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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

CORSIVI

Le parole del Papa sui modi di produzione del cibo, che andrebbero «ripensati a fondo», difesi dagli eccessi della mercificazione, ricollegati alla «sacralità della terra e della vita umana», se pronunciate da chiunque altro provocherebbero gli sghignazzi di chi considera romanticherie patetiche, in blocco, tutte le considerazioni critiche sulla fortissima accelerazione in senso agroindustriale delle coltivazioni. La svendita di milioni di ettari a fondi di investimento che li destinano a colture non alimentari (per esempio biogas), la riduzione drastica delle specie coltivate in favore di poche perché più redditizie (a breve; l’ingordigia umana non valuta a medio e lungo termine l’impatto sui terreni e sull’ambiente), la perdita di sovranità alimentare di intere comunità agricole e di interi popoli: di tutto questo si vorrebbe e si dovrebbe discutere, e c’è perfino chi lo fa. Ma discuterlo espone all’accusa, incomprensibile ma corrente, di non capire il progresso anche quando sia regresso, a vantaggio di pochi e a scapito di molti, cieco sul futuro. Il Papa deve essere stato mal consigliato, dev’essere uno che legge Vandana Shiva o dà retta ai contadini di “Terra Madre”, si faccia un bel viaggio nella sua Argentina, dove può sorvolare migliaia e migliaia di ettari di soia transgenica senza che un solo filo d’erba possa interrompere quella gloriosa sequenza, e capirà quanto è bella l’agroindustria, quanto assurdo contrastarne la geometrica potenza.
Michele Serra