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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

L’elezione di Sergio Mattarella

febbraio 2015
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IL NUOVO PRESIDENTE
SOTTO IL COLLE
Le schede
Torna anche stavolta nell’elezione del presidente della Repubblica
il vecchio trucco dei fanfaniani I deputati Pd hanno scritto Mattarella i Giovani Turchi Mattarella S.
Iniziali, punti, On e prof ecco il codice enigma per riconoscere i voti e smascherare i cecchini
SEBASTIANO MESSINA
Sabato 3-1 gennaio, san Giovanni Bosco
ALL’INIZIO nessuno ci ha fatto caso. La presidente Boldrini leggeva la scheda e annunciava, come una notaia zelante: «Mattarella Sergio», «Mattarella», «Sergio Mattarella». E sembrava un disordine casuale, come quando si vota per il capoclasse e ogni studente scrive il nome del compagno come gli pare. Poi però, alla decima volta che ripeteva con precisione quasi puntigliosa «Esse punto Mattarella» o «Mattarella Esse», «onorevole professor Sergio Mattarella», o «onorevole Mattarella» - come se ci fossero in lizza altri Mattarella da non confondere con il candidato di Renzi, magari un ragionier Mattarella, un architetto Mattarella o un geometra Mattarella - qualcuno ha notato che il caso non c’entrava nulla. Quelli erano voti targati e firmati, scritti così affinché fossero riconosciuti da qualcuno che – chissà dove: magari a casa, con il taccuino in mano – doveva avere la prova che Tizio, Caio e Sempronio avevano votato per il nuovo Presidente.
Il primo ad alzare la manina per dirlo è stato il grillino Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera. Non in aula (non poteva: è un seggio elettorale) ma sulla sua pagina Facebook: «I partiti oggi conteranno i voti per evitare franchi tiratori, ma soprattutto per farli “pesare” in futuro. Sembra che quelli di Sel scriveranno “prof. Sergio Mattarella” mentre la minoranza Pd “Mattarella Sergio”…». Si poteva evitare, accusava Di Maio: «Sarebbe bastato che la presidente Boldrini si fosse rifiutata di leggere il nome sulle schede durante lo spoglio, leggendo solo il cognome». Però giovedì i suoi compagni di partito Barbara Lezzi e Matteo Dell’Osso hanno pubblicato su Internet la foto scattata col telefonino del loro voto per Imposimato, mentre l’ex grillina Alessandra Bencini mostrava la sua scheda con il nome di Rodotà e il trionfante commento «Detto/ fatto!».
Eppure non era l’unico, il vicepresidente dei Cinquestelle, a protestare contro le schede targate. Gridava allo scandalo anche il deputato sardo Mauro Pili (ex governatore berlusconiano, ora indipendentista sardo) che però prima urlava «Vergogna Boldrini, che legge punti e virgole!» e poi postava su Facebook la foto della sua scheda appena votata, con uno slogan al posto del nome: «Sardegna libera!».
Diciamo la verità: è un vecchio trucco, quello di rendere riconoscibili i voti. L’inventarono i fanfaniani nel 1971. Per individuare i franchi tiratori, ad alcuni venne chiesto di scrivere «Fanfani» in rosso, ad altri in verde, ad altri ancora con la stilografica o con la matita. I parlamentari vennero divisi in gruppi, e ogni gruppo doveva aggiungere un titolo diverso («professore », «senatore», «presidente») o premettere il cognome al nome o scrivere solo l’iniziale del nome. Non bastò. L’allora senatore Lino Jannuzzi commentò, perfido: «Per eleggere Fanfani ci vorrebbero le schede trasparenti, come in Cecoslovacchia». E un cecchino, perfido, invece del nome scrisse sulla scheda: «Nano maledetto, non sarai mai eletto».
Ma chi erano, stamattina, i grandi elettori che hanno voluto farsi riconoscere? E perché l’hanno fatto? Il Partito democratico, si capisce, stavolta voleva mettere paura ai franchi tiratori. Voleva sapere se qualcuno tradiva, e quanti. Così alle nove del mattino so- no partiti gli sms per tutti i parlamentari. I deputati hanno ricevuto sul telefonino l’indicazione di scrivere semplicemente «Mattarella», mentre ai senatori è stato chiesto di aggiungere anche il nome: «Sergio Mattarella». E già così si sarebbe potuto fare un primo controllo. Troppo generico, però.
E se ci fosse stata una pattuglia di franchi tiratori, magari determinante per il fallimento dell’operazione? C’è stato un momento, venerdì sera, in cui i “giovani turchi” si sono sentiti guardati con sospetto. Come se qualcuno dubitasse ancora che avrebbero potuto impiombare persino Mattarella, per dare un’ultima disperata chance ai loro candidati, Giuliano Amato e Anna Finocchiaro. E il sospetto doveva essere diventato insopportabile, perché a un certo punto Matteo Orfini ha perso la pazienza: «Basta, noi renderemo riconoscibili i nostri voti: così la facciamo finita». Oggi i 66 voti dei “giovani turchi” sono spuntati tutti dalle urne: erano quelli con la scritta «Mattarella S.». Anche Vendola ha voluto targare le schede di Sel, a scanso di equivoci: i suoi 33 grandi elettori hanno votato tutti allo stesso modo, «on. Sergio Mattarella». Dopo il disastro di due anni fa, il governatore della Puglia voleva assolutamente rimanere un alleato al di sopra di ogni sospetto.
E le altre schede? Chi ha dato ordine di scrivere «onorevole Mattarella», «Mattarella Sergio», «on. prof. Sergio Mattarella» e «S. Mattarella»? Nel Pd, tutti negano che quelli fossero voti loro. E quando chiedo ai grandi elettori di Alfano, con una domanda a trabocchetto, quale fosse il loro codice di riconoscimento nelle urne, li vedo cadere dalle nuvole. «I nostri voti non erano targati» assicurano, e sembrano sinceri. I sospetti, piuttosto, si addensano sui grandi elettori di Gal (Grandi Autonomie e Libertà) che hanno promesso i loro voti. Sarebbero loro gli autori delle schede «Mattarella Sergio», una trentina di voti che al momento opportuno potranno essere messi sul tavolo di Renzi, e usati come una cambiale da mettere all’incasso. Che poi il presidente del Consiglio riconosca quella cambiale, è un altro discorso.
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STRATAGEMMI
Una scheda usata ieri per votare il capo dello Stato.
Per rendere il voto riconoscibile basta una sigla


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"Mattarella" e "Sergio Mattarella": 352 e 123 pd
"On. Mattarella": 52 ncd
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