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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

I GIOCHI DI CORRENTE, POI LA GIOIA

A lla fine si alzano in piedi anche i parlamentari di destra, almeno quelli non ancora partiti per il weekend, e per inerzia cominciano ad applaudire.
Alcuni applaudono timidamente come Romani e Gasparri, altri più convinti come La Russa; Renata Polverini si sbraccia. Sergio Mattarella è presidente della Repubblica, manca una provvida scheda al sulfureo numero 666, quasi raggiunti i due terzi dei grandi elettori: sul Colle torna un cattolico e sale per la prima volta un siciliano, il fratello di una vittima della mafia. Applaudono pure le donne di Forza Italia, la Rossi la Prestigiacomo la Biancofiore, dopo i pianti di tensione nelle riunioni drammatiche in cui ognuno faceva una proposta diversa, chi era per uscire dall’Aula, chi per votare Mattarella, chi scheda bianca: alla fine ognuno ha fatto come ha voluto.
Mai si era sentito alla proclamazione un applauso così lungo, neppure per Ciampi eletto nel ‘99 al primo scrutinio con larga intesa ma senza pathos, neppure per Napolitano rieletto due anni fa con senso di colpa per il sacrificio richiesto e per il pasticcio fatto con Prodi (che ieri ha ricevuto due voti, non si sa se per omaggio o per beffa). Nei banchi della sinistra l’applauso ritmato, un po’ di orgoglio e molto di sollievo, suona persino enfatico per un eletto di profilo alto sul piano della moralità ma basso sul piano della notorietà: Mattarella non è impopolare perché il popolo non lo conosce o l’ha dimenticato. La Madia e la Boschi si abbracciano. Molto omaggiato l’uomo forte del partito, Luca Lotti. In piedi si congratulano l’uno con l’altro i «Big Five», come li hanno definiti i giornali non ostili, che non sono il leone il leopardo il bufalo il rinoceronte l’elefante dei safari in Africa, ma più modestamente Guerini, Speranza, Zanda, Orfini e la Serracchiani. Quasi nessuno di loro conosce davvero Mattarella; festeggiano in realtà il capo, Renzi, che ha ricompattato il proprio partito e diviso quelli altrui.
I più provati sono i parlamentari del Nuovo centrodestra. Sacconi, il capogruppo al Senato dimissionario, ha passato la mattinata al telefonino, camminando su e giù per un corridoio laterale, affranto. Gli altri fanno pacchetto di mischia attorno ad Alfano: Schifani e la De Girolamo con mantella da dama sivigliana sorridono persino troppo per dar mostra che tutto va bene, l’unico sincero è Cicchitto: «Renzi ci ha camminato sulla faccia, non può pensare che non ci saranno ripercussioni sul governo». Nell’attesa anche i vecchi socialisti votano un cattolico democratico, che fino a ieri chiamavano «cattocomunista».
I grillini anche stavolta non hanno toccato palla. Fallita l’occasione di gettare Prodi tra i piedi di Renzi, si sono divisi tra gli ortodossi che hanno scelto Imposimato e i dissidenti rimasti fedeli al Rodotà del glorioso 2013. Qualcuno aveva proposto di far gazzarra alla fine; è prevalso un dignitoso silenzio. Dai banchi del Pd li applaudono, per solidarietà. Un unico buuu, quando la Boldrini con sussiego chiede silenzio «per non perdere la concentrazione»: ne ha motivo, i giochi di corrente impongono segnali di riconoscimento difficili da decrittare; i «turchi» del ministro Orlando votano Mattarella S., i bersaniani S. Mattarella, i vendoliani «on. Sergio Mattarella», gli «on. Mattarella» invece vengono da destra, e pazienza se il nuovo presidente non è più onorevole da sette anni. Gli unici fischi rimangono quelli del primo giorno a Napolitano. Quando però lo vedono passare in corridoio, i grillini si fanno il selfie con il profilo dell’ex presidente sullo sfondo; poi lo inviano agli amici a casa.
Napolitano dopo il voto si è soffermato ad analizzare le tre giornate: «Con Alfano ho parlato, sì. È stato importante allargare il consenso, perché bisognava andare oltre le tattiche. Un presidente è per sette anni, non deve essere legato alle contingenze. E poi è significativo che un siciliano salga al Quirinale. Tutti dicono che il record è del Piemonte, ma se si enumera De Nicola e si considera che Scalfaro era di origini calabresi, il record è di Napoli…».
Subito dopo arriva Renzi. Passa a salutare Napolitano, poi entra alla buvette, inseguito da peones adoranti e da avversari compiacenti. Paga un caffè alla Meloni, ne prende un altro con Crosetto, riceve il saluto di Toti che appena il giorno prima diceva: «Renzi chi?». Ecco Enrico Letta. Gioco di occhi che si alzano, si abbassano, non si incrociano. Niente pace, nel giorno del Quirinale l’atmosfera è rimasta la stessa del giorno della campanella.
Dentro Forza Italia si scoperchia il vaso di Pandora, la Rossi accusa «il duo tragico Verdini-Letta» di aver condotto il partito al disastro, Fitto rilancia: «Votare anzitempo la legge elettorale voluta da Renzi è stato un errore da prima elementare, come scrivere “o mangiato” senza l’acca; se ne devono andare tutti». Molti dei suoi pugliesi – «il tarallo magico» dice la Bernini – hanno votato Mattarella secco. Bossi prevede un finale shakespeariano: «A Berlusconi porteranno via tutto, anche le televisioni. Per fortuna non ha più l’età per finire in galera».
I vecchi Dc, che hanno rispolverato gli antichi gessati per l’occasione, sostengono invece che il nuovo capo dello Stato costruirà un rapporto con tutti, anche con l’ex Cavaliere. Angelo Sanza, sinistra Dc, racconta di aver conosciuto «Sergio» al funerale del fratello Piersanti, che pare avesse un carattere diverso, meno chiuso, meno riservato. L’uomo in piedi in alto a destra che smette di applaudire per ultimo è l’on. Cera da San Marco in Lamis, Foggia, tra i più decisi nel sostenere Mattarella: «Gli altri dicevano che non lo potevano votare per via del metodo. Ho risposto: “Che m’importa a me d’u metudu?! Io voto un democristiano». Commosso il figlio spirituale, Francesco Saverio Garofani del Pd, già direttore del giornale fondato da Mattarella, dalla frizzante testata «Nuova cittadinanza». Qualcuno però racconta che sa essere spiritoso: «Quando Martinazzoli scrisse ad Andreotti la lettera di dimissioni dei ministri della sinistra Dc, Sergio lo avvertì: “Hai fatto una copia? Perché Andreotti è capace di mangiarla”. Martinazzoli obbedì». La legislatura si allunga, l’atmosfera è da «decomposta fiera», i commessi smontano le cabine dove qualcuno ha tracciato la scritta «mafiosi», si sgonfiano i gazebo che proteggono dalla pioggia i set televisivi, il Transatlantico è percorso dai trolley dei «grandi elettori» che tornano a casa. Gara di anagrammi con il nome dell’eletto, vinta da «Matteo si rallegra». C’è sempre chi esagera con l’entusiasmo: «Sergio si è battuto per sintetizzare in un unico corpus l’intera legislazione vigente, una cosa tentata solo da Giustiniano…». La Binetti prevede che con il Papa sarà subito idillio. Da Palermo Leoluca Orlando esalta «la Sua severità e la Sua umanità», i frati di Assisi ne salutano «lo stile francescano». Le prime parole del presidente, prima di andare in visita privata alle Fosse Ardeatine, indicano l’intenzione di entrare in sintonia con il Paese: «Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo». Martedì il giuramento e l’ingresso al Quirinale, una reggia forse sin troppo grande per un uomo così sobrio.