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SETTE GIORNI DI CATTIVI PENSIERI
LA MACCHINA SEXY E UN VINO DA PAPA
GIANNI MURA
SEXY . Così Maurizio Arrivabene (nomen omen?) ha definito l’ultima creazione in casa Ferrari. E ha aggiunto: «La F14T era brutta e pure perdente». Da dove nasce l’essere più o meno sexy di una vettura di F1? A forza di pensarci m’è venuto il mal di testa. «Aggraziata » la definisce Mauro Forghieri , al quale il termine “sexy” non deve piacere molto, e lo capisco. Preferisce parlare di belle e stupende: la 312 F1 di Amon, la serie di 312T di Lauda, ma anche la T4 di Scheckter. “Ve’ se l’è brut” disse Ferrari a Forghieri appena la vide. Poi cominciò a vincere, e cominciò a piacergli. Tutto questo ci riporterebbe a quel che si usa definire saggezza popolare: non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace. Sarà. Ma il bello è in quel che si vede o nell’occhio che vede? Così rischio un peggioramento del mal di testa. Resta il fatto che “sexy” rappresenta una riuscitissima formula di marketing. Un po’ come il cibo da strada: fino a che non s’è deciso di chiamarlo street food se lo filavano in pochi. E una Ferrary sexy desta più curiosità di una Ferrari competitiva. Per ora.
Non sono in grado di stabilire se Mattia Destro sia sexy. In senso calcistico sì, visto che il suo arrivo in treno a Milano ha bloccato la Centrale. Fosse arrivato l’equivalente di Pelè si sarebbe bloccata la città. Confesso di essere affascinato dal mercato invernale, mi sembra destinato più a riparare i bilanci che le rose. Prendiamo Federico Bonazzoli, 18 anni a maggio, che l’Inter cederà alla Samp in cambio di 7 milioni di euro mantenendo per tre anni il diritto di riscatto a 12 milioni. Non sono pochi 7 milioni per un ragazzo che in A ha giocato 37’ in tutto, e 156’ in Europa. E non sembra una mossa logica quella di investire, come sembra, parte di quella cifra per far tornare all’ovile la stagionata pecorella che è Cassano. Ma, tornando al sexy dell’inizio, il gozzaniano “donna, mistero senza fine bello” fu mutato da Brera in “calcio, mistero senza fine bello”. Si riferiva al gioco, ma l’endecasillabo va benissimo per il mercato. E il colpevole non è il maggiordomo.
Il maggiordomo, spesso, conduce verso la tavola. Francesco Merlo ieri ha raccontato di un’abitudine di Sergio Mattarella: «Come Sciascia, Sellerio, Bufalino, Consolo, imponeva il suo silenzio ai commensali, sempre quelli, che si portava dietro, tutti con gli occhi perduti dentro il piatto». Mentre repubblica.it mette in rete un filmato del marzo ’98, a Barisciano, in Abruzzo. Solito raduno di alpini con Marini e Diliberto. Mattarella presenzia (partecipa sarebbe eccessivo) come vicepresidente. Tutti cantano l’inno di Mameli e poi Bella ciao (Diliberto più intonato di Marini, ma non era difficile). Tutti cantano tranne Mattarella. Giusto, una canzone fa a pezzi il silenzio più d’una chiacchierata a tavola. Tanti auguri, presidente, e buon lavoro. La prego però di non invitarmi a pranzo o a cena, sarei un pessimo commensale.
Invece mi piacerebbe, tanto per dire, stare a tavola con papa Francesco. Tanto più da quando ha ricevuto il diploma di sommelier ad honorem , dieci giorni fa. In dicembre Renzi gli aveva portato in dono due bottiglie di Vin Santo (furbino, si sa) ed era stato criticato perché si riteneva che il papa fosse astemio. Io lo critico perché due bottiglie sono poche, va bene limitare le spese ma qui ha esagerato. «Non sono astemio, bevo poco, come deve fare un papa, ma bevo vino di tutto il mondo» ha detto Francesco ai 150 esponenti del mondo del vino ricevuti in Vaticano. E ad Angelo Gaja (dal Corsera): «Avevo uno zio che riusciva a riconoscere in quale collina veniva prodotta ogni bottiglia di Dolcetto». E il nonno, a Portacomaro, produceva Grignolino. Ci avrei giurato sul fatto che il papa non era astemio. Baudelaire diceva che ogni astemio ha qualcosa da nascondere, e non sembra il caso di Francesco. E comunque Gesù alle nozze di Cana con un miracolo tramutò l’acqua in vino, non in acqua minerale o limonata. E poi perché ogni tanto Francesco nei suoi discorsi il vino ce lo mette: «Senza vino non c’è festa». «Che si possa essere come il buon vino, che quando invecchia migliora, è più buono ».
Se, per ipotesi, m’invitasse lui, gli porterei sei bottiglie di vino (capìto, Matteo?) scartando il Vin Santo. Mi resterebbero il valtellinese Inferno, il Lachryma Christi campano, il Sangue di Giuda dell’Oltrepò pavese, le bottiglie romagnole della Fattoria Paradiso e umbre di Pieve del Vescovo, le laziali Fontana di Papa mi sa che gliele hanno già piazzate, quelle marchigiane di Oasi degli Angeli forse no. Se, sempre per ipotesi, lo invitassi io dovrei anche decidere cosa si mangia. Eviterei un menù tematico, tipo cappesante, capelli d’angelo, strozzapreti, cappello da prete, torta Paradiso, giudicherei improponibili le zizze di monaca, specialità di Guardiagrele ed Altamura. Studierei un menù francescano, cose buone e semplici. E al primo brindisi gli direi una frase dell’ateo Veronelli: il vino è il canto della terra verso il cielo.
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