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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

CI VEDIAMO IN PIAZZA (PERÒ SOTTOTERRA)

C’era una città che si estendeva lungo sette chilometri di tunnel, come minimo. C’era una città attraversata da gallerie abbastanza larghe da farci passare carri e bestiame. C’era una città — completamente sotterranea — in cui le gallerie collegavano case e magazzini, abitazioni e luoghi pubblici che si allargavano in piazze e strade. C’era una città, e in parte — oggi — c’è ancora.
La scoperta è stata fatta sotto il castello di Nevsehir, città turca dell’Anatolia centrale che dà il nome alla provincia omonima, area nota universalmente per quelle piramidi di terra e roccia chiamate «camini delle fate» e dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1985 presenti a Göreme, meno di dodici chilometri da Nevsehir.
Un progetto di riqualificazione del territorio è all’origine del ritrovamento, un piano che stava effettuando su larga scala la Toki (Housing Development Administration of Turkey), una struttura sotto il controllo del primo ministro Ahmet Davutoglu e destinata ad affrontare l’emergenza alloggi, con la costruzione di nuove unità abitative, realizzandole a prezzi più abbordabili e con criteri antisismici per l’alto rischio di terremoti del Paese.
È stato Mehmet Ergün Turan, capo di questa agenzia governativa, a raccontare alla stampa turca di aver compreso l’entità di quanto stava venendo alla luce, durante le demolizioni, e di aver ordinato di bloccare i lavori nonostante nel progetto fossero stati investiti 90 milioni di lire turche (quasi 38 milioni di euro). Ha poi aggiunto che non gli sembrava «una perdita, perché quella avrebbe potuto essere la più grande città sotterranea del mondo».
Ad accrescere le aspettative anche Hasan Ünver, sindaco di Nevsehir: «Le altre città sotterranee sono una “cucina” rispetto a questa nuova scoperta». Il pensiero va subito a Derinkuyu, che può essere considerata una delle più importanti città del mondo sviluppatesi nel sottosuolo e scoperta nella stessa area. Si tratta di un centro urbano sotterraneo, individuato negli anni 60 e risalente all’VIII-VII secolo a.C. capace di ospitare 20 mila abitanti, con almeno undici livelli costruiti in profondità, 600 entrate, centinaia di stanze, case, stalle, tombe e piazze. È come pensare a una città, ma capovolta, che si sviluppa in basso invece che in altezza, come accade oggi, per esempio, in parte, in alcune città canadesi come Montréal. Gli scopi: difendere gli abitanti da popolazioni ostili, ripararsi dalle violente escursioni termiche, proteggere e conservare le merci in «frigoriferi» naturali.
La regione della Cappadocia dove è avvenuta l’ultima scoperta è una delle zone più ricche di siti archeologici, con un’area di circa cento chilometri quadrati in cui sono presenti più di duecento villaggi sotterranei. L’abbondanza di questi insediamenti si deve alla presenza di roccia tufacea.
Nella città sotterranea appena individuata sono stati rinvenuti anche quaranta reperti, di cui tuttavia non si sa ancora nulla, anche perché al momento non è attiva una missione archeologica per pianificare gli scavi e i primi studi.
La conferma arriva alla Lettura da Özcan Çakir, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria geofisica dell’Università 18 Marzo di Çanakkale che, invece, con alcuni colleghi sta svolgendo sul luogo studi legati al suo ambito scientifico. «La superficie della città sotterranea — spiega — è molto vasta, con tunnel paralleli profondi tra i dieci e i quindici metri. Ne è stato individuato uno che si estende per 300 metri». Özcan Çakir aggiunge che le strade sotterranee si sviluppavano dalla piana che circonda Nevsehir fino a una quota più alta a livello della cima del Castello, dove si trovava anche un corso d’acqua e che «i tunnel sono così larghi da permettere il passaggio dei carri».
Una delle ipotesi più suggestive, avanzata dai primi osservatori, è che questa città collegasse due centri fiorenti del luogo — Nevsehir e Kayseri — ma che distano tra loro circa 80 chilometri. Quindi è chiaro che si tratta di un’ipotesi tutta da verificare. Un altro mistero riguarda la datazione, perché le prime notizie diffuse sulla stampa parlano di una città risalente a cinquemila anni fa, ma mancano i riscontri che, per esempio, potrebbero venire dai reperti trovati. «Penso, in realtà, che si possa trattare di un insediamento di età simile a Derinkuyu — afferma l’archeologa Marcella Frangipane, direttrice dello scavo di Arslantepe in Anatolia (risale al V millennio a.C.) per conto dell’Università la Sapienza di Roma, raggiunta da la Lettura — e mi sembra improbabile che si possa trattare dell’Età del rame. Tutto dipenderà dallo studio dei reperti e dalle scoperte successive».
A questo punto torna la questione delle ragioni che spinsero quelle popolazioni a realizzare vere città sotterranee. «Potrebbe trattarsi da una parte di uno scopo difensivo, per evitare razzie; dall’altra parte di un piano per favorire la conservazione dei prodotti agricoli, proprio perché allora la ricchezza consisteva soprattutto nel possesso dei beni di prima necessità e
uno dei modi di mantenerla e salvaguardarla nel tempo era attrezzarsi per una loro efficiente conservazione».
Stefania Mazzoni, archeologa del Vicino oriente antico all’Università di Firenze, è di parere diverso nella valutazione della scoperta: «Quello che si vede dalle foto non può che appartenere a un complesso rupestre, del tipo dei monasteri della Cappadocia, documentati, ad esempio, nel parco archeologico di Göreme. Spesso si tratta di chiese e monasteri datati tra il VII e il XIII
secolo d.C.». E questo sarebbe in linea con l’età di costruzione del castello sulla collina di Nevsehir, che risale al periodo bizantino, quando la regione si trovò sul fronte della guerra al Califfato islamico.