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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

APPUNTI SU SERGIO MATTARELLA PER IL FOGLIO DEI FOGLI

«Mattarella? Ma se lei va a domandare ai parlamentari chi è, le risponderanno: chi, il cugino dell’onorevole Mattarellum?» (l’ex democristiano Pino Pisicchio, ora presidente del Gruppo misto) [Sebastiano Messina, la Repubblica 29/1].

«Pio, schivo, incapace di sorriso» (Giancarlo Perna) [Libero 27/1]. «Grigio, invisibile» (Massimiliano Scafi) [Massimiliano Scafi, il Giornale 30/1]. «Dolente e creativo» (Francesco Merlo) [Francesco Merlo, la Repubblica 31/1]. «Mite fino a quasi ad apparire fragile» (Fabrizio Roncone) [Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 30/1]. «Mediatore per natura e vocazione politica» (Dino Pesole) [Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 30/1]. «Sembra uno in bianco e nero degli anni ’60» [Mario Ajello, il Messaggero 30/1]. «Un monaco» (Silvio Berlusconi) [Mario Ajello, il Messaggero 30/1].

L’Ansa è dovuta risalire al 2008 per ritrovare negli archivi una dichiarazione di Sergio Mattarella e negli ultimi dieci anni risultano solo 29 titoli con parole pronunciate dal nuovo presidente della Repubblica.

Massimo Gramellini: «Al confronto Monti era il carnevale di Rio. Ho guardato e riguardato l’unica intervista a Sergio Mattarella disponibile su YouTube, ambientata su un divano a fiori non vivacissimi. In quattro anni ha ricevuto zero commenti. Parla per sei minuti senza mai variare il tono della voce né muovere un muscolo del volto. A metà, per alleggerire, racconta una storiella del quarto secolo avanti Cristo» [Massimo Gramellini, La Stampa 30/1].

«Avete presente Renzi? Bene, Mattarella è il suo esatto contrario. È uno che ama il grigio, evita le telecamere, parla a bassa voce e coltiva le virtù della pacatezza, dell’equilibrio e della prudenza. Ma sotto quel vestito grigio e dietro quei modi felpati c’è un uomo con la schiena dritta» (Sebastiano Messina) [Sebastiano Messina, la Repubblica 29/1].

Sergio Mattarella, nato a Palermo il 23 luglio 1941. Eletto alla Camera nel 1983, 1987, 1992, 1996, 2001, 2006 (Dc, Ppi, Ulivo, Margherita). Ministro per i Rapporti col Parlamento nel governo De Mita (1988-1989), dell’Istruzione nell’Andreotti VI (1989-1990), vicepresidente del Consiglio nel D’Alema I (1998-1999), ministro della Difesa nel D’Alema II (1999-2000). Dall’ottobre 2011 giudice della Corte Costituzionale (eletto dal Parlamento in seduta comune al quarto scrutinio con 572 voti). Eletto presidente della Repubblica sabato 31 gennaio 2015 (al quarto scrutinio con 664 voti) [Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio]

«In confronto a Mattarella, Forlani è un movimentista» (Ciriaco De Mita) [Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio]

Soprannominato Sergiuzzu [Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio]

Figlio di Bernardo Mattarella (Castellammare del Golfo 15 settembre 1905 – Roma 1 marzo 1971), politico democristiano che tra gli anni ’50 e ’60 è stato più volte ministro [Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio]

Bernardo, che si vantava di essere stato il primo a entrare in contatto con don Luigi Sturzo, esule in America, dopo lo sbarco degli Alleati [Sebastiano Messina, la Repubblica 30/1].

«Papà, chi è quel signore che cammina con il rosario in mano come un prete, ma non ha il saio?» domandò una volta la figlia maggiore, Marinella. «È un mio amico, si chiama Giorgio La Pira» rispose il padre [Sebastiano Messina, la Repubblica 30/1].

Fratello minore di Piersanti, altro politico democristiano ucciso il 6 gennaio del 1980 dalla mafia mentre era presidente della Sicilia [Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio]

Marcello Sorgi: «Si dice che in ogni famiglia siciliana ci sia un figlio arabo e uno normanno: così Piersanti, il maggiore, aveva il piglio di un guerriero saraceno ed era stato l’erede designato della tradizione politica paterna. Mentre Sergio aveva scelto gli studi e l’università, dov’era andato in cattedra presto come costituzionalista. Per molti anni i due fratelli, che avevano sposato due sorelle, Irma e Marisa (scomparsa di recente), figlie del grande romanista Lauro Chiazzese, si erano dedicati a difendere nelle aule di giustizia l’onore del padre dalle accuse, mai dimostrate, di legami con la mafia» [Marcello Sorgi, La Stampa 30/1].

