché costretta a misurarsi con la trasformazione tecnologica e, per la prima volta, con un sensibile calo delle vendite e dei lettori. Non a caso negli ultimi mesi gli editori, come svegliati da un lungo letargo, stanno moltiplicando le iniziative di promozione del libro e della lettura, dall’espansione di Bookcity alla proclamazione di Milano Città del libro 2015, fino alla campagna #ioleggoperché appena lanciata dall’Associazione italiana editori che affida a migliaia di Messaggeri volontari il compito di scovare non lettori ai quali regalare un libro da qui al 23 aprile, giornata dedicata al libro nelle scuole, nelle biblioteche, nelle piazze di diverse città, sugli schermi di Raitre.
D’altro canto c’era da aspettarselo che la mossa del duo più anomalo del management editoriale italiano – Ernesto Mauri e Pietro Scott Jovane – avrebbe scatenato contestazioni e argomenti incendiari. Mauri è amministratore delegato della Mondadori dal 20 marzo 2013, chiamato in servizio da Marina Berlusconi con un obiettivo chiaro: tirar fuori dalle sabbie mobili la casa editrice che nell’esercizio 2012 lamentava una perdita di 166,1 milioni di euro. Mauri ci sta, ma avverte che non saranno rose e fiori, che qualche testa è destinata a cadere e che lui non è tipo da perdere tempo in complimenti. Prendere o lasciare. Marina prende, perché sa che può fidarsi di questo manager dal sorriso ampio e dalla risposta svelta e decisa, che in Mondadori ha fatto una parte importante della sua carriera, prima come direttore generale dei periodici dal ’91 al 2000, poi dal luglio 2007 al vertice di Mondadori France e di nuovo direttore generale dei periodici dal novembre 2012.
Dopo aver messo sul tavolo operatorio i periodici e aver tagliato tutto il tagliabile, Mauri si dedica al digitale, al settore della pubblicità con l’integrazione con Mediamond, al retail e alla radio. Inevitabile alla fine di questo percorso ripensare anche la strategia sui libri, che hanno ormai un peso economico maggiore di quello dei periodici. Il 25 novembre 2014 il Cda di Mondadori approva la costituzione di Mondadori Libri, ramo d’azienda al quale vengono conferiti Edizioni Mondadori, Einaudi, Piemme, Sperling & Kupfer, Mondadori Education, Electa, il 50% di Harlequin Mondadori, il 34,91% della società di distribuzione Mach 2 Libri. Il Cda di Mondadori Libri si riunisce per la prima volta il 21 gennaio 2015 e si capisce la dimensione della rivoluzione in atto: Ernesto Mauri è presidente. Gian Arturo Ferrari vice presidente, Enrico Selva Coddè amministratore delegato dell’area Trade, Antonio Porro confermato amministratore delegato dell’area Educational ed Electa. Esce dal gruppo Riccardo Cavaliere, dal 2009 direttore generale di Libri Trade e amministratore delegato di Einaudi. Insomma un terremoto, il cui ultimo sussulto è stato un’altra uscita, quella di Eugenio Trombetta Panigadi, in Mondadori da quasi 25 anni, prima ai periodici dove, fra le tante cose, è stato il mago delle vendite congiunte, e poi dal settembre 2011 ai libri come amministratore delegato di Piemme e Sperling & Kupfer. Cariche, queste ultime due, che il prossimo Cda di Mondadori Libri affiderà a Selva Coddè.
Ma il coup de théâtre è il gran ritorno a Segrate come vice presidente, con l’incarico di sovraintendere sul mondo degli autori e degli agenti, di Gian Arturo Ferrari, dominus dei libri dal 1997 al 2009 quando ha inanellato un successo dopo l’altro, dai best seller di Dan Brown a ‘Gomorra’ di Roberto Saviano. Ferrari ha tutta l’aria dell’intellettuale high-brow ma nei fatti è uomo concreto che con Mauri si intende al volo, ed è lui infatti che gli consiglia di affidare la gestione dell’area Trade a Selva Coddé, che nell’era Ferrari è stato amministratore delegato dell’Einaudi dal 2002 al 2008 per poi diventare direttore centrale Risorse umane e organizzazione della Mondadori.
