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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

NON TORNA LA PRIMA REPUBBLICA

Interpretare l’elezione di Sergio Mattarella come un ritorno, o anche solo come un omaggio alla prima Repubblica, non è solo un indice di superficialità: è un abbaglio. Nulla in questa vicenda rimanda in specifico a quella fase, perché naturalmente non può essere considerato ritorno ai vecchi tempi l’età anagrafica del prescelto (con i requisiti richiesti per il Quirinale trovare un uomo pubblico che non ci sia passato è impossibile), né il richiamo a certe tradizioni politiche, le quali fanno parte ormai della storia di formazione della nostra democrazia postbellica.
Invero la dinamica che ha presieduto all’elezione del successore di Napolitano è stata tipica della nuova fase della politica italiana.
Ha visto alla prova il nuovo leader emergente che si cercava di mettere in angolo (Matteo Renzi) e che invece è riuscito a guidare la sua nave in porto tenendo unito un equipaggio piuttosto rissoso. Ha messo in luce la crisi di un altro leader, Silvio Berlusconi, che non è più riuscito né a tenere insieme le sue truppe, né ad inserirsi davvero nella partita del Quirinale. Ha registrato la tenuta di una diversa prospettiva di centro-destra, quella del duo Alfano-Casini, che aveva cercato una ricucitura della propria antica area, ma che infine ha ritenuto più importante restare in partita. In ultimo ha mostrato come l’area della alternativa populista, la Lega e il M5S, non demorda e scommetta ancora sul tenere duro contro ogni logica in attesa del crollo del sistema.
Tutte queste cose non fanno parte del lascito della prima repubblica, ma piuttosto testimoniano come si stia tentando di testare e di assestare quasi una terza repubblica, quella dove nuove generazioni cercano di ridefinire la “costituzione” del sistema politico (quella della struttura, al di là di quella della Carta) per affrontare la sfida che viene da un mondo in profonda evoluzione.
Qualcuno si chiede perché allora ci si sia affidati, e in maniera niente affatto casuale o risicata, ad un uomo come il giudice costituzionale Mattarella.
Certo c’è stata, ma era inevitabile, qualche dose di tatticismo per tenere insieme un quadro quanto mai nervoso. Tuttavia il senso politico di quanto è avvenuto sembra abbastanza chiaro. Delle esigenze che erano in campo si è tenuto conto di due fondamentali. La prima era quella di avere un uomo che avesse sperimentato la complessità della vita politica, ma che non fosse ascrivibile, neppur lentamente, ad alcuna delle parti in competizione (e magari che non avesse manifestato nell’ultimo decennio sue opzioni forti circa le ragioni della crisi e circa le soluzioni che le si possono dare). Da questo punto di vista Mattarella non aveva concorrenti. La seconda esigenza era garantirsi un Presidente che per il profilo di esperto in materia giuridico-costituzionale potesse tenere a freno i continui attacchi che si vanno facendo circa la presunta incostituzionalità di quasi tutti i tentativi di riforma (da quelli sul bicameralismo a quelli sulla magistratura, per non parlare della legge elettorale – ma l’elenco sarebbe lungo) e circa le stesse azioni del Quirinale.
La classe politica a larga maggioranza ha ritenuto che aver trovato l’uomo che garantisse queste due sponde era ciò che veramente importava. Tanto l’aspetto della capacità comunicativa che poteva renderlo “popolare”, quanto il versante del credito internazionale potevano aspettare di essere perfezionati durante il settennato.
E anche questa è una strategia per una fase nuova della nostra vita repubblicana.
Paolo Pombeni, Il Sole 24 Ore 1/2/2015