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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

TRA PITTURA E FOLLIA OMICIDA


Richard Dadd nasce il 1° agosto 1817 a Chatham, una cittadina del Kent a 50 chilometri da Londra. Il padre è un chimico farmacista, Richard uno dei sette figli, la cui madre muore poco prima dell’ultimo parto. Robert Dadd si risposa e genera altri due figli, ma nel 1830 rimane vedovo per la seconda volta.
Fin dall’infanzia Richard mostra una grande capacità nel disegno e nella pittura. Nel 1834 la famiglia si trasferisce a Londra e abita nei pressi di Trafalgar Square, dove, a partire 1837, si situano anche la National Gallery e la Royal Academy of Arts: Richard vi sarà ammesso all’età di vent’anni. Nel 1839 inizia a vivere in modo indipendente, trovando casa in Oxford Street, che è il quartiere londinese degli artisti. Nel 1840 ottiene un riconoscimento ufficiale con l’assegnazione della medaglia nazionale per la pittura. Con alcuni amici fonda The Clique, un gruppo che tenta di dare un particolare significato al lavoro dei pittori.
Siamo in pieno periodo vittoriano: dominano il realismo pittorico, il ritratto, la decorazione e la pruderie. Spesso il disegno accompagna i libri di novelle e i romanzi, e Richard Dadd riceve commissioni in entrambi questi domini. Una delle caratteristiche che lo distinguono è la grande immaginazione, e nel 1842, a 25 anni, gode già di una propria posizione nell’arte pittorica vittoriana; le sue opere cominciano a interessare il mercato e, quindi, i collezionisti.

Cambiamento di personalità
Nel luglio di quell’anno sir Thomas Phillips chiede a Dadd di accompagnarlo come bozzettista in una spedizione che include paesi europei, ma anche la Turchia, e arriva fino in Egitto. Dadd accetta e i due partono, ma verso la fine di dicembre, mentre si trovano su una barca sul Nilo, si manifesta una vera e propria metamorfosi della personalità del pittore: appare delirante e violento, afferma di trovarsi sotto l’influenza di Osiride, il dio egiziano. Gli episodi si ripetono nel viaggio di ritorno. Giunto a Roma nell’aprile del 1843, Dadd parla esclusivamente di temi religiosi, fa riferimenti negativi alla cristianità, attacca il papa, Gregorio XVI, durante un’apparizione pubblica. Vede il demonio nella maggior parte delle opere che visita nelle Gallerie Vaticane. Presenta idee di tipo persecutorio, timori di una congiura per attentare alla sua salute. (Nicholas Tromans, Richard Dadd. The artist and the asylum. Art Publisher, New York, 2011).
Nel maggio del 1843 arrivano a Parigi, e qui Dadd abbandona il suo compagno e decide di ritornare da solo in Inghilterra, ma in maniera veramente bizzarra: viaggiando a cavallo, cambiandolo nelle varie stazioni di posta. E particolarmente sospettoso e mutacico e il suo comportamento «strano» continua anche giunto a Londra. L’impressione di alcuni è che sia dovuto a un colpo di sole, mentre altri pensano che sia impazzito.
Nell’agosto del 1843 il padre di Richard decide di portarlo da Alexander Sutherland, psichiatra al Saint Luke’s Hospital for Lunatics. Il responso è «pericoloso, ha bisogno urgente di quiete e terapia – cioè di ricovero». Il padre decide di «sanarlo» con un periodo di riposo fuori Londra nel pittoresco villaggio di Cobham.
Arriva il 28 agosto, e il figlio chiede insistentemente al padre di fare una passeggiata nel vicino parco. Raggiuntolo, Richard estrae un rasoio e, convinto che sia un demonio, uccide il padre. E mentre è morente gli grida «Vai e dì al grande dio Osiride che io ti ho ucciso per rendere lui libero».
Ha tentato di colpire con il rasoio i grandi vasi del collo, ma per finirlo ha usato un coltello colpendolo al torace. Prima dell’omicidio ha preparato la fuga, ha con sé il passaporto. Si dirige nella strada per Rochester, si ferma in un’osteria per ripulirsi e alle 4.15 arriva a Dover, dove noleggia una barca per Calais. Qui, cambiati gli abiti, prende una diligenza diretta verso il sud della Francia, ma quando si trova nella foresta di Fontainbleau, si sente chiamato (le voci); è sera, vede in cielo due stelle che si muovono insieme e «questo è il segnale per attaccare il passeggero vicino». Estrae un altro rasoio, infligge alla vittima quattro colpi prima di essere fermato e arrestato. Viene messo in carcere, è il 30 agosto 1843. Più tardi, il 20 settembre, su ordinanza del prefetto della Senna e della Marna è ricoverato nella Maison d’Alienés di Clermont.
I medici lo trovano «affetto da monomania omicida», e così lo descrivono: «Questo giovane ha commesso un omicidio in Inghilterra, si crede ispirato e obbligato a togliere la vita a certe persone nel momento dei suoi deliri (...) preda di impulsi interiori irresistibili (...) ha dei comandi dal cielo a cui non può resistere; questa voce interiore gli impone di mettere a morte tutti i diavoli che tentano di entrare nel suo corpo e quando entrano egli diventa furioso». Il 26 luglio 1844 viene estradato a Londra per estradizione. Ricoverato presso il Bethlem Psychiatric Hospital (Bedlam) il 22 agosto, vi rimarrà per vent’anni, e sarà poi spostato al Broadmoore Hospital, nato come luogo esclusivo per i malati pericolosi.

