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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

TESTI PER CONTRASTARE UNA SHARIA À LA CARTE


Benché oggi il termine «maomettani» sia desueto perché considerato scorretto e troppo riduttivo, è un dato di fatto che presso i credenti la «perfezione» dell’Inviato di Dio tra tutti gli esseri umani è considerata articolo di fede e a ogni menzione il suo nome viene sempre accompagnato dall’eulogia «Dio lo benedica e gli conceda la pace». Proprio la centralità della figura di Maometto nella religione da lui rivelata, rende estremamente opportuna la pubblicazione di un Meridiano Mondadori dedicato ai testi originali che ne tramandano la biografia, Vite e detti di Maometto (pp. 1248, € 60,00). Una qualificatissima équipe di esperti coordinata da Alberto Ventura, rende così accessibile al pubblico italiano una vasta antologia di scritti su vita, opere e detti del Profeta dell’islam, con ampio corredo di note e indici, che permette anche ai non specialisti un’idea di questo aspetto tutt’altro che secondario dell’islam, legato non tanto ai dogmi trascendenti quanto alle manifestazioni storiche di un personaggio terreno, sia pure giunte a noi attraverso narrazioni di sapore a volte leggendario.
«Una volta un corteo funebre passò di fronte al Profeta, ed egli si alzò in piedi. Gli dissero: ‘È il funerale di un ebreo’, al che egli rispose: ‘E non è forse un’anima?’». È probabile che ben pochi dei fanatici che si definiscono islamisti abbiano oggi presente questo episodio della vita di Maometto; più probabile che ne ricordino un altro, citato anche negli statuti di Hamas: «l’Apostolo di Dio disse: ‘combatterete gli ebrei finché qualcuno di loro si nasconderà dietro a un sasso che dirà “o Servo di Dio! C’è un ebreo nascosto dietro di me. Uccidilo”». Nonostante la loro apparente incongruità, entrambi i brani figurano nelle raccolte definite «autentiche» (sahih) di aneddoti ascritti a Maometto (i cosiddetti hadith), che riportano una miriade di fatti e fatterelli riguardanti non solo gli aspetti più importanti della religione ma anche i dettagli più minuti e insignificanti che la memoria di qualche contemporaneo abbia serbato e riportato a uno dei tanti solerti raccoglitori.
Non di rado le incoerenze sono evidenti e le versioni di un medesimo episodio addirittura opposte o contrastanti. Questo insieme vasto ed eterogeneo di tradizioni, insieme alle più antiche «Vite» del Profeta, costituisce la sunna («tradizione»), uno dei fondamenti della sharia, la «legge islamica».
Un tempo la lingua araba forniva all’Europa vocaboli di civiltà come algoritmo o algebra nelle scienze esatte, liuto nella musica, arsenale nella marineria, Altair, zenith e nadir nell’astronomia, e così via, tutti termini entrati a pieno titolo, insieme a ciò che designano, nel bagaglio culturale europeo e mondiale. Al contrario, le parole arabe che oggi più risuonano nel nostro continente, jihad e sharia, appaiono estranee non solo nel suono ma anche nel contenuto. E il loro senso reale è passibile di pericolosi fraintendimenti.