La scelta viene spiegata dallo stesso Mauri con la volontà di allargare e rafforzare ulteriormente l’azione della casa editrice nel mercato del libro, strategia che rende plausibili le voci che subito cominciano a correre su una possibile fusione con la Rcs Libri. Il 18 febbraio, su richiesta della Consob, due comunicati stampa – uno di Mondadori e l’altro di Rcs MediaGroup – schizzano fuori dai computer. Viene così ufficializzata l’esistenza da parte della casa editrice della famiglia Berlusconi di “una manifestazione di interesse non vincolante relativa a una eventuale operazione di acquisizione dell’intera partecipazione detenuta da Rcs MediaGroup spa in Rcs Libri spa, pari al 99,9% del capitale sociale, nonché dell’ulteriore complesso di beni e attività che costituiscono l’ambito librario di Rcs MediaGroup”. Dopo tante supposizioni e pettegolezzi ecco una vera e propria dichiarazione d’intenti (o di guerra, dipende dai punti di vista).
Parte così un gemere ininterrotto di suonerie di cellulari, di annunci allarmati e balbettii increduli, quindi la liturgia dei comunicati sindacali (i Cdr di Gazzetta dello Sport, Rcs Periodici, le Rsu di Rcs MediaGroup, Rcs MediaGroup Quotidiani, Rcs Produzione Milano, Rcs Area Roma dichiarano di apprendere “con estrema preoccupazione” la vicenda della cessione, certi che “il gruppo verrebbe sfigurato e privato di una parte rilevante della sua identità culturale”). Le prime reazioni inorridite di intellettuali a cui fa da sponda il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, che cinguetta tutta la sua apprensione per “come funzionerebbero le cose in un Paese con un’unica azienda che controlla la metà del mercato, con l’altra metà frammentata in piccole e piccolissime case editrici”. Venerdì 20 salta in pista Repubblica – che quando ci sono di mezzo Berlusconi e la cultura è come una leonessa che sente odore di sangue – e dedica due pagine intitolate ‘Allarme editoria – Fermate il nuovo colosso Mondadori-Rcs’ in cui Simonetta Fiori, sentendo numerosi pareri, incorre in una gaffe imbarazzante attribuendo delle dichiarazior a Ernesto Franco, direttore editoriale dell’Einaudi, che invece erano state rilasciate da Ernesto Ferrero, ex Einaudi oggi a capo del Salone del Libro di Torino. L’argomento tiene banco anche sull’Espresso e sulle pagine della cultura di molti quotidiani. Sabato 21 febbraio tocca ai quarantotto firmatari del primo appello. Poi si aggiunge Le Monde. E siamo solo all’inizio.
Quando entriamo nell’ufficio di Ernesto Mauri lo guardiamo con un certa curiosità, chiedendoci come ci racconterà questa storia dinamitarda. Lui pare tranquillo e sorridente come al solito. Sta per offrirci un caffè quando gli squilla il cellulare. Vede il numero, capisce che non può ignorare la chiamata e si scusa con noi allontanandosi. Torna dopo cinque minuti buoni. Era Pietro Scott Jovane, l’amministratore delegato di Rcs MediaGroup. Che i due manager siano in contatto, dopo tutto il casino che hanno armato, è cosa ovvia. Ora il pallino è nelle mani di Rcs dove la vendita della Libri metterebbe una provvidenziale pezza a una situazione finanziaria problematica, soprattutto per il debito bancario vicino al mezzo miliardo di euro e in vista del rispetto dei covenant con le banche creditrici. Il Cda di Rcs MediaGroup (che tra l’altro è in scadenza il 23 aprile) dovrà decidere se aprire la trattativa, a quel punto l’offerta della Mondadori diventerebbe vincolante e si aprirebbe la due diligence per permettere al gruppo di Segrate di valutare le condizioni economiche di Rcs Libri e formulare l’offerta. Ma si sa che sulla cessione ci sono pareri divergenti sia all’interno del Cda (contrarissimo Piergaetano Marchetti) sia tra i soci. Urbano Cairo, azionista al 3%, non nasconde la sua contrarietà: “Non ho comprato azioni Rcs in una ipotesi liquidatoria dell’azienda”, ha dichiarato a Italia Oggi. “E invece assisto a una costante liquidazione dei gioielli di famiglia, in una strategia di dismissioni che faccio fatica a capire. Comprendo che ci sia un debito da tenere sotto controllo. Ma un’azienda va gestita, troppo facile farla a pezzettini, vendendoli uno a uno. Operazioni che mi lasciano perplesso”. La Borsa invece dimostra di apprezzare: il titolo di Rcs MediaGroup ha subito guadagnato, quello di Mondadori prima è sceso e poi è risalito.