Attilio Bolzoni: «Era ancora vivo, respirava ancora il Presidente della Regione Piersanti Mattarella quando suo fratello Sergio lo stava tirando fuori dalla berlina scura dove era rimasto schiacciato qualche istante prima da otto pallottole. Era ancora vivo quando lui cercava di prenderlo per le spalle e gli sorreggeva il capo mentre la moglie Irma gli spingeva le gambe, spingeva e spingeva senza sentire più il dolore per quelle dita spezzate da uno dei proiettili. È l’attimo in cui cambia per sempre l’esistenza di un tranquillo professore universitario che ha fra le braccia il fratello morente e raccoglie l’eredità di una stirpe politica che con orme assai diverse ha profondamente segnato la vicenda siciliana fin dal dopoguerra. Proprio in qualche secondo è cambiato tutto per il professore Sergio Mattarella, fra le 12,30 e le 13 del giorno dell’Epifania del 1980. Strade quasi deserte dalla Statua fino al teatro Politeama, sole, chiese, campane e spari. Spari nella città dove si faceva politica con la pistola» [Attilio Bolzoni, la Repubblica 31/1].

Il Fatto Quotidiano negli ultimi giorni ha ricordato i problemi giudiziari della famiglia Mattarella. Travaglio: «Di Sergio Mattarella abbiamo ricordato la fama di persona perbene (come quella del fratello Piersanti, assassinato da Cosa Nostra) e l’assoluzione per finanziamento illecito, ma anche la confessione di aver accettato un contributo elettorale da Filippo Salamone, universalmente noto in Sicilia come il costruttore di Cosa Nostra. Siccome poi, per il capo dello Stato, conta anche la reputazione della famiglia (ne sa qualcosa la buonanima di Leone), non si possono dimenticare le ombre sul defunto padre Bernardo, ras della Dc siciliana nel Dopoguerra; e neppure quelle più recenti che hanno coinvolto il fratello Antonino, indagato negli anni ’90 a Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa col cassiere della banda della Magliana Enrico Nicoletti, per una speculazione su una decina di alberghi a Cortina: inchiesta poi archiviata nel 1996 per mancanza di prove sulla provenienza illecita del denaro, con coda di polemiche anche in Parlamento. Completano il quadretto famigliare il nipote Bernardo, figlio di Piersanti, deputato regionale in Sicilia, ora indagato per peculato sui rimborsi regionali; e il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, allievo di Sabino Cassese, docente di Diritto amministrativo a Siena e alla Luiss nonché capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della Pa, accanto a Marianna Madia: il suo compenso di 125 mila euro l’anno ha sollevato qualche malignità» (Marco Travaglio) [il Fatto Quotidiano 29/1].

Liceo al San Leone Magno di Roma, da ragazzo Sergio Mattarella ha fatto parte della Gioventù Studentesca di Azione Cattolica e della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, insegnando anche Diritto parlamentare all’Università di Palermo [Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio]

Vito Riggio, che negli anni ’70 lo convinse ad accettare la sua prima candidatura: presidente dell’Opera universitaria. Una volta eletto, si pentì prestissimo: «Un giorno – racconta Riggio – si ritrovò assediato da una folla di studenti urlanti, uno di loro brandiva minacciosamente un grosso mestolo, e Sergio era lì in mezzo, serafico. E più quelli urlavano e più lui abbassava la voce. A un certo punto disse al più scalmanato: “Scusi, ma perché urla? Siamo qui per discutere, no?”. E quelli si calmarono di colpo» [Sebastiano Messina, la Repubblica 30/1].

Alle elezioni politiche del 1983 venne eletto alla Camera dei Deputati con la Dc: faceva parte della corrente dei morotei, quella di Aldo Moro e di Benigno Zaccagnini (quella più a sinistra). Fu incaricato dall’allora segretario della Dc, Ciriaco De Mita, di occuparsi in quelli anni del partito in Sicilia e appoggiò la candidatura di Leoluca Orlando a sindaco di Palermo. Giancarlo Perna: «Ce l’avrà per sempre sulla coscienza. Leoluca era ancora un placido dc ma la promozione gli dette al cervello. Divenne un compulsivo antimafioso e il prototipo di chi su questo imbastisce la carriera, finendo per accusare di connivenza perfino Giovanni Falcone» [Giancarlo Perna, Libero 27/1].

Rieletto alla Camera nel 1987, continuò a collaborare politicamente con De Mita e fu nominato ministro dei Rapporti con il Parlamento (governo Goria), confermato anche l’anno dopo nel governo De Mita.

«Non esiste il mattarellismo perché Sergio fu la Dc che in nome della Dc avvelenò i pozzi di casa. “Sergio diceva anche nei comizi – racconta oggi Vito Riggio – che la sua, la nostra, era la Dc come doveva essere, e non com’era”. Da vicesegretario di Forlani apertamente criticava Forlani che reagiva così: “Sospetto che il mio vice faccia in realtà le veci di qualcun altro, ma non ho capito di chi”. E Andreotti, di cui fu ministro della Pubblica istruzione: “Quel Mattarella che rilascia dichiarazioni contro il governo dev’essere un omonimo del ministro che sta nel mio governo”» [Francesco Merlo, la Repubblica 31/1].

«Sergio il Tenace, il Calmo, l’Anti-eroe, come lo descriveva Giampaolo Pansa in un lungo ritratto su Repubblica del 7 febbraio 1989. All’epoca Mattarella era ministro dei Rapporti con il Parlamento del governo De Mita. Uno dei colonnelli della sinistra Dc, l’ultimo dei morotei, lo raccontavano i giornali. “Viso da ragazzo sotto i capelli bianchi. Pacato, tenace, senza ansie da potere né sbandamenti faziosi. In politica è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade”, scriveva Pansa. “Lui sorride, e nel sorriso si legge la risposta: talvolta la goccia è più efficace del torrente in piena. “I piccoli passi sono importanti almeno quanto i grandi movimenti che suscitano clamore…”. Diceva tante cose Mattarella in quella lontana intervista: “I partiti sono sempre più asfittici e lontani dal loro retroterra sociale. I quadri selezionati spesso risultano mediocri. O riusciamo a rompere il sistema, inserendo nei partiti energie nuove, raccolte dalla società, oppure i partiti moriranno”. Osservo il limpido fervore di Mattarella e mi vien da pensare: mio Dio, che illuso”, concludeva Pansa. “Mi chiedo come reggerà fra i carriaggi, le truppe, le grandi armate, i compromessi di potere, i pateracchi, i cinismi, le piccole viltà. Poi, di colpo, mi ricordo di suo fratello Piersanti: si fece uccidere, a Palermo, per dar sostanza a tante giuste illusioni. E allora concludo: sì, meglio aspettare, meglio sperare”» (Marco Damilano) [Marco Damilano, espresso.it 26/1].

Alle 9 di sera del 26 luglio 1990 si dimise da ministro dell’Istruzione del governo Andreotti, assieme a Carlo Fracanzani (Partecipazioni Statali), Riccardo Misasi (Mezzogiorno) e Mino Martinazzoli (Difesa) quando fu approvata la legge Mammì sulle tv che favorì Silvio Berlusconi. Fu lui a spiegare quel gesto di rottura: «Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia, in linea di principio, inammissibile…». Poi, quella sera, incrociò Martinazzoli e gli chiese: «Hai consegnato la lettera di dimissioni?». «Certo, l’ho appena fatto». «E hai fatto una fotocopia?». «No, perché?». «Perché Andreotti è capace di mangiarsela, la tua lettera, pur di farla scomparire…» [Sebastiano Messina, la Repubblica 29/1/2015].

Dopo l’inchiesta Mani Pulite, è stato uno dei principali rappresentanti del rinnovamento della Dc, su cui ha influito anche come direttore del quotidiano del partito, Il Popolo, dal 1992 al 1994. Lo sbocco del processo fu la nascita del Partito Popolare.

Famoso per la vecchia legge elettorale (Mattarellum) che, adottata dal 1994 al 2001, prevedeva collegi uninominali e un sistema maggioritario per il 75 per cento degli eletti: «La gente rimpiange sempre di più quelle norme. Consentivano un rapporto diretto con i candidati, selezionavano meglio la classe politica, mettevano i cittadini nella condizione di scegliere veramente» (a Marco Galluzzo) [Marco Galluzzo, Corriere della Sera 7/4/2007].

«Il meccanismo fu paragonato all’ornitorinco, mammifero australiano col becco d’anatra, mani di scimmia, coda di foca. Col Mattarellum si votò tre volte, nel 1994, 1996 e 2001, con vittorie ripartite tra destra (due) e sinistra. Messo alla prova, il sistema se la cavò. Tanto che oggi, paragonato al Porcellum di Roberto Calderoli che lo sostituì, è perfino rimpianto» (Perna) [Giancarlo Perna, Libero 27/1].

Marcello Sorgi: «Ironia della sorte, quel sistema studiato a tavolino da uno che a trent’anni costruiva scientificamente, insieme al fratello, strategie e candidature per le elezioni regionali siciliane, invece di garantire il traghettamento di quel po’ ch’era rimasto della classe dirigente, dall’epoca della dannazione al nuovo mondo, aprì la strada a Berlusconi e a un centrodestra imbastito in fretta e furia, arrivato assai acerbo nella stanza dei bottoni» (Marcello Sorgi) [Marcello Sorgi, La Stampa 30/1].

«Fu proprio quella legge, sotto il ciclone di Tangentopoli, a far crollare il partito di Mattarella, la Dc. Ma lui fu uno dei pochi che sopravvissero alla Prima Repubblica, perché l’unica macchia che erano riusciti a trovargli era una vecchia storia di buoni benzina regalatigli da un costruttore siciliano (assoluzione piena, “il fatto non sussiste”) (Sebastiano Messina) [Sebastiano Messina, la Repubblica 29/1].

Un gesto, di solito, avverte che sta per perdere la pazienza: quando si porta le mani agli occhialini e cerca di aggiustarseli sul naso. Ma capita di rado [Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 30/1].

Racconta Sorgi: «Eppure in quell’incredibile ’94 in cui il Cavaliere in soli tre mesi spiccò il balzo da Arcore a Palazzo Chigi, Sergio Mattarella una volta perse la calma. Sarà stato il 20 di giugno, in un sotterraneo dell’hotel Ergife. In una saletta dalla luce incerta, non distante da quella in cui qualche mese prima Craxi aveva gettato la spugna, il Partito popolare erede della vecchia Dc rifletteva sulla peggiore sconfitta della sua storia. Il fondatore, Martinazzoli, s’era dimesso. Tra risentimenti e divisioni interne, era arrivato inaspettatamente a succedergli il professor Rocco Buttiglione, teorico di una inevitabile svolta a destra del partito che aveva nel suo Dna il “centro che guarda a sinistra”. Tensione, proteste, inutili discussioni regolamentari, come succede spesso quando la politica non ha più argomenti, e però i numeri sono numeri e Buttiglione ce la fa. A quel punto, un pezzo di sinistra dc, che fino a quel momento aveva governato il partito, si alza e se ne va. Escono gridando, sotto gli occhi increduli di chi rimane: “Fascisti, fascisti, fascisti!”. A guidare il piccolo corteo dei resistenti ci sono Rosi Bindi e Mattarella» [Marcello Sorgi, La Stampa 30/1].

Definì l’ingresso di Forza Italia nel partito popolare europeo «un incubo irrazionale». Sara Bianchi: «Ma l’attacco più duro a Silvio Berlusconi resta quello lanciato assieme a Nicola Mancino, quando ammonirono l’allora leader di Forza Italia a “non strumentalizzare l’eredità di Alcide De Gaspari”, in occasione della commemorazione per il 45 anniversario della morte dello statista». Era il 1999. [Sara Bianchi, Il Sole 24 Ore 4/10/2011].

Quando, ai tempi della Bicamerale, lo avevano visto uscire dalla casa di Gianni Letta dove aveva cenato con Berlusconi e Fini, così Mattarella si giustificò con l’allora cronista dell’Unità Rosanna Lampugnani: «Davvero credete che nel 1947 non ci fossero cene e incontri riservati? L’articolo 7, per esempio. Pensate che si sarebbe potuto scrivere senza contatti riservati tra Togliatti, De Gasperi e il Vaticano?» [Francesco Merlo, la Repubblica 31/1].

«“Mi fa vedere come ha scritto ‘centrosinistra’?” fa Mattarella al giornalista di Repubblica che lo intervista nel 1999. “Senza trattino? No, guardi, così non va bene: così perdiamo... Scriva “centro-trattino-sinistra”: rende meglio l’idea di un’alleanza tra due soggetti diversi”. (Ovviamente le elezioni le vinse Berlusconi)» (Fausto Carioti) [Fausto Carioti, Libero 31/1].

Sua la riforma che ha abolito il servizio militare obbligatorio, quand’era ministro della Difesa [Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio]

Giuditta Pini, deputata Pd classe ’84: «Conobbi il nome di Mattarella perché il mio moroso non fece il militare. Lui è nato nell’86 e la sua classe anagrafica fu la prima a essere graziata dalla naja. Perciò sapemmo della legge e quindi di Mattarella. Ma la curiosità finì lì» (Antonello Caporale) [Antonello Caporale, il Fatto Quotidiano 31/1].

Mattia Feltri: «È spesso ricordato lo scandalo che suscitò in lui, obbligandolo al grido di dolore, un Tour di Madonna arrivato in Italia nel 1990, il Blond Ambition Tour; Mattarella era ministro dell’Istruzione e gli corse l’obbligo di dichiarare “eretico” lo spettacolo della popstar. Una nota ufficiale diffuse l’opinione del titolare del ministero sull’“offesa al buongusto” meritevole della “condanna nei confronti di miss Luisa Veronica Ciccone, colpevole di usare e abusare in scena di simboli ed emblemi religiosi”» [Mattia Feltri, La Stampa 31/1].

Sul fronte dell’economia, la sua biografia mette in luce «un solido ancoraggio agli ideali europeisti e al tempo stesso una grande attenzione alle tematiche relative all’equità sociale e al conflitto tra generazioni, al ruolo delle autonomie locali e al tempo stesso alle questioni connesse alla concorrenza e al libero mercato» (Dino Pesole) [Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 30/1].

Fausto Carioti: «Più a suo agio quando deve scrivere leggi e ragionare in politichese che nel fare polemica, malgrado i tantissimi incarichi pubblici ricoperti Sergio Mattarella non ha lasciato grandi tracce nel dibattito quotidiano dal 1983 (anno in cui entrò in Parlamento) ad oggi» [Fausto Carioti, Libero 31/1].

Lasciato il Parlamento, è entrato nel Cpga, il Csm dei giudici amministrativi. Poi la Corte Costituzionale. Ricorda Perna che la sua nomina non fu semplicissima. «Candidato dal Pd, fu eletto il 6 ottobre 2011 dal Parlamento in seduta comune. Avrebbe dovuta farcela alla prima votazione perché c’era l’accordo col Berlusca. Ma si misero di traverso, radicali, Idv e un pezzo del Pd che voleva Luciano Violante, cioè un comunista vero invece di un ex dc. Bisognò così attendere la quarta votazione, in cui basta la maggioranza semplice. Essendo però incerti i numeri, il Pd, per sicurezza, precettò perfino una puerpera di appena due giorni, ordinandole la tassativa presenza in Aula. La ragazza, allora ancora ignota ai più, era Marianna Madia. La scheda della fatina fu quella decisiva per l’elezione. Mattarella ebbe giusto 572 voti, uno più del quorum» [Giancarlo Perna, Libero 27/1].

Da giudice costituzionale, oltre ad avere redatto il parere con cui la Consulta ha dichiarato lo scorso 14 gennaio inammissibili i quesiti referendari sull’abolizione dei tribunali, è nel collegio che ha respinto il referendum proposto dalla Lega nord per abrogare la legge Fornero [Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 30/1].

Fa parte del gruppo che ha scritto il manifesto fondativo del Partito democratico (con Giorgio Tonini, Salvatore Vassallo, Michele Salvati, Pietro Scoppola e Roberto Gualtieri), poi coordinato dello stesso Pd per il codice etico.

Travaglio: «Da anni il buon Sergio s’è inabissato in un mutismo impenetrabile, ai confini dell’invisibilità, che non autorizza nessuno a considerarlo né amico né nemico del Nazareno. Quel che si sa è che, pur essendo un ex Dc, non appartiene al giglio magico renziano, ma è molto ben visto dall’ex re Giorgio e dalla sottostante lobby di Sabino Cassese, di cui fanno parte i rispettivi rampolli Giulio Napolitano e Bernardo Mattarella (capufficio legislativo della ministra Madia, ex fidanzata di Giulio). La solita parrocchietta di establishment romano» [Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 30/1].

«Il settennato che il Cavaliere ritiene il peggiore di tutti è per Mattarella il modello cui ispirarsi. Nel 1998, quando il mandato di Oscar Luigi Scalfaro si avvicinava alla scadenza e mezza Italia contava i giorni che mancavano all’addio, Mattarella insisteva: “Rieleggiamo Scalfaro al Quirinale”. Quella volta nessuno lo prese sul serio» (Carioti) [Fausto Carioti, Libero 31/1].

Franco Bechis: «Sono stati gli eredi della Dc a lanciarne la candidatura già due settimane fa, capitanati da Giuseppe Fioroni nel ristorante Scusate il ritardo di piazza della Rotonda, a due passi dal Pantheon. Ed è stato ancora una volta Fioroni a tessere la trattativa ieri fra Matteo Renzi e Angelino Alfano che ha riportato su Sergio Mattarella quei voti Ncd che morivano dalla voglia di finire su quella scheda» [Franco Bechis, Libero 31/1].

«Oggi tutti “mattarelliani”, tutti per Sergiuzzo, soprattutto i balenotteri invecchiati e superstiti della grande Balena bianca. Ha i lucciconi agli occhi Rocco Buttiglione, “Sergio è amico mio”, si commuove Clemente Mastella, fa battute carine Pino Pisicchio, ma quante botte si sono dati ai tempi d’oro della Dc. Ai congressi, certo, ma ancora di più nei convegni che le varie correnti del partitone organizzavano in ovattati conventi, lontano da occhi e orecchie indiscreti» [Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 31/1/2015]

«Previsione del titolo di un settennato: “La garanzia della fermezza silenziosa”. Mette i brividi. Ma è un titolo rubato di bocca a Rosi Bindi, che è la statua equestre della sinistra democristiana, donna di pelle dura che però si commuove appena sente pronunciare due parole: Sergio Mattarella. Ecco il presidente che sarà, “un difensore non manifestato della Costituzione”. O anche “l’autorevolezza nella riservatezza”. Per venire a un gergo meno istituzionalmente spirituale, Mattarella “non firmerà le leggi che riterrà incostituzionali, ma senza trambusti, riservatamente, impedendo che diventi faccenda di strepito giornalistico”» (Mattia Feltri) [Mattia Feltri, La Stampa 31/1].

Vedovo di Marisa Chiazzese, sorella di Irma che a sua volta sposò Piersanti Mattarella. Tre figli: Laura, Bernardo Giorgio e Francesco. Sei nipoti [Sebastiano Messina, la Repubblica 30/1].

Dopo la morte della moglie Marisa, circa tre anni fa, ha lasciato la casa di via della Mercede e si è trasferito nella foresteria della Corte Costituzionale in via Cordonata, accanto al palazzo del Quirinale. Sebastiano Messina: «Ha scelto di fare una vita monacale, andando da casa al lavoro senza neanche uscire in strada. Del resto, un viveur lui non lo è mai stato. A cena, da sempre, va con gli amici di una vita. Come il magistrato Pietro Sirena, presidente della IV sezione penale della Cassazione. Come il ginecologo Michele Ermini, suo compagno di scuola al San Leone Magno. O come l’ex presidente del Monte dei Paschi (ed ex ministro del Tesoro) Piero Barucci, che conobbe quando suo fratello Piersanti frequentava la Svimez di Pasquale Saraceno. Qualche volta accetta gli inviti di Giuliano Amato o di Sabino Cassese, suoi colleghi alla Corte Costituzionale» [Sebastiano Messina, la Repubblica 30/1].

Al bar all’angolo dicono che è di poche parole anche quando si ferma per prendere un toast (di solito, prosciutto cotto e formaggio: poi saluta, ringrazia, lascia la mancia. «Un vero signore d’altri tempi») [Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 31/1].

Leandra, la sua segretaria storica [Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 30/1].

«Assai freddoloso» (Fabrizio Roncone) [Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 30/1].

Il libro che in questi giorni ha sul comodino della sua stanza da letto è la Storia d’Europa nel secolo decimonono di Benedetto Croce [Mario