Riguardo al jihad, che propriamente sarebbe «lo sforzo interiore di essere un buon credente», la sua frettolosa equiparazione alla «guerra santa» inquieta ogni non-musulmano che sentendone parlare pensa subito al terrorismo, ma a sua volta provoca irritazione nei musulmani ogni volta che viene riportata una condanna occidentale del jihad, in cui leggono un’indebita intromissione nelle coscienze dei credenti. L’altro «oggetto misterioso» è la sharia. Evocata dagli integralisti più intransigenti come unica soluzione ai problemi del mondo, spesso presente nei preamboli delle costituzioni dei paesi a maggioranza islamica, la sharia ha come fonti principali il testo del Corano e la sunna; ma se il Corano ha una dimensione limitata e accessibile (114 capitoli, per meno di 80.000 parole), la sunna è un insieme assolutamente vago e indefinibile di narrazioni, desunte dalle più svariate raccolte. Le più citate sono quelle considerate più «autentiche», sahih, opera di Bukhari e di Muslim (entrambi del IX secolo), ciascuna comprendente decine di migliaia di hadith, ma molte altre ne esistono, spesso anche più estese, e in questa enorme massa ogni setta, ogni gruppo, ogni zelante musulmano può trovare l’episodio che viene in appoggio alle più diverse posizioni in fatto di dottrina e comportamenti. Anche il cristianesimo ha dovuto fare i conti con la necessità di dotarsi di testi di riferimento univoci, soprattutto in mancanza di un vero corpus di insegnamenti fissato e reso autentico dal suo fondatore. E intorno a Gesù sono fiorite fin dai primi tempi numerose narrazioni scritte e orali, che ne fornivano descrizioni più o meno verosimili. Per questo fu importante la fissazione di un «canone» che limitò a un corpus ragionevole tali testi e rese «apocrifo» tutto ciò che non vi rientrasse. Ma se i vangeli e gli atti degli apostoli risalgono a un periodo molto vicino a quello di Gesù, pochi decenni e comunque meno di un secolo, in ambito islamico le più antiche vite di Maometto e le raccolte di hadith sono a lui posteriori di uno o due secoli, periodo in cui le memorie hanno avuto tempo di alterarsi e gli interessi di differenti fazioni hanno avuto agio di svilupparsi. Così, pur non negando un certo valore storico di fondo alle «vite», Michael Lecker nell’introduzione alla prima parte di questo libro giunge alla conclusione che «non conosceremo mai l’esatto svolgimento della vita di Muhammad». E a sua volta, Rainer Brunner, nell’introduzione alla seconda parte, scrive: «la critica musulmana degli hadith si è sempre basata sull’assunto che una tradizione attribuita al venerato Profeta è da considerarsi in via di principio autentica, e che solo un meticoloso esame dei trasmettitori la può smentire» mentre per gli studiosi occidentali «ogni hadith è da ritenersi potenzialmente falso, a meno che non vi sia una prova sufficientemente valida del contrario». Che il moltiplicarsi incontrollato di tradizioni comportasse il rischio di deformazioni e falsità era ben presente già ai primi raccoglitori: «dissi a mio padre: ‘non ti sento raccontare mai nulla sull’Inviato di Dio... Mi rispose: ‘Io non mi separavo mai da Lui, ma l’ho sentito dire: “Chi dice menzogne sul mio conto si prepari il posto all’inferno”»
Nelle preziose introduzioni ai testi del Meridiano vengono esposte con chiarezza la storia e le fortune di queste raccolte, insieme alle diverse tendenze in atto sia nel raccogliere sia nel selezionare il materiale, facendo spesso prevalere il valore del nome di colui al quale si attribuiva una tradizione o la qualità dell’isnad, la lista di trasmettitori (veri o presunti), e trascurando ogni considerazione di verosimiglianza o di possibile funzionalità a usi partigiani da parte di questa o quella fazione o clan. Una volta registrati in queste raccolte, anche i fatti più inverosimili vengono accolti come verità incontestabili e articoli di fede. I pensatori modernisti capirono l’assurdità di certe posizioni e qualcuno giunse a «scartare le tradizioni nella loro quasi totalità come inaffidabili, considerando rilevanti per un musulmano moderno solo gli hadith di tenore spirituale». «Tutti questi approcci hanno però interessato solo i dibattiti fra studiosi e intellettuali, senza influenzare il vasto ambito della religione popolare, nella quale la devozione per il Profeta è di importanza primaria». E così, in assenza di autorità spirituali incontestabili come il Profeta o i primissimi califfi, continua la rincorsa ad una sharia à la carte da parte di chiunque si richiami all’islam.
Dal poco che si sa con una certa sicurezza riguardo alla persona di Maometto emergono la sua saggezza, la sua mitezza e il suo amore per la moderazione, la semplicità e l’ironia: tutte qualità che contrastano con certi mastodontici edifici di norme opprimenti e degradanti elaborati da chi venne dopo di lui. «La religione è facile da seguire, ma se uno cercherà di essere più esigente della religione, ne sarà sopraffatto. Percorrete dunque la giusta via, e state nel mezzo, rallegratevi per quel che vi spetterà».