Le prime stime di mercato quantificano l’operazione tra i 120 e i 150 milioni per una Rcs Libri valutata a bilancio nel 2013 a 180 milioni. Sempre nel 2013, Rcs Libri aveva fatturato 251,8 milioni con un margine operativo lordo di 4,2, mentre i libri Mondadori erano a quota 334,3 con un margine operativo lordo di 46,2. Si definirebbe così il profilo di un gruppo che raggiungerebbe una quota di mercato attorno al 38%, caso unico a livello internazionale anche dopo le maxi acquisizioni degli ultimi anni come quella della Penguin da parte di Random House. Invocato da molti e praticamente certo l’intervento dell’Antitrust, che potrebbe aprire un’istruttoria lunga e complessa prendendo in esame le quote di mercato delle due società nelle diverse aree librarie in cui sono presenti, tra le quali l’educational dove il matrimonio porrebbe fine a una situazione che da tempo vede i quattro principali protagonisti spartirsi il mercato con quote non troppo distanti luna dall’altra.
In attesa di altri bollettini di guerra, l’unica cosa certa è che la Mondadori punta molto sui libri segnando un cambio di strategia a cui il gruppo è arrivato dopo la riorganizzazione a tappe forzate realizata da Mauri, che oggi può annunciare per il 2014 un risultato in “sostanziale pareggio e un margine operativo lordo superiore ai 66,5 milioni del 2012”.
Questo signore, se da un lato ha smontato buona parte delle costose strutture centrali (il cui snellimento costituiva tre quarti dei 100 milioni di riduzione dei costi da realizzare entro il 2015, obiettivo già raggiunto nel 2014) e liquidato i relativi responsabili, dall’altro ha voluto informare e responsabilizzare tutti i dipendenti con una e-mail, datata 13 maggio 2013 e intitolata ’Cambiare passo, subito’, in cui illustrava le difficoltà e spiegava il come e il perché delle misure adottate per salvare l’azienda.
“La situazione era questa”, racconta Mauri: “Il business principale, cioè i periodici in Italia, che nel 2008 fatturavano 600 milioni con 95 milioni di margine, nel 2013 erano scesi a 325 milioni con una perdita di 20. Non c’era certo tempo da perdere: quando la casa brucia bisogna spegnere l’incendio prima che attacchi le case vicine. Ed è quello che abbiamo fatto insieme a Carlo Mandelli: mettere in sicurezza i conti della periodici. Perciò risparmio di costi, tagli, l’accordo sui contratti di solidarietà per i giornalisti, cambio di direttori, una riduzione del portafoglio di ben undici testate. E naturalmente un gran lavoro di risistemazione e di rilancio dei nostri brand più importanti, perché la Mondadori stava rischiando di appannare il primato dei suoi periodici”.
E questo è stato, per così dire, un lavoro facile, perché Mauri dei periodici è un grande specialista, e per di più giocava in casa vista la sua lunga esperienza in Mondadori e la conoscenza del gruppo. Ora però si apre una nuova stagione in cui protagonisti saranno i libri, al punto da osare un’operazione come l’acquisto del principale concorrente.
Prima – Dica la verità, mentre tesseva la tela dell’operazione Rcs Libri non s’immaginava di scatenare un simile pandemonio.
Ernesto Mauri – Diciamo che l’avevo messo in conto. Però mi faccia dire una cosa: io sono del tutto convinto che sarebbe un’operazione positiva per tutto il sistema editoriale italiano.
