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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

HAROLD PINTER ASPETTANDO BECKETT

Il drammaturgo e premio Nobel le scrisse senza mai apporre una specifica data, deducibilmente tra il 1948 e il 1960, in una parentesi di tempo che lo vide crescere da diciottenne a trentenne. Questa collezione epistolare era stata conservata privatamente nelle case di Henry Woolf — che nel 1957 firmò all’università di Bristol la prima regia assoluta del primo testo pinteriano, The Room (La stanza) — e di Mick Goldstein, coetanei appartenenti come Pinter alla cosiddetta “Hackney gang”, comunità di giovani di una periferia popolare londinese a forte concentrazione ebraica. La collezione è stata acquistata per 27.500 sterline dalla British Library di Londra, già in possesso dal 2007 di buona parte dell’archivio dello scrittore poi scomparso nel 2008.
Si tratta di documenti che in forma inedita sdoganano pensieri giovanili, osservazioni istintive, testimonianze di scorribande (altrui) e irrequietezze (proprie), rivelando — oltre che nomadismi di un apprendistato sulle prime connesso al lavoro attoriale in compagnie di repertorio — un talento sempre più attratto dai meccanismi creativi della parola, al punto che le pagine manoscritte affidate alla posta rendono chiara l’insofferenza del Pinter convenzionalmente attore (col nome d’arte pseudo-ebraico David Baron) la cui vocazione più quotidiana e compulsiva è, in realtà, quella di partorire in proprio battute, storie, commedie, drammi. Cui può dedicarsi solo nelle parentesi di pausa delle tournée, magari, come faceva, coinvolgendo anche i colleghi di scena a provare una sperimentale lettura di quanto abbozzato con senso e suono teatrali inediti, vagamente debitori a Beckett (da lui percepito come un immenso revisore della scrittura e dell’arte drammatica). E nelle lettere consiglia infatti a più riprese di non perdere Aspettando Godot, difende e menziona esemplarmente la trilogia narrativa dell’irlandese. Poi, certo, c’è spazio pure per raccontare l’uscita di casa riservata a una bevuta di Guinness con la moglie, che dal 1956 era l’attrice Vivien Merchant, compagna della cui salute mostra affettuosamente di preoccuparsi in una lettera. Sarà solo assai più tardi, nel 1980, che il matrimonio arrivò al capolinea, mentre Lady Antonia Fraser, l’attuale vedova (che oggi si dice «emozionata» da questa messa a disposizione della biblioteca londinese delle libere riflessioni di un “Harold giovane”), era già da qualche tempo all’orizzonte.
Ma sono sparsi qua e là ovunque, nelle lettere, gli indizi di un’intelligenza appartata e radicale: lì dove non capisce, nel Vangelo secondo Marco, perché Gesù abbia maledetto un fico che non dava frutti, lì dove segnala la bellezza de Il signore delle mosche di Golding, lì dove si sofferma poeticamente su un cielo. E a proposito di poesie, forse sarebbe di grande utilità accostare cronologicamente le cento lettere alle tante liriche, echi del suo futuro su palcoscenico, che fin dal 1948 Pinter ha composto (un esempio è l’inizio di Book of Mirrors del 1951, “Il mio libro è affollato dalle morte/ giovinezze degli anni...”). Poeta, drammaturgo profondissimo dei silenzi, che teneva a non paragonare ai silenzi di Beckett, il suo silenzio più inaccessibile è anch’esso senza data come questa corrispondenza ora visitabile, e ha avuto a che fare con l’unico suo figlio, Daniel. Oggi ultracinquantenne, confinato in una campagna del Kent, fu affetto fin da ragazzo da totale mancanza di dialogo col padre soprattutto da quando, adolescente, e depresso, accompagnato dallo psicologo, trovò all’uscita il genitore impegnato a scrivere dei versi; gli disse «Grazie papà» ma il padre (pentendosene sempre, poi) rispose automaticamente «Li sto scrivendo per Antonia (Fraser)»: da allora non ci fu più una sillaba tra loro. E questa ferita fu confortata dalle poche ma significative frasi dei suoi drammi. Quando conversammo nel 1999 con questo gigante del Teatro della Minaccia, nel suo studio in una viuzza di Notting Hill, parlavano i tanti bastoni da cricket, una poltrona a dondolo, la scrivania possente, un quadro astratto d’un suo amico, e infiniti scaffali di libri, dove a loro volta parlavano da soli i tanti raccoglitori di ritagli. E dove in sintonia con lui parlava la sua amica e traduttrice italiana, Alessandra Serra, che ora ha dato un nuovo italiano al suo Paesaggio.
Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica 1/2/2015