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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

LA RISCHIOSA AVVENTURA DI BONAPARTE IN EGITTO

A distanza di oltre due secoli, ancora oggi non sono dissipati i dubbi sulla spedizione napoleonica in Egitto. Se, cioè, essa rappresenta il frutto di una smisurata ambizione personale, un’astuta manovra per colpire l’Inghilterra, o una tappa della spericolata idea di abbattere l’Impero ottomano e portare in India la guerra agli inglesi. Di certo vi furono un’affrettata preparazione e una scarsa consapevolezza della potenza della marina inglese. Degli storici hanno paragonato la campagna africana a quella di Russia, entrambe disastrose. Come andarono le cose?
Lorenzo Milanesi

Caro Milanesi,
La spedizione di Bonaparte in Egitto fu l’episodio più fantasioso e stravagante del lungo intervallo che separa la fine del Terrore dal ritorno all’ordine del regime imperiale. Quando tornò dall’Italia, dopo la campagna del 1797, il giovane generale corso fu accolto come un trionfatore. Aveva battuto gli austriaci, aveva distrutto vecchi Stati e creato nuove repubbliche, e aveva agito in totale autonomia senza tenere alcun conto delle istruzioni che gli giungevano dal Direttorio. Era troppo popolare perché gli uomini al potere non temessero le sue ambizioni. Cercarono di allontanarlo da Parigi proponendogli l’invasione dell’Inghilterra, ma Bonaparte studiò attentamente l’impresa e giunse alla conclusione che sarebbe stata un’operazione suicida. E poiché il Direttorio insisteva per allontanarlo dalla capitale, il generale sostenne che avrebbe colpito gli inglesi diversamente.
Sarebbe sbarcato in Egitto con 30.000 uomini, ne avrebbe reclutati altrettanti nel Paese dei Faraoni, li avrebbe guidati sino all’India, avrebbe aizzato le popolazioni del subcontinente indiano contro l’Inghilterra, avrebbe rivaleggiato con le gesta di Alessandro Magno. Quando gli fu detto che avrebbe dovuto finanziare la spedizione con i suoi mezzi, non esitò a saccheggiare i tesori del Vaticano, degli svizzeri, dell’Olanda e a requisire tutte le navi su cui poté mettere le mani. Ma la spedizione non sarebbe stata esclusivamente militare. Puntò sul fascino che l’Antico Egitto suscitava da qualche decennio nella società francese e creò, accanto a quello dei suoi soldati un secondo esercito composto da studiosi, archeologi, architetti, disegnatori, pittori. Le sue truppe avrebbero sconfitto i mammelucchi e i suoi intellettuali avrebbero conquistato per la Francia il passato dell’Egitto. Quella che partì dalle coste mediterranee francesi nella primavera del 1798 fu una sorta di variopinto circo per metà guerresco, per metà salottiero e intellettuale.
La spedizione, all’inizio, fu benedetta dalla fortuna. Riuscì a evitare la flotta inglese di Nelson, fece un solo boccone di Malta e dei suoi cavalieri, vinse la battaglia delle piramidi ed entrò al Cairo trionfalmente il 24 luglio e usò per l’Egitto il metodo di cui si era servito in Italia: creò un Senato a cui fu affidato il compito di scrivere una nuova Costituzione, istituì un comitato composto da notabili sotto la guida di un consigliere francese e mise al vertice dello Stato se stesso, Bonaparte, nella veste di “protettore dall’Islam”.
I tempi della buona fortuna furono brevi. Nelle settimane seguenti la flotta francese fu distrutta da Nelson nel porto di Alessandria, la peste bubbonica uccise 3.000 dei suoi soldati e alcune rivolte vennero spietatamente represse con massacri che, in altri tempi, avrebbero lasciato una macchia indelebile sul volto di colui che li aveva ordinati. Vi furono altre vittorie, ma le sue truppe si fermarono di fronte alle mura di Acri e Bonaparte capì che i suoi sogni indiani non si sarebbero avverati. Cinicamente sostenne che la Francia aveva bisogno della sua spada, abbandonò l’esercito, salì a bordo di una nave il 24 agosto 1799 e tornò in Francia. Nello stesso anno rovesciò il direttorio con un colpo di Stato e divenne Primo console. Meno di tre anni dopo sarebbe diventato console a vita e, nel dicembre del 1804, infine, avrebbe posto sulla sua testa la corona imperiale.
Eppure, come ha ricordato Paul Johnson in un bel profilo di Napoleone, la spedizione fallita divenne uno straordinario trionfo culturale, ebbe una grande influenza sulla moda europea, inaugurò una stagione di studi e ricerche, trasportò l’Egitto nella modernità.