Prima – Intanto ci dica perché sarebbe positiva per la Mondadori.
E. Mauri – Guardi, il ragionamento è lineare. I due business fondamentali della Mondadori sono i periodici e i libri. Prima i libri avevano una marginalità inferiore ai periodici, adesso è il contrario e in più sono un settore dove il digitale non rappresenta un rischio ma una opportunità di crescita. È evidente che oggi i libri sono il business strategico e prioritario per Mondadori. Avremmo l’opportunità di crescere nel settore che può rendere di più e dove sappiamo fare molto bene il nostro mestiere.
Prima – Però il nuovo gruppo arriverebbe dall’attuale 26% della Mondadori quasi al 40% del mercato Trade, cioè narrativa, saggistica, illustrati, varia, e avrebbe anche la leadership nella scolastica. Insomma un gigante, certamente con un rapporto di forza diverso con i partner industriali e commerciali, Amazon per dirne uno, ma con una quota di mercato che nessun editore ha in Europa.
E. Mauri – Non sto dicendo niente di nuovo perché è già successo in altri settori, ma in un business in cui il mercato si restringe l’unica strategia sensata per mantenere redditività è non disperdere le forze e concentrarsi dove si può aumentare il proprio peso. Credo che sia davvero tramontata l’epoca in cui un editore poteva avere varie attività tutte più o meno della stessa rilevanza. Oggi conti solo se sei leader e la Mondadori vuole lavorare in mercati in cui è leader. Lei mi chiede della quota di mercato. È vero, ma il paragone va fatto sulle dimensioni totali di ciascun Paese. Per dire, Hachette in Francia con il 25% del mercato è tre volte la Mondadori. In un mercato del libro di dimensioni ridotte come quello italiano, di fronte alla contrazione delle vendite a cui assistiamo da tre anni a essere minacciata è la solidità economica delle case editrici e di conseguenza la loro possibilità d’investire. Prima di tutto sugli autori, che sono il vero patrimonio.
Prima – Proprio gli autori sono stati i primi a dirsi preoccupati per la possibilità di una concentrazione che temono metterebbe a rischio l’indipendenza e l’identità culturale dei diversi marchi.
E. Mauri – Questa è un’obiezione che davvero capisco poco ed è smentita dai fatti. Come si può pensare che un editore non preservi i suoi marchi? Mondadori ha dimostrato di saperlo fare perché l’obiettivo primario – e mi sembra di dire una cosa ovvia – è mantenere l’autonomia delle diverse identità, che sono un valore essenziale. Però ci devono essere le risorse per alimentarle e farle crescere, per pagare gli autori, comprare i diritti. In una parola, nell’attuale situazione del mercato italiano del libro per difendere le case editrici bisogna ritornare a fare profitti. E questa è la migliore garanzia d’indipendenza. Ricordo che negli anni Ottanta l’Einaudi era in gravissime difficoltà economiche: Mondadori l’ha rilevala all’inizio degli anni Novanta e da quel momento è stata una storia costante di successi editoriali e di crescita economica.
Prima – Se anche si farà, l’acquisizione sarà comunque un’operazione lunga. Quindi torniamo all’attuale Mondadori Libri: a gennaio l’organigramma è stato rivoluzionato con l’uscita di Riccardo Cavallero, l’arrivo di Enrico Selva Coddè e il ritorno di Gian Arturo Ferrari. Quando è stato annunciato c’è chi ha parlato di restaurazione.
E. Mauri – Restaurazione? Mi viene da ridere. Le cose che faremo nei libri saranno molto avanzate, per questo abbiamo scelto Selva Coddè che vanta una grande conoscenza del gruppo e una lunga militanza in Einaudi. È inutile poi che stia a sprecare parole su Gian Arturo Ferrari, che con la sua esperienza ci darà un apporto nelle relazioni con gli autori e gli agenti. I nostri marchi editoriali vanno preservati, come è stato fatto con l’Einaudi che è il fiore all’occhiello della società, è il marchio che ha meno risentito della crisi delle vendite, ha mantenuto eccellenti i suoi risultati e non ha perso quote di mercato. Mondadori Edizioni ha un po’ sofferto, e questo non posso accettarlo.
