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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

COMMERCIAL MADE IN CHINA


Da quando ho scritto l’ultimo articolo di questa rubrica sono successe molte cose interessanti. A partire dal tam tam mediatico sulle riprese di quello che sembrerebbe essere il commercial più costoso della storia, con un budget di produzione che, secondo le indiscrezioni, sfiora i 70 milioni di dollari. Uno spot da sogno, commissionato dal casinò «City of Dreams» di Manila, nelle Filippine, che vede coinvolto un team stellare: alla regia Martin Scorsese che ha diretto, per la prima volta insieme, due suoi attori storici, ossia Robert De Niro e Leonardo Di Caprio – con un cachet individuale di 13 milioni di dollari per due giorni di riprese.
Venendo a casa nostra, abbiamo assistito alle polemiche per la campagna gay-friendly del celebre brand di gioielleria Tiffany & Co. Si tratta, in realtà, di una serie di bellissimi annunci basati sugli scatti del grande fotografo Peter Lindbergh che ritraggono, di fianco alle immagini delle fedi nuziali firmate Tiffany, diverse coppie di innamorati evidentemente in procinto di fare il grande passo. Fra i sette soggetti della campagna c’è anche una coppia composta da due uomini, fatto che ha portato alcuni esponenti politici nostrani a denunciare questi annunci perché «irrispettosi dei valori e dell’identità del popolo italiano». Che cosa aggiungere? Nulla, certe idiozie si commentano da sole.

E il mondo gira...
Proseguendo nella lista, sempre da est verso ovest, arriviamo negli Stati Uniti dove si è appena disputato il Superbowl, cioè l’evento sportivo e la kermesse pubblicitaria più importante dell’anno, il «luogo» in cui gli spot sono attesi come uno spettacolo al pari delle prodezze dei football player schierati in campo. È stata, come sempre, una parata di spot, tutti da guardare, ammirare e naturalmente criticare.
Quest’anno, negli spazi pubblicitari più costosi del mondo è apparsa, per la prima volta, una campagna sociale [nomore.org, sulla violenza domestica) e, volendo indicare un «vincitore» della serata, ho trovato bello ed emozionante lo spot di Dove Man Care (Unilever) che, in risposta alla famosa celebrazione della mamma del brand concorrente P&G, punta tutto sulla figura del papà. Una strategia interessante, alla quale avevo quasi deciso di dedicare proprio questo articolo – e lo farò prestissimo, è una promessa – quando un’altra fresca notizia mi ha riportato ancora una volta verso est. Il colosso Dalian Wanda ha infatti acquisito per oltre 10 miliardi la società svizzera di marketing sportivo Infront. In altre parole, i diritti televisivi della Seria A e della Nazionale italiana sono finiti in mani cinesi. Sembrerebbe solo una notizia finanziaria ma non è così, perché è sui diritti TV e sulla pubblicità che oramai si gioca la vera partita del calcio. Staremo a vedere.
Insomma, non posso negare che, nell’ultimo mese, l’attualità del mondo pubblicitario mi abbia offerto numerosissimi spunti per scegliere l’argomento da affrontare in questa rubrica. E visto che con i pensieri, partendo dalle Filippine per arrivare alla Cina, ho già fatto il giro del globo, è proprio qui che ho deciso di fermarmi. Per curiosità, e solo per iniziare a ragionare sulla creatività con gli occhi a mandorla, cercando di rintracciare qualche spot «dei cinesi».

Il Celeste Impero
La Cina è il secondo paese al mondo per PIL nominale e, secondo Banca Mondiale e FMI, dal 2014 è primo assoluto per PIL moderato a parità di potere d’acquisto. Per dirla in poche battute: un paese enorme, comunista sulla carta, capitalista nella realtà e sempre più consumista. Una nazione dove, fino all’apertura di Deng Xiaoping nel 1979, la comunicazione era la propaganda di Stato e la pubblicità come la intendiamo noi era semplicemente proibita.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti del Celeste Impero e oggi la pubblicità è ovunque. Ma la Cina rimane un paese lontano, con linguaggi visivi molto diversi dai nostri e che vale la pena di conoscere. Nel 2009 Barbara Pietrasanta, pubblicitaria esperta nei mercati orientali, scriveva: «A separarci dalla Cina sono lo stile grafico, basato su schemi diversi e colori portatori di significati differenti da nostri, e l’uso della headline, che, nel caso del cinese, è sia visuale che verbale, visto che i caratteri incarnano entrambi gli aspetti» (da L’ideogramma al neon, Lupetti Editore). È ancora così? O la spinta globalizzatrice sta lentamente omologando anche il consumatore cinese?

Spot «made in China»
Non per rispondere alla domanda, ma per iniziare un discorso sull’advertising cinese, vi segnalo quelli che sono stati incoronati come i migliori spot cinesi nel 2014 dal programma Thoughtful China (cercateli su YouTube, scrivendo «China’s Best Ads in 2014»).
All’interno della trasmissione troverete subito un lungo commercial dell’automobile Buick Encore, pieno di auto coperte di schiuma, musica ritmata e persone festose, dove l’auto è il modo per «lavare via» stress e pensieri negativi, ripartendo con allegria come fanno gli oltre 100.000 proprietari di Buick in Cina. Ben fatto, ma distante dalle nostre corde, sia a livello di immagini che di retorica complessiva del messaggio. Poi però viene mostrato lo spot di un produttore di acqua che presenta la nuova bottiglietta personalizzabile. Non si tratta di un’operazione complessa come quella ideata dalla Coca Cola per avere una lattina con scritto il proprio nome, ma di un’idea semplice e creativa per scrivere o disegnare sull’etichetta con un dito. Uno spot intelligente e allegro, divenuto virale sul Web, che mi piacerebbe vedere in onda anche nella TV di casa nostra. Poi c’è un video che interpreta l’identità cinese di oggi raccontandola a partire dalle classiche bacchette per mangiare. Immagini emozionanti e testi intensi, come i migliori commercial istituzionali del nostro mondo. Più avanti c’è lo spot di una app per fare nuovi amici e condividere esperienze. Molto creativo e coinvolgente, è talmente ben pensato che funzionerebbe dovunque – magari cambiando gli attori. E, infine, una campagna dai toni forti ma memorabile e intelligente sulla sicurezza dei pedoni nel traffico, tutta incentrata sull’importanza dei segnali stradali. Uno di quegli spot sociali che ce ne fossero, da noi...
Mi fermo qui e vi invito a gustarvi questi spot «made in China». Forse anche voi, come me, finirete per concludere che a livello di creatività, immagini e narrazione, le grandi differenze stanno diventando sempre meno grandi.