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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

LE GITE IN GRUPPO, IL GELO CON SCIASCIA GLI ANNI DELLA «PRIMAVERA» DI PALERMO

PALERMO Le vacanze in montagna di Sergio Mattarella si spiegano anche per un naufragio miracolosamente scampato, come racconta uno dei suoi amici palermitani, Massimo Maniscalco, guida degli imprenditori cattolici. Una gita in barca a Ustica trasformatasi in un incubo per il presidente che, ironizza bonario, non sa nuotare.
Ansia da niente quella deriva, rispetto ai tormenti che gli stessi amici hanno condiviso. A cominciare dalla tragedia che lo costrinse a uscire dall’università diventando protagonista della vita politica come lo era stato il padre Bernardo, come lo era il fratello Piersanti fino all’epifania 1980, quando la mafia impastata col peggio di politica e finanza fece uccidere sotto casa il presidente della Regione seguace e amico di Aldo Moro.
Finì nel sangue il sogno di «una Sicilia con le carte in regola». Ma non la speranza dei giovani che Piersanti aveva allevato, da Orlando a Riggio, da Cocilovo a D’Antoni. Lo zoccolo duro della Cisl, il sindacato che stavano rivoltando, come il partito. Una rivoluzione gentile. Preparata in un ammezzato con un pugno di studiosi riuniti come sovversivi nella Palermo di Lima, Gioia e Ciancimino. Si chiamavano «Politica». E spiccava un cattolico poi diventato segretario generale dell’Assemblea regionale, Nonò Salamone. Tutti a ripulire le «carte» della Sicilia nell’ammezzato-segreteria.
Proprio di fronte al palazzo dove Mattarella abita e torna spesso. Ricordando il «covo» dei giovani che gli chiesero la staffetta. Avviando la cosiddetta «Primavera» di Palermo sfociata nell’elezione di Orlando a sindaco. E nel congresso regionale di Agrigento per mettere all’angolo «don» Vito Ciancimino. Tappe di un affannato percorso non previsto. Convinto di lasciare la scena politica al fratello. Legati a doppia mandata. Anche dalle nozze con due sorelle, Irma e Marisa Chiazzese, le figlie del professore che divenne rettore dell’Università, colte, belle e riservate, saldo contatto con la ristretta cerchia di amici, una fetta di quella borghesia palermitana composta da professionisti gentiluomini come Salvatore Butera, l’economista che fu consigliere economico di Piersanti alla Regione, come Salamone e Aldo Scimè, altro segretario generale dell’Assemblea, professori universitari come Andrea Piraino e Guido Corso a Giurisrudenza, ovvero un epatologo come Luigi Pagliaro sostenuto da Mattarella nel progetto per costruire a Palermo il centro trapianti dell’Ismett, d’intesa con l’università americana di Pittsburg.
Per tanti di loro la casa all’angolo con via Pipitone Federico era una meta per cene e pomeriggi piacevoli. Troncati tre anni fa dalla malattia di Marisa. Come l’allegria di allora, opposta al cliché ombroso cucito addosso al costituzionalista e smentito da una delle signore della comitiva, Nina Scimè: «Sergio è socievole, spiritoso, ironico. Come lo era Sciascia. Si diceva il contrario anche per Nanà».
Ma l’accostamento è un cruccio. Perché gli stessi amici di Sergio erano amici strettissimi di Leonardo Sciascia. Come il marito della signora, Aldo Scimè, compagno di infanzia dello scrittore. Stesso tormento per Salamone e la moglie Angela. Quando incontravano l’uno non potevano vedere l’altro. Salotti separati. Per una frizione mai plateale, ma nota pur senza parlarne perché di un torto, secondo la famiglia Mattarella, lo scrittore s’era macchiato. Sostenendo tesi mai gradite sul conto del padre, Bernardo Mattarella, il ministro «mascariato» perfino da Gaspare Pisciotta per Portella delle Ginestre. Come Danilo Dolci con le sue filippiche affondate dalle sentenze in Cassazione perché «frutto di irresponsabili pettegolezzi, di malevoli dicerie, di autentiche falsità».
S’è stancato Sergio Mattarella di tirarle fuori ad ogni polemica. E gli amici fanno scudo alla perfidia. Come accadde con «don» Vito Ciancimino quando ad un processo descrisse «Piersanti e Sergio in calzoncini corti, a casa, giovanissimi...». Un modo per ricordare la sua vicinanza al padre, spacciandosi per suo segretario. «Cattiverie, autentiche mascalzonate. Il segretario di Bernardo era mio padre», rivela Butera l’economista, giurando anche lui sull’ironia dell’amico-presidente. Già, ne fece le spese pure Buttiglione quando tentò l’alleanza fra Ppi e Forza Italia, subendo la stilettata di Mattarella che lo additò come «el general golpista Roquito Bottiglione».