Prima – Stiamo comunque parlando di un settore ancora molto redditizio per la Mondadori.
E. Mauri – Vorrei vedere che non fosse redditizio. L’Educational funziona benissimo, nel 2014 abbiamo mantenuto il fatturato praticamente stabile e negli ultimi quattro anni abbiamo aumentato il margine del 50% grazie all’ottimo lavoro di Antonio Porro. Nel Trade c’è invece un calo del mercato del 4% e comunque la redditività di quella che adesso è Mondadori Libri è scesa al 13%. Per me il riferimento non sono gli altri editori italiani, ma i grandi editori internazionali come Random House o Hachette che hanno un margine attorno al 16-18%.
Prima – Allora quali sono i punti deboli?
E. Mauri – Quello che cambia il risultato è la capacità di gestire: ridurre i costi in relazione al fatto che i ricavi non salgono e non trascurare i prodotti. Ovvio che la qualità dei prodotti deve rimanere allo stesso livello di prima, ma oggi questo non basta più se non si è capaci anche di rivedere i processi.
Prima – È quello che dovrà fare Selva Coddè, che in pratica ha nelle sue mani tutti i marchi Trade?
E. Mauri – È stato sei anni amministratore delegato di Einaudi con ottimi risultati, di libri ne capisce e con Ferrari sarà una coppia formidabile. È l’uomo giusto perché la macchina editoriale è fatta anche di tirature, numero di titoli, marketing e oggi deve essere adeguata a un business in trasformazione. Selva Coddè conosce benissimo la Mondadori, era responsabile anche della parte organizzativa e sa come gestire i momenti difficili. In più abbiamo appena nominato direttore generale dell’area Trade Giorgio Cavagnino, che mantiene la carica operativa che ha già in Einaudi. Non ho dubbi che insieme sapranno modificare l’assetto per tornare alla crescita.
Prima – Facciamo un passo indietro al 2013. Dopo l’intervento sui periodici, la casa che bruciava, la prima cosa di cui si è occupato è stato il digitale, che per la Mondadori vuol dire periodici ma anche e-book e marketing. Come ha deciso cosa fare in un campo in cui gli editori faticano a trovare una strategia vincente?
E. Mauri – Ho visto e ascoltato tutte le maggiori società di consulenza che si occupano di media in campo internazionale per capire quale fosse il modello di business giusto per noi nell’epoca digitale. Abbiamo creato la struttura Digital Innovation con Federico Rampolla proprio per fare sviluppo in aree differenti: oltre a quelle che lei ha citato, ci tengo a dire che per Mondadori digitale significa anche e-commerce e marketing Service. Poi Rampolla ha preso Carlo Panzalis che si occupa di tecnologia, altri specialisti per il marketing, l’e-commerce, eccetera, e oggi questa struttura può contare su una sessantina di persone.
Prima – Avete anche fatto delle acquisizioni: l’ultima, lo scorso dicembre, è la società di digital marketing Kiver. Ma in casa per il direct marketing non avevate già la Cemit?
E. Mauri – Certo, ma è a questo che serve il team della Digital Innovation: dare indicazioni su come un business che abbiamo sempre fatto può continuare a essere un business con il digitale. Cemit non bastava più perché la profilazione dei target è sempre più sofisticata e un gruppo come Mondadori attraverso i periodici, i siti dei giornali e dei libri, i negozi, raccoglie una quantità di dati preziosissimi per creare nuovi servizi per gli utenti e anche per gli investitori pubblicitari. Ma questi dati bisogna elaborarli e sfruttarli nel modo giusto, ed è quello che faremo con Kiver.
Prima – E sui periodici qual è la sua opinione, quanto il digitale potrà contribuire a mantenerli redditizi? In casa avete un bell’esempio, Donnamoderna.com che già dalla fine del 2013 produce utili, ma sono pochissimi i siti in attivo, non solo per la Mondadori.
