Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 02 Lunedì calendario

LA LOBBY DEGLI ARMATORI CHE RESISTE A TSIPRAS

Atene
Alexis Tsipras affila le armi per un’epica battaglia navale destinata, in caso di vittoria, a regalare una boccata d’ossigeno ai conti della Grecia. Le forze in campo, a prima vista, sembrano impari. Da una parte il neonato e fragilissimo vascello del governo Syriza-Anel, dall’altra la più grande flotta del pianeta: le 4.707 super-navi (il 16% del totale mondiale) di proprietà degli armatori ellenici. L’esito però, a giudicare dalle fibrillazioni di queste ore negli uffici delle grandi compagni marittime affacciate sul Pireo, è tutt’altro che scontato. La sinistra radicale ha messo nel mirino l’articolo 89 della Costituzione, quello che garantisce agli Onassis ellenici la totale esenzione fiscale per i profitti generati all’estero. E loro, seduti su fortune che si misurano in miliardi, sono pronti a levare le ancore. “Vogliamo restare a lavorare in Grecia e siamo pronti a fare la nostra parte – ha fatto sapere al neo premier Theodore Ventiamidis, leader della locale Confindustria dei mari –. Pretendiamo però che nessuno tocchi i diritti che ci sono garantiti dalla Costituzione”. La posta in gioco è altissima: solo tra 2000 e 2010, unico dato ufficiale disponibile reso noto dalla stessa associazione, gli armatori hanno dirottato all’estero 140 miliardi di profitti (la metà del debito del paese) senza pagare un centesimo all’erario. Un tesoro cui è difficile rinunciare. “Se Tsipras cercherà di mettere le mani su questi soldi, non c’è problema – dice in camera caritatis uno dei maggiori industriali del settore – Ce ne andiamo da un’altra parte, togliendo quel poco di attività che per amore di patria abbiamo lasciato qui”. Dove? “Dubai, Singapore. C’è solo l’imbarazzo della scelta – aggiunge –. Non c’è nemmeno bisogno di gettare l’ancora nei paradisi fiscali. Shanghai ha appena aperto una zona franca per imprenditori marittimi. E anche in Germania, è il bello dell’Europa, pagheremmo molte meno tasse di quanto facciamo qui”. Scalfire i diritti di questa casta di super-marinai non è facile. Per un motivo molto semplice. I ricchi greci hanno sempre tenuto in pugno la politica nazionale con un arma semplice: le televisioni. A fine anni ’80 si sono visti regalare dallo stato le frequenze. E da allora i loro canali privati plasmano il consenso nel paese in un circolo vizioso che ha segnato gli ultimi decenni di storia nazionale. “Io sono stato fatto fuori dagli oligarchi perché avevo iniziato a toccare i loro interessi” ripete sempre l’ex premier George Papandreou con qualche fondamento. Il patto non scritto, in effetti, è stato finora questo: tu non tocchi i miei privilegi fiscali, io ti do spazio nell’etere per fare la tua campagna elettorale. “Le tv greche sono attività in perdita cronica destinate solo a questo scopo” spiega senza troppi giri di parole un cablogramma uscito dall’ambasciata americana di Atene e intercettato da Wikileaks. Il centro di un meccanismo grigio in cui le banche pubbliche finanziano generosamente gli armatori e garantiscono pubblicità alle loro reti, con giri di assegni milionari il cui utilizzatore finale, spesso, non è chiaro. I profitti – o meglio i risparmi fiscali – generati per gli armatori da questa macchina del consenso sono da capogiro. Tanto che appena il paese è finito nel baratro e il premier Antonis Samaras si è presentato a batter cassa, loro non hanno battuto ciglio: firmando un patto per garantire al governo 420 milioni di donazioni volontarie tra 2014 e 2017. Syriza a parole punta al bersaglio grosso. E le prime dichiarazioni di Tsipras – “faremo saltare gli interessi nascosti degli oligarchi” – vanno in questa direzione. La propaganda però è una cosa, i fatti un’altra. E anche Syriza sa che deve muoversi con attenzione su questo campo minato. Pena l’addio della seconda industria nazionale dopo il turismo. “Non prenderemo decisioni unilaterali senza concordarle con voi”, ha promesso agli armatori Giorgos Stathakis, neo ministro dello sviluppo e uomo che il tema, venendo da una famiglia di proprietari di navi, lo mastica bene. Prudenza giustificata. Su un piatto della bilancia, vero, ci sono i miliardi che si potrebbero recuperare obbligando gli imprenditori del settore a pagare le tasse. Sull’altro però pesano i posti di lavoro a rischio se quest’ultimi, a un certo punto, facessero rotta altrove. La flotta ellenica nel mondo (cresciuta del 7% anche lo scorso anno) dà lavoro in Grecia a 250mila persone, indotto compreso, e garantisce il 5% circa del pil. La decisione con cui Tsipras ha affrontato anche i dossier più delicati in questi primi giorni di governo ha costretto però i big del Pireo a tenere la spia rossa dell’allarme accesa: “Non c’è piaciuta per niente la scelta di cancellare la privatizzazione del porto”, dice l’associazione del settore. Preoccupata delle prossime mosse di Syriza. “Il nostro obiettivo è togliere da subito le esenzioni fiscali per le loro attività non legate direttamente al trasporto marittimo – recita il programma della sinistra – Poi rivedremo il resto delle loro agevolazioni, incluse quelle costituzionali”. Altro tema da affrontare, dicono alla sede del movimento, è quello del lavoro: nel 1980 le 3.900 navi degli armatori ellenici davano lavoro diretto a 60mila marinai. Oggi che ne anno 4.700, i greci a bordo sono solo 13.026. Sostituiti da manodopera a basso costo indiana e del Bangla Desh. Attenzione – ammonisce però la Camera di commercio ellenica – se l’industria navale emigrasse all’estero salterebbero tra navi e indotto almeno 60mila posti. Un lusso che Atene non può permettersi visto che nel paese una persona su quattro non ha un impiego. Loro, i diretti interessati, difendono i loro antichi diritti costituzionali e il loro attaccamento al paese: “Tutti dicono che siamo evasori con i soldi in Svizzera – è il mantra di Panos Laskaridis, uno degli uomini simbolo del settore –. Storie. Quasi tutte le nostre entrate servono a comprare le nuove navi. Una scommessa importante sul futuro della Grecia”. Le Fondazioni delle 50-60 grandi famiglie che controllano il business – sottolineano gli armatori – hanno distribuito a pioggia centinaia di milioni per finanziare progetti di solidarietà. Solidarietà che Syriza cambierebbe volentieri con il banale principio dell’equità fiscale. “Da loro abbiamo avuto messaggi contrastanti – conclude un armatore a un bar di Mikrolimano, davanti a una ricca grigliata di pesce – Tranquilli? Tutt’altro”. I primi colpi di cannone sono stati già sparati. Ma se la battaglia navale prenderà una brutta piega gli Onassis del Pireo sono pronti. “Tutti abbiamo in tasca un piano B che potremmo mettere in atto dalla sera alla mattina”. Quello della fuga all’estero. “E alla fine – conclude - penso che anche Tsipras se ne pentirebbe”.
Ettore Livini, Affari&Finanza – la Repubblica 2/2/2015