Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

FELTRI AL CETRIOLO: «L’INTELLIGHENZIA PIÙ O MENO DI SINISTRA SE LA PASSA MALE, ROTTAMATA DAL CICLONE RENZI, CHE È RIUSCITO DOVE HA FALLITO BERLUSCONI»

Direttore Feltri, ieri le Invasioni barbariche di Daria Bignardi sono scese sotto il 3% di share, Del Debbio che quasi doppia Formigli, Santoro che si dispera, il Fatto Quotidiano e il Foglio continuano a bruciare copie e rimpiangono l’era Berlusconi-superstar, gli autori radical chic strillano per l’operazione Mondadori-Rcs Libri ma i libri di carta non li legge più nessuno. Che succede?
«Succede che certe élite più o meno di sinistra non se la passano tanto bene. Quello del talk show è un genere che per fortuna non incontra più. Probabilmente ha stancato. Quello che fanno i conduttori in queste trasmissioni è scontato. Sai già che diranno il giorno dopo e che ospiti avranno. Sempre gli stessi, per altro, e mi ci metto anch’io. L’altra sera ho visto la Bignardi che intervistava Silvio Muccino. Un disastro».
In che senso?
«Lei ha fatto domande normali, sul fratello, ad esempio. E lui, forse per apparire intelligente, si è addentrato in un labirinto in cui si è perso. Non riusciva a spiegare niente, parlava di violenze e cattiverie, ma senza che il pubblico potesse capire qualcosa. La Bignardi tentava di scendere sul terreno della semplicità, ma non ce l’ha fatta. Mi sono chiesto in quei 20 minuti quanta gente sia fuggita. E’ chiaro che gli ospiti vanno scelti in modo oculato».
Parlare difficile però è un vizio comune, a sinistra
«Sì è un fatto ricorrente. Sembra quasi che sia un precetto da osservare per far parte di una certa élite. Parlare per confondere chi ascolta. O scrivere in modo involuto. A volte questo capita sul “Foglio”, ma anche altrove. Leggi un articolo e arrivato al terzo capoverso ti chiedi: ma che cavolo stanno dicendo? Invece Renzi non è così».
Ecco, ha anticipato il punto. Renzi è riuscito in quello in cui ha fallito Berlusconi: sta uccidendo la sinistra del birignao.
«Renzi vince su questa sinistra radical chic perché lui parla come al bar Commercio e si fa capire da tutti. Poi magari fa un decimo di quello che racconta, ma lo racconta bene e vince per differenza».
Nella vecchia fattoria uno che ancora tiene un po’ botta è Fabio Fazio con il suo Che tempo che fa.
«Fazio è un furbo di tre cotte. Un fenomeno della sinistra pret à porter, una via di mezzo tra desiderio di fare cultura e voglia di far sorridere e intrattenere. In quest’arte lui eccelle, ma anche qui temo che inizierà il declino perché non c’è nessun format che la tv non riesca a bruciare in un periodo più o meno lungo».
Nicola Porro invece sembra all’opposto, con il suo Virus.
«Porro è uno che si sforza di farsi capire dalla gente. Il suo problema è che spesso diventa lui il protagonista e non è così attento a sfruttare gli ospiti. Insomma, non è radical chic ma c’è un po’ di narcisismo. O almeno, questa è la mia impressione e lo dico con la massima umiltà».
Perché Berlusconi non è riuscito a sconfiggere questo milieu chicchissimo?
«Berlusconi ormai è un caso clinico. Fece un grande miracolo nel ’94 mettendo su un partito in due o tre mesi e vinse le elezioni. Sulla base di quel successo ha vissuto a lungo. Ma non ha sostanza. Lui confeziona benissimo il prodotto. Ci mette su un bel nastrino colorato. Tu compri il pacco, ma dentro non c’è nulla. Questa è la sua specialità».
Insomma, ha perso la battaglia con i radical chic perché a sua volta mancava di sostanza…
«Alla fine Berlusconi è stato travolto dalle sue vicende personali, ha perso la trebisonda e sicurezza in se stesso. La caduta fragorosa del 2011, certo, ma già prima aveva capito che questo paese non lo si riesce a governare da Palazzo Chigi. Poi la rivoluzione liberale affidata a un socialista è un po’ stravagante. Tornando alle élite, le élite hanno campato su di lui e lui le ha accettate perché ha visto che la gente normale tanto stava con lui. E poi per il resto Berlusconi preferisce avere intorno a sé adulatori e non rompicoglioni. A me non mi ha mai amato perché sono vissuto come un rompiscatole».
C’è ancora gente che pende da un giudizio di Roberto Saviano o di Umberto Eco?
«No, sono in parabola discendente. Un certo mondo si sta sfaldando. Forse è l’evoluzione della specie che aiuta a scaricare certi personaggi e a trovarne di nuovi».
Che cosa pensa della ventilata fusione tra Mondadori e Rcs Libri?
«Non capisco che interesse abbia la Mondadori a spendere 120 milioni per una casa che forse non ne vale neanche la metà. Ma sono cose imprescrutabili se non hai interessi in gioco. Dopo di che scattano appelli contro un presunto monopolio, come se Berlusconi fosse lo stesso di vent’anni fa. Ma lui non è più lo stesso».
Anche qui, appelli dei vari Eco e Vito Mancuso
«Si rivolgono al loro circolino della sinistra. Tutte storie fra personaggi che si frequentano e si sostengono a vicenda, ma poi si odiano e non aspettano altro che il prossimo crepi».
Legge ancora il Foglio?
«Sì, ma mi sembra che da quando non c’è più Giuliano Ferrara, non so se è un effetto psicologico su noi lettori, sia un po’ nella situazione del Parma».
Fallimentare.
«Sì, mi sembrano in grave difficoltà. Poi, tornando alla tv, dicono che certe trasmissioni come quella di Floris siano in leggere risalita, ma per me vivacchiano. Si spezzettano come Forza Italia, che a furia di perdere fettine è rimasta solo con il culetto».
Il partito di Repubblica esiste ancora, o il Pd di Renzi se ne va per i fatti propri?
«Renzi va avanti per i fatti suoi. Ha capito che tutti questi supporti cartacei e televisivi contano fino a un certo punto. Che c’è una stanchezza del pubblico, un senso di déja vu. Tutto si sta sfaldando. Nei giornali se Renzi fa un peto, scattano i riflessi condizionati e si fanno quattro pezzi. Perché ha fatto il peto. Le reazioni al peto. Chi ha ascoltato il peto e la storia del peto nel corso dei secoli. Si scrivono quattro articoli sulla stessa cosa e la gente si rompe le scatole. Facciamo i giornali come cinquant’anni fa. Giornali sempre più ricchi di pezzi e sempre più poveri di lettori».