E. Mauri – Guardi, c’è poco da girarci intorno: i periodici non avranno più incrementi diffusionali e pubblicitari significativi, quindi il digitale è indispensabile. Ma non è che ogni testata può avere il suo sito, bisogna saper individuare quelle che hanno una potenzialità digitale e scegliere i settori dove puoi creare valore aggiunto. Donnamoderna.com è l’estensione di un brand storicamente fortissimo e che tra l’altro ha avuto una presenza molto precoce nel digitale, non a caso oggi è diventato il secondo sito femminile e vale un 30% del fatturato pubblicitario complessivo del brand. Un sistema verticale come quello che abbiamo creato l’anno scorso nell’area della cucina con Salepepe.it, che ha già superato il milione di utenti unici al mese e dove possiamo avere un ruolo forte, è un altro modello giusto. E va sfruttato pienamente.
Prima – Però per Grazia, o meglio per il Grazia International Network, ha puntato sull’e-commerce con il sito Graziashop.com che avete lanciato alla fine dello scorso anno. Per editori stranieri come Burda o Springer l’e-commerce ormai è una significativa fonte di guadagno: lei quanto ci crede?
E. Mauri – Non ho dubbi che come editori sull’e-commerce bisogna esserci, soprattutto credo che vada sfruttato ovunque sia possibile. Lo faremo anche su Salepepe. it, tanto per dire. Con Graziashop stiamo facendo un’operazione importante sulla redditività del brand basata su un’opportunità straordinaria come il network intemazionale, che significa 24 edizioni nel mondo, più di 17 milioni di lettrici e 16 milioni di utenti sul web.
Prima – Il primo nucleo di Graziashop è il sito London-boutiques.com che avete comprato nel maggio dello scorso anno. Come funziona il sistema?
E. Mauri – È una piattaforma, di nostra proprietà, dove offriamo abbigliamento e accessori selezionati da un certo numero di boutique di diversi Paesi europei. Devono essere almeno cento, e ancora non ci siamo arrivati. E proprio perché è necessario che l’offerta di prodotti sia ricca, stiamo valutando accordi con operatori importanti nell’e-commerce della moda come Yoox.com e altri. Il valore aggiunto viene dal brand Grazia che interpreta in un modo preciso la moda e ti dice cosa è trendy, anche con l’aiuto delle fashion blogger più seguite che stiamo ingaggiando. Tutto deve essere coerente con la linea e l’immagine di Grazia, difatti a occuparsi di questo aspetto è Fiona McIntosh che è stata la prima direttrice di Grazia Uk.
Prima – A proposito di Grazia, in Francia da un paio di mesi è cambiato il direttore e per la prima volta è un uomo, Joseph Ghosn. Come mai questa scelta?
E. Mauri – Ghosn è alla sua prima esperienza in un femminile dopo essere stato direttore editoriale dei siti di Condé Nast, giornalista dell’Inrockuptibles, caporedattore dell’Obsession, il mensile del Nouvel Obs, e crediamo sia la persona giusta in un momento in cui i femminili in Francia stanno cambiando l’approccio alle lettrici. Anche Elle e Marie Claire l’anno scorso hanno cambiato direttori, tutti stiamo andando verso giornali di maggiore contenuto. La frivolezza i si trova gratis sul web e se un femminile non da qualcosa di unico e di stimolante, non solo nell’attualità ma anche nella moda e nella bellezza, le donne lo lasciano in edicola.
Prima – In generale come stanno andando i periodici di Mondadori France?
E. Mauri – Anche in Francia c’è un calo delle vendite e della raccolta pubblicitaria, ma la situazione è molto meno drammatica che in Italia. Mondadori France, grazie al lavoro fatto negli ultimi due anni da Carmine Perna sulla gestione dei costi, ha leggermente ridotto il fatturato riuscendo però a mantenere nel 2014 un margine operativo lordo superiore a quello del 2013. Anche i ricavi digitali sono già molto interessanti, con una crescita superiore al 20% all’anno.
Prima – Il Grazia International Network è un’iniziativa non riproducible con altri brand, anche perché di direttori come Carla Vanni ce ne uno solo. Ma avete in progetto uno sviluppo internazionale di altre testate?
