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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

«IN EUROPA NON DEVONO VALERE LE STESSE REGOLE»

PARIGI Non esiste una politica di austerità, ma solo una «politica di saggezza» per Jean-Claude Trichet, ex presidente della Bce. «L’equilibrio dei conti – assicura – è una necessità non una punizione». Per solito abbastanza parco di commenti sull’attualità politica ed economica, il banchiere-economista ha accettato di parlare con il Messaggero di Grecia, Germania, Europa e soprattutto delle ultime manovre monetarie annunciate dalla Bce.
Signor Trichet, come valuta l’economia greca dopo tre anni di Troika?
«La Grecia ha fatto immensi progressi dall’epoca in cui ha dovuto chiedere al mondo di finanziare in proporzioni importanti la sua economia, colpita dai deficit esterni e interni più gravi mai registrati in un paese europeo, fino a sacrificare il 15% del Pil».
C’è però chi si interroga se un tasso altissimo di disoccupazione, il taglio drastico dei salari, l’impoverimento della popolazione e un sistema sanitario al collasso non siano un prezzo esagerato per i progressi fatti.
«Comprendo il problema. E tuttavia, se l’insieme dei costi di produzione dell’economia fossero diminuiti proporzionalmente non ci sarebbe quel livello di disoccupazione, ampiamente provocato dalla scelta di proteggere coloro che avevano un impiego rispetto a chi non lo ha. Per proteggere il lavoro, bisogna diminuire i costi di produzione, che in Grecia erano aumentati in modo esorbitante prima della crisi. È però necessario chiedersi se le misure destinate a riequilibrare i bilanci siano adeguate a preservare il più possibile i giovani e i lavoratori poco qualificati».
Se non abbiamo frainteso, questo è anche ciò che vuole il nuovo governo greco.
«Nel programma del nuovo governo greco ci sono cose buone e altre pessime. È giusto porre il problema dell’evasione fiscale, in particolare dei contribuenti più benestanti. È invece molto sbagliato pensare di aumentare tutti i salari, perché questo aumenterà anche la disoccupazione. È infine inammissibile, dal punto di vista dei contribuenti dei paesi che hanno prestato denaro alla Grecia quando era in difficoltà, l’idea di non rimborsare il debito contratto».
Ma i paesi più prosperi hanno anche doveri di solidarietà verso i più poveri. Non crede?
«Se alcuni paesi hanno avuto difficoltà è perché sono stati mal governati, come la Grecia. C’è sempre un prezzo da pagare per tornare all’equilibrio. L’euro dà la possibilità di essere molto prosperi. Usare l’euro come capro espiatorio per spiegare le difficoltà nazionali è un inganno».
Sicuro che una logica punitiva sia davvero utile per la zona euro e soprattutto giusta nei confronti delle popolazioni?
«All’equilibrio si deve tornare. Ma non è una punizione, è una necessità per preservare l’occupazione sul lungo termine».
E tuttavia molti ritengono che le politiche di austerità non siano più adeguate. Non crede che la Germania dovrebbe imboccare una strada meno inflessibile e più espansiva?
«Per paesi come la Germania, e in Europa ce ne sono altri due o tre, è appropriato chiedersi se la regolazione macroeconomica sia o meno abbastanza espansiva. Sono paesi non in situazione di crisi e in cui un certo numero di indicatori mostra che si potrebbe avere un aumento della domanda interna e una diminuzione dell’eccedenza della bilancia delle partite correnti».
La Bce ha lanciato un programma di acquisto di titoli di Stato per oltre mille miliardi di euro. Un passo avanti verso una Federal Reserve europea?
«Le politiche non convenzionali in Europa sono state numerose. Il credito illimitato a tasso fisso alle banche commerciali deciso nel 2007 e l’Omt (il cosiddetto piano antispread del 2012 seguito al piano Smp del 2011, ndr) sono due garanzie che non offre nemmeno la Federal Reserve. L’importanza di queste misure è sempre stata sottostimata dagli osservatori americani».
Vuole dire che quella imboccata da Draghi è la via giusta?
«La Bce ha fatto bene a prendere nuove misure in questa situazione d’inflazione molto bassa. Detto ciò, la Bce non può sostituirsi ai parlamenti, ai governi o alle parti sociali dei paesi europei. La palla è ora nel loro campo. Devono prendere tutte le misure possibili per dare più dinamismo all’economia: riforme strutturali per gli uni, misure di attivazione economica per gli altri. È questa la difficoltà dell’Europa: le stesse regole, le stesse parole d’ordine non devono applicarsi dovunque alla stessa maniera. In Italia e in Francia, paesi con problemi di competitività, ci vuole moderazione dei costi e riforme strutturali. In Germania, dove c’è un’ottima competitività e un’eccedenza nella bilancia commerciale, si può invece immaginare di accelerare la crescita della domanda interna».
Come giudica la situazione in Italia? E il governo Renzi?
«La direzione presa mi sembra quella giusta, anche se l’Italia, come altri paesi compresa la Francia, ha ancora molti progressi da compiere. Un problema che vedo in Italia è la stagnazione dell’economia reale sul lungo periodo che sembra spiegarsi con una stagnazione della produttività, cosa che giudico del tutto anormale e incomprensibile, viste le risorse umane, la creatività e lo spirito d’impresa che ha l’Italia. Forse si spiega con il persistere di zone di pessima gestione nell’economia e nello Stato».
Che cosa rende più felice un presidente della Banca centrale europea?
«La stabilità dei prezzi. È suo dovere assicurarla. Da questo punto di vista posso considerarmi felice, come pure il mio successore, perché siamo riusciti ad assicurare la stabilità dei prezzi senza inflazione e senza deflazione. Ma si sarebbe molto più felici se, dopo tanti messaggi sulla necessità di riforme strutturali e di equilibrio di bilancio, si arrivasse al pieno impiego sul fronte del lavoro. L’obiettivo ultimo non può essere che questo. Il nostro progetto è ambizioso, vogliamo costruire un’Europa nuova, con la piena occupazione, non gestiamo una situazione statica, ma una costruzione storica, che per definizione è esaltante».