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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

MITE MA INTRANSIGENTE IL NUOVO CAPO DELLO STATO NON SARÀ SOLO UN NOTAIO

Il momento degli applausi, dei sorrisi, dei sospiri di sollievo è appena passato, e tutti si chiedono che presidente sarà Sergio Mattarella. Laconico, ieri lo è stato anche più del solito, quando gli hanno passato il microfono dopo la comunicazione ufficiale dell’avvenuta elezione da parte della Boldrini. «Il pensiero va alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini»; non ha voluto aggiungere altro, una stretta di mano e la voglia di ritirarsi dipinta sul viso. La Panda grigia guidata dalla figlia, il vestito grigio, i capelli grigi che incorniciano il volto mai abbronzato, e l’approccio timido e riservato che è da sempre il suo segno di distinzione. Stop, fine degli indizi. Basta questo per dire che diventerà un Presidente notaio, come già si legge sui giornali? O non sarà veramente così?
DEFILATO DAL 2008
Se è vero che la curiosità sull’eletto e sul modo di comportarsi accompagna ogni nuovo Capo dello Stato, nel Paese in cui ormai da quasi quarant’anni, da Pertini in poi, il Quirinale è diventato il baricentro del sistema instabile e della transizione infinita, stavolta, è inutile negarlo, c’è una ragione in più per interrogarsi. Mattarella è fuori dalla vita politica dal 2008, ma anche prima aveva preferito appartarsi; e non ha mai amato ruoli da protagonista. Tra i 665 che lo hanno votato, molti, lasciando Montecitorio, confessavano di non averlo mai conosciuto, incontrato, sentito parlare. Scherzando sulla novità di un eletto tutto da scoprire, una senatrice emiliana con il gusto della battuta sosteneva che bisognerebbe dire alla Rai di mandare in onda un “tutorial”, un filmato pedagogico, per spiegare il decalogo, il vocabolario, la filosofia di un certo modo di essere siciliano. Un tentativo di far chiarezza, di rivalutare termini come “rispetto”, “garbo”, “persona”, “famiglia”, “amicizia”, “educazione”, “solidarietà”: parole, queste, che coniugate con la Sicilia hanno avuto per troppi anni significati ambigui, mafiosi o semi-mafiosi, e adesso invece si capirà che non è più così. «Finora la Sicilia, nella percezione della gente, è stata quasi solo mafia, pizzini, sprechi, sottosviluppo, intrecci clientelari. Se magari a sorpresa usciva qualcosa di buono, lo scrittore, il regista, il bravo imprenditore, non a caso si parlava dell’ “altra Sicilia” - spiega l’ex-ministro siciliano Salvatore Cardinale -. Con Mattarella, finalmente si capirà che non è così». Mattarella infatti è siciliano, non un altro modo di essere siciliano.
L’OMICIDIO DI PIERSANTI
La sua storia, segnata dall’assassinio del fratello Piersanti da parte della mafia il 6 gennaio 1980, era stata fino a quel momento assolutamente normale. Sergio aveva vissuto l’infanzia e l’adolescenza tra Roma e Palermo, studiando dai gesuiti, al “San Leone Magno” e al “Gonzaga”, scuole di una borghesia sobria e civile, educata all’understatement e selezionata attentamente anche per affacciarsi alla vita pubblica. «A un certo punto però se n’è andato - dice un altro ex-ministro palermitano, Vito Riggio -. Ha compreso che se vuoi cambiare la Sicilia devi farlo da lontano, non restare lì, perché altrimenti, o ti becchi due pallottole o un avviso di garanzia». Qualcuno, è inevitabile, si aspetta dal Presidente un ritorno di meridionalismo piagnone e assistenziale, o più esplicitamente si domanda cosa farà per la Sicilia. La risposta è semplice: purtroppo, nulla di concreto. È difficile far capire che il Capo dello Stato non ha alcun potere diretto per farlo. Lui troverà certamente il modo di dirlo, ma anche di parlare della sua terra, della sua gente, dei suoi problemi, sollecitando il governo e chi di dovere a occuparsene. Mafia e collusioni mafiose con la politica resteranno, manco a dirlo, al centro del suo impegno: la battaglia di tutta una vita troverà posto nel discorso di insediamento martedì alla Camera.