E. Mauri – Cosa posso dire di Carla Vanni se non che la Mondadori dovrebbe farle un monumento? Un’altra testata che avrà una presenza internazionale importante è Interni: da questo mese è anche in Cina e ci sono in progetto una decina di nuove edizioni. Anche per Icon stiamo trattando una nuova edizione in Germania in aggiunta a quella spagnola. E abbiamo appena raggiunto un accordo di licensing con Panini Publishing per pubblicare II mio Papa, che ha solo un anno di vita, in Germania, Polonia e Brasile.
Prima – Un passaggio delicato che lei ha gestito è stata l’integrazione dall’inizio del 2014 della raccolta pubblicitaria dei periodici, della radio e del web in Mediamond, la joint venture costituita nel 2009 tra Mondadori Pubblicità e Publitalia. Un’operazione che aveva suscitato perplessità nell’ambiente editoriale, ma che rientrava fin dall’inizio nella sua strategia, anche di contenimento dei costi. Che giudizio dà dei risultati?
E. Mauri – Non capisco cosa ci fosse da essere perplessi. Comunque il giudizio è implicito nei fatti: per la prima volta dopo tre anni nel 2014 la nostra raccolta è andata meglio della media di mercato. Ma quello che più m’interessa è che con questa integrazione la competenza della rete commerciale stampa e radio è rimasta, non abbiamo perso né il know how né il focus sui prodotti e abbiamo guadagnato parecchie opportunità. Faccio un esempio: ci sono settori come il largo consumo o l’auto dove il mezzo televisivo è più forte della stampa, ma se al tavolo con il cliente c’è anche qualcuno che si occupa della stampa o della radio è possibile che saltino fuori delle idee su iniziative speciali che coinvolgono anche questi mezzi. Questo è quello che sta succedendo, come capita che con questa nuova organizzazione a un giornale arrivino ricavi pubblicitari dai clienti televisivi. La considero una nuova fonte di entrate che andrà incrementata, abbiamo cominciato l’anno scorso con ‘X-Style’ che su Canale 5 utilizzava contenuti di Grazia. È stato un esperimento positivo e a breve su La5 partirà un format quotidiano di Donna Moderna, una sorta di how to do sulla cosmetica, la moda, la cucina e tutti gli altri argomenti di cui abitualmente parla il giornale.
Prima – Più o meno un anno fa aveva annunciato che stavate studiando un nuovo modello di bookstore e lo avreste presentato questa primavera. Il retail, dove avete credo 550 negozi in franchising sui 600 totali, è l’altro importante settore in perdita che lei vuole portare in utile entro quest’anno.
E. Mauri – Confermo. Nel 2014 siamo tornati in utile con i periodici Italia, nel 2015 torniamo in utile con il retail. Abbiamo due ottimi manager che se ne occupano: Mario Malocchi come amministratore delegato e Mario Resca come presidente. Il primo esempio di nuovo bookstore lo apriremo a maggio a Milano, in via San Pietro all’Orto, nel cuore del Quadrilatero. Avrà all’interno un coffee shop e sarà focalizzato sui libri, con l’aggiunta di prodotti complementari e accessori di tecnologia, perché questa è la strada giusta, come dimostrano i risultati dei nostri negozi che l’anno scorso hanno aumentato la vendita di libri del 3,8% in un mercato che calava del 3,5%.
Prima – Mi sembra di capire che i multicenter Mondadori, quelli dove si vende un po’ di tutto comprese le apparecchiature elettroniche, non rientrano più nel vostro orizzonte.
E. Mauri – Che senso ha per noi vendere computer o televisori? Dobbiamo centrare tutto sull’innovazione che ruota attorno al libro, cioè sulla multicanalità dei punti ventita, su un nuovo e più attento rapporto con i clienti e sul giusto assortimento dei prodotti. In un settore per noi importante e che sta attraversando un momento di difficoltà ogni centesimo va utilizzato per investire sul futuro. Cosa che del resto vale per tutta questa azienda, che oggi sa in che direzione andare, ha le risorse per investire dove è necessario e ha un azionista che partecipa, supporta e condivide.
Intervista di Dina Bara e Alessandra Ravetta