Diagnosi d’epoca
Occorre ricordare che in quel periodo, la prima metà dell’Ottocento, si era ben lontani dalla nosografia e dalle terapie attuali (a Clermont, Richard Dadd viene sottoposto solo alle «docce fredde») e non si poteva ancora fare diagnosi di demenza precoce, termine che sarà introdotto da Emil Kraepelin nel 1900 e di schizofrenia, termine introdotto nel 1911 da Eugen Bleuler.
Quando Dadd entra a Bethlem, nel 1844, le categorie psichiatriche riconosciute sono: mania (e monomania), melancolia, demenza (decadimento delle facoltà mentali), moral insanity (introdotta nel 1835 da James Cowles Prichard, psichiatra quacchero), idiozia e imbecillità. Visti oggi, i sintomi, fin dal primo ricovero, lo situano indiscutibilmente nella diagnosi di schizofrenia paranoidea.
Va ricordato che, nella famiglia Dadd, anche George, il fratello più giovane, è stato ricoverato a Bethlem nel 1843 e vi morirà nel 1868, e che Maria Dadd vi è entrata nel 1844 per la prima volta e dal 1853 vi risiederà stabilmente. Anche Stephen, il secondo fratello, soffri di disturbi sempre riferiti al campo che oggi chiamiamo della schizofrenia; ma è anche interessante rilevare che, oltre a Richard, altri due componenti della famiglia hanno mostrato rilevanti caratteristiche artistiche.

Arte e malattia mentale
Richard Dadd rimane nei due manicomi londinesi per 42 anni – muore infatti il 7 gennaio 1886 – ma continua a dipingere, spinto a farlo dai medici e seguito persino da quel mondo dell’arte e dei collezionisti che già lo aveva apprezzato prima della malattia. Indubbiamente è uno dei casi che hanno tenuto vivo in Inghilterra, nella seconda metà dell’Ottocento, il tema del rapporto tra arte e follia che in Italia aveva come sostenitore e teorico Cesare Lombroso.
Il caso Dadd è indicativo di quei pittori già affermati che diventano folli successivamente e continuano a dipingere, una categoria che si è voluto distinguere dai pittori che invece hanno iniziato l’attività artistica solo dopo la malattia e, in genere, nel manicomio. Su questo tema, è interessante notare come nella pittura di Richard Dadd la tecnica non sia affatto mutata; ciò che invece muta considerevolmente è la «decostruzione» del naturalismo precedente, con l’aggiunta di oggetti (simboli) che trovano una collocazione incongrua. Si rileva talora una «sfrenata» immaginazione che mostra aspetti visionari e lo avvicina a William Blake. Inoltre arriva all’horror vacui.
È comunque degno di nota che, dal punto di vista del percorso d’arte, i critici non hanno arbitrariamente declassato Richard Dadd in quanto malato, ma hanno giustamente parlato di tre periodi: il periodo giovanile, il periodo di Bethlem, il periodo di Broadmoore. È un esempio che si dovrebbe applicare in tanti altri casi di pittori che hanno frequentato i luoghi dell’internamento per disturbi della mente.