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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

LA RESA DI «CHARLIE HEBDO»: CI FERMIAMO

«Je suis Charlie» è in affanno. Anne Hommel, responsabile della comunicazione di Charlie Hebdo, ha annunciato venerdì che le pubblicazioni del settimanale sono temporaneamente sospese. Brutta notizia, comprensibile, ma preoccupante. Punto a vantaggio non solo di chi ha massacrato la redazione di Charlie, ma anche delle centinaia di migliaia di musulmani che hanno manifestato contro il primo numero di Charlie dopo la strage. In Cecenia erano un milione, in Niger hanno distrutto sette chiese, ovunque nel mondo musulmano erano centinaia di migliaia. E protestavano - hanno anche ucciso - non per la strage di Charlie Hebdo, ma perché il primo numero uscito dopo quell’eccidio, riportava in copertina un Maometto triste, con una lacrima sul volto, che diceva: «Tout pardonné», tutto è perdonato. Protestavano contro un messaggio di pace! Il nuovo numero di Charlie non uscirà quindi né il 4 febbraio né l’11 febbraio, come inizialmente stabilito, e poi smentito. I giornalisti e i disegnatori sopravvissuti all’attentato, ha annunciato Anne Hommel «hanno bisogno di tempo» e non sono pronti per preparare una nuova edizione della rivista satirica. Hommel ha spiegato che «sono stanchi e mediaticamente ancora troppo esposti, ma Charlie continuerà». Ce lo auguriamo e possiamo ben comprendere come sia difficile fare satira, schernire tutto e tutti con la morte nel cuore. Ma è evidente che il problema di Charlie va oltre la comprensibile sfinitezza nell’animo dei suoi redattori. Il problema è che, passato il facile entusiasmo per l’immensa manifestazione di milioni e milioni di francesi dell’11 gennaio, la Francia ha scoperto che non basta passare un pomeriggio nelle strade cantando la Marsigliese. Passato il momento della commozione, il clima è diventato cupo, si sono moltiplicate le critiche all’eccesso di satira, alla offesa alla sensibilità dei musulmani. Il New York Time, cattedrale dell’America liberal, si è rifiutato di pubblicare la vignetta con Maometto che proclama il perdono, per «eccesso di satira». L’onda di censura e di autocensura, di dissociazione dallo “spirito” di Charlie è diventata montante. Persino papa Francesco parlando delle manifestazioni contro la copertina di Charlie dopo la strage ha sostenuto che se offendessero sua madre (intendendo Maometto, nel caso) «io gli tirerei un pugno», e ha addirittura mimato il gesto. Ovunque, persino da parte del Marocco, grande alleato della Francia e unico Paese arabo democratico, sono partite bordate di proteste ufficiali dei governi e delle autorità religiose contro la copertina del «tutto perdonato». Ma non basta: in tutta la Francia più di 200 sono stati gli studenti di origine araba che si sono rifiutati di osservare il minuto di silenzio in ricordo delle vittime della strage di Charlie. Un bimbo di otto anni ha addirittura solidarizzato con i Fratelli Kouachi in classe, pubblicamente, con orgoglio ed è finito sotto inchiesta assieme a suo padre. Ovunque, nelle banlieues francesi sono apparse le scritte «Je suis Kouachi», di piena solidarietà con gli autori della strage, in spregio alle vittime. Demenziale, per contro, la reazione del governo francese che propone ora di contrastare le radici dell’odio che hanno portato alla strage di Charlie Hebdo, incentivando lo studio della laicità… Omaggio rituale e folle alla Dea Ragione e modo subdolo per sfuggire al nodo del problema. Quell’attentato non era infatti una manifestazione di terrorismo, non voleva incutere terrore, ma imporre la applicazione della sharia, della legge islamica, anche in Francia. E anche le proteste di tutti, tutti i Paesi musulmani avevano questo segno: l’Occidente deve rispettare la sharia che vieta la pubblicazione dell’immagine del profeta anche se dice «tutto perdonato». Questo, mentre in tutti i Paesi musulmani ai cristiani è proibito di tentare di fare proselitismo, di convertire gli islamici e in alcuni Paesi è addirittura proibito praticare la fede. Per non parlare della propaganda dell’ateismo. Dunque, noi occidentali dovremmo rispettare la loro sharia, pena la punizione, invece i Paesi islamici a casa loro rivendicano il pieno diritto di non rispettare per nulla le nostre libertà di pensiero, che sono - che dovrebbero essere - universali. Questo è il punto. E i Paesi occidentali subiscono il diktat senza protestare. Da qui nasce la crisi, quella vera, del futuro Charlie Hebdo.