Gianni Clerici, la Repubblica 1/2/2015, 1 febbraio 2015
QUEL GIOCO DI COPPIE ALLE RADICI DEL TENNIS
Bolelli e Fognini hanno vinto gli internazionali d’Australia, e vanno quindi ad incidere, spero grati, il loro nome, alla teca in bronzo che, a Melbourne, ospita i nomi dei vincitori dei doppi, presso la galleria delle statue dei vincitori dei singoli. Ero, guarda caso, nuovamente ad assistere alla finale tv nella club house del mio circolo, giusto in attesa di un doppietto, di quelli odierni tra pensionati o simili. Mentre guardavamo, uno dei miei tre partner mi aveva fatto notare una considerazione del commentatore, Federico Ferrero, che ricordava come, nei tornei Slam, i soli degli azzurri a farcela fossero stati Pietrangeli e Sirola. «Li hai visti?», mi si chiedeva e, con tutta la possibile nostalgia, rispondevo agli increduli amici che, dopo aver vinto cinque grossi tornei insieme a Sirola, ed aver poi trascorso sei mesi in ospedale, avevo assistito a Parigi al successo dei miei amici in doppio, contro due australiani, Fraser e Emerson, nella qualità di giornalista, un mestiere che avevo probabilmente iniziato per l’improvvisa impossibilità nel continuare una carriera di tennista. «Ma sono davvero così bravi, Bolelli e Fognini?» mi chiedeva un altro, e un terzo: «Ma tu non hai scritto più di una volta che il doppio è ormai una specialità che i grandi singolaristi hanno abbandonato, almeno dai tempi di McEnroe e Fleming?». «L’ho scritto e lo confermo, perché dal giorno in cui il tennis è divenuto ultraprofessionale conta di più il singolo. Rimane il fatto che, per vincere uno Slam bisogna giocare un ottimo tennis, come stanno facendo Bolelli e Fognini». «E poi – osservava un altro dei miei partner – tu hai scritto che il tennis è nato storicamente come gioco di coppia, o addirittura di tripletta, durante il Rinascimento». «E non solo», aggiungeva Antonio, «è rimasto il gioco più praticato, nei club».
Due break decisivi, uno per ogni set, sarebbero stati sufficienti a Bolelli e Fognini perché il loro nome si iscrivesse nella storia del gioco, come erano riusciti a fare i loro antenati Pietrangeli e Sirola. In tempi di doppi più serrati, d’accordo, ma la mia natura di storico è felicemente rintuzzata dal compiacimento, non dico dall’entusiasmo, che sono stati capaci di comunicarmi. Speriamo, che come i Bryan, arrivino a ripetersi. Senza, tuttavia, dimenticare il singolare.
Gianni Clerici