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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

«SVELO I SEGRETI DI EISENSTEIN IL REGISTA TORMENTATO DALL’EROS»

Quando si parla di Peter Greenaway, il «pittore» del cinema, prima o poi spunta a mo’ di password il termine visionario. Solo che stavolta è il regista gallese a usarlo, a proposito dell’eroe del film che l’11 febbraio porta in concorso alla Berlinale. « Eisenstein in Guanajuato è un omaggio a un grande rivoluzionario, al pari di Beethoven e Shakespeare. Lo impersona l’attore finlandese Elmer Bäck. Al festival presenteremo un film non ancora finito, nella colonna sonora e nella postproduzione. Sono stati pochi i registi visionari nella storia del cinema, che conta appena 125 anni. Sergej Eisenstein ebbe due grandi vantaggi: ha lavorato dopo la Prima guerra mondiale, quando ogni paese ha cominciato a sviluppare una propria produzione filmica. I suoi film erano radicali e sperimentali in un momento in cui c’era da una parte il surrealismo di Il cane andaluso di Dalì e Buñuel, e dall’altra opere commerciali come The jazz singer con Al Jolson. In Russia il potere dava un sacco di soldi alla propaganda per consolidare i comandamenti della Rivoluzione».
Nei suoi primi film, sui conflitti di classe, Eisenstein usò attori dalla strada: era la folla il vero protagonista.
«Lui era di origine ebrea, comunista e omosessuale, questo è uno degli aspetti che mi hanno affascinato. Ha mosso i primi passi nel cinema a 26 anni. Lo sfondo politico si mescolava a tecniche di montaggio straordinarie, stava nascendo un cinema giovane».
Lei racconta i dieci giorni che il regista russo trascorse in Messico.
«A Guanajuato fu colpito dal cimitero famoso per le sue cinquecento mummie create in modo ignoto, un grande museo di morti. Fece un film incompiuto, Que viva Mexico! , pieno di queste cose. Ebbe una relazione intima con una guida. Avevano entrambi 33 anni. In precedenza aveva avuto tanti problemi sessuali con le donne, era impaurito e ansioso. Lasciatosi alle spalle dove c’erano oppressione e censure, conobbe un Paese divertente. Si avvicinò al concetto di eros e thanatos, sesso e morte (nei sacrifici umani degli aztechi).
Come arrivò in Messico?
«Vi arrivò via Parigi e e via Berlino, dove incontrò Farinetti, Marlene Dietrich, Walt Disney, persone che lo influenzarono nella sua attività. Fu lì, in Messico, che prese consapevolezza della sua omosessualità, fino ad allora solo intuita».
Avrà problemi nel mostrare il suo film in Russia?
«Ci sono due Russie: il paese in quanto tale, e la Russia di Putin, diventata omofoba. Io credo che, per vie legali o illegale, il film lo vedranno. Ma alla fine di quest’anno realizzerò un secondo film su Eisenstein, finanziato dalla Russia».
Come rifletterà, il suo stile visionario, un regista visionario?
«Eisenstein usava alcune tecniche, come il modo di usare la luce dal pavimento o il fermo immagine, che vedrete nel mio film. Ho usato anche materiale d’archivio. In un primo tempo pensavo di farne un documentario. Mi sembra importante un tributo a Eisenstein nel momento in cui il cinema sta morendo, non solo per il limite della narrazione che altre arti non hanno. Ormai solo il 5 per cento dei film di Hollywood vengono visti nelle sale e il 95 per cento al computer. La gente non va più al cinema».
Lei sa che in Italia per indicare un film noioso, in modo ironico, si cita la battuta di Fantozzi su «La Corazzata Potëmkin» di Eisenstein?
«No, mi sembra una cosa stupida. A volte è il pubblico a essere noioso. Se c’era uno ironico era lui, Eisenstein, un uomo che parlava bene cinque lingue. Amo l’Italia, in questi giorni è uscito finalmente da voi Goltzius & The Pelican Company , sulle disavventure di un incisore olandese del tardo ‘500, ma anche sul sesso e altri tabù all’epoca considerati criminali. Lui era un precursore che cercava mecenati per finanziare la sua macchina per stampare dipinti».
Ha detto che l’Italia ha bisogno di un nuovo Fellini.
«Non credo di aver usato esattamente queste parole. Certo Fellini fu scoperto prima in Francia, poi in Inghilterra e negli Usa, e infine siete arrivati voi che lo avete tolto dal sottobosco. Gli avete sempre preferito Luchino Visconti, considerato intelligente e colto».
Non era così, Visconti?
«Sì, in fondo dedicherò a lui le mie future energie. La prossima primavera girerò a Venezia Food of Love , ovvero cosa è accaduto a Tadzio, il bel ragazzo biondo sulla spiaggia della Laguna in Morte a Venezia , quarant’anni dopo quel film».
Cosa immagina gli sia accaduto?
«Tadzio è diventato un criminale, guadagna ricattando la gente su Internet. I soldi gli servono per poter avere a sua disposizione, giorno e notte, anche quando fa l’amore, un quartetto d’archi che suona Vivaldi. Dall’“Adagio” di Mahler usato da Visconti, a Vivaldi. Il vero Tadzio esistè, però al cinema non esistono mai storie vere per intero. Non si sa mai qual è la verità. Ma c’è verità nella finzione».