LA LEGGE ELETTORALE
Mattarella, si sa, è un giurista: costituzionalista, ha insegnato diritto parlamentare all’Università. È l’autore del Mattarellum, la legge che insieme all’impianto maggioritario conteneva una serie di specifiche, subordinate e meccanismi volti a garantire la rappresentanza delle minoranze, e la sopravvivenza, poi fallita, dei partiti come strumenti di democrazia. Sa scrivere e leggere una norma, è pignolo e rigoroso, riconosce subito un pasticcio o un groviglio di interessi in un testo di legge: l’esperienza alla Camera e al governo, però, gli ha insegnato che mai la soluzione giuridica di un problema dev’essere arida o oscura.
È cattolico: un cattolico laico, democristiano, alla De Gasperi, non un baciapile. Ora che il Vaticano ha quasi smesso di intromettersi negli affari della politica, c’è da aspettarsi che costruirà un buon rapporto con Papa Francesco, saprà essere attento ai contenuti sociali della Chiesa rinnovata del pontefice. A modo suo cercherà di tradurli, usarli, mescolarli ai doveri quotidiani del suo ufficio, perché li condivide. Sergio ha un forte senso della famiglia, ha sofferto moltissimo per la morte della moglie, Marisa, tre anni fa, e le ore più liete della vita le trascorre con figli e nipoti: anche ieri, era con loro a guardare la tv quando ha detto che era diventato Presidente della Repubblica. Fuori dalla politica ha pochi amici, a cui è molto affezionato. «Diffidate di quelli, e sono già in tanti, che verranno a dirvi che erano suoi compagni di banco o studiavano con lui al liceo», ironizza la terza ex-ministra Prestigiacomo, ammettendo lealmente di conoscerlo poco e non aver votato per lui.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Uno fatto così difficilmente diverrà il notaio che tutti pronosticano, guardandolo senza conoscerlo. Sui principi, sui valori, sulla Costituzione, che conosce a memoria e ha illustrato con passione a migliaia di studenti quando ancora insegnava, non transige. Del resto, per capire come sarà, non occorrerà attendere molto. Con la sua uscita dalla Corte, salgono a due i giudici costituzionali che dovranno essere eletti dal Parlamento: lo stesso Parlamento che è riuscito, sì, a riscattarsi dalla brutta figura del 2013 eleggendo il nuovo Presidente, ma fino a due mesi fa mise in scena per 23 sedute lo spettacolo vergognoso della lite infinita tra senatori e deputati e il falò di candidati, uno dopo l’altro. Se Napolitano, esasperato, arrivò a minacciare di sciogliere le Camere, dopo una serie di appelli inascoltati, è difficile pensare che Mattarella possa essere più clemente, di fronte all’incapacità di completare il collegio della Consulta.
IL NODO DELL’ITALICUM
Un problema simile potrebbe verificarsi tra poco, quando l’Italicum arriverà alla Camera. Secondo Vizzini, presidente del Psi, un altro della “primavera palermitana” Anni 80, che con Mattarella ha una consuetudine ultratrentennale - e nella scorsa legislatura, al Senato, aveva l’ingrato compito di coordinare ben 42 progetti di legge elettorale -, la minoranza Pd tornerà alla carica. E anche il centrodestra, dopo la sconfitta sul Quirinale, sarà meno disponibile. Se dovessero chiedere udienza per chiarire le riserve sul nuovo sistema, Mattarella come si comporterà? «Li ascolterà e poi cercherà di esercitare la sua moral suasion sul premier», prevede Vizzini. Sottinteso, se Matteo dovesse fare orecchie da mercante, per andare subito all’approvazione definitiva dell’Italicum, evitando di farlo tornare al Senato, Mattarella, come Ciampi e Napolitano prima di lui, potrebbe anche non firmare la legge, se non lo convince.
Marcello Sorgi, La Stampa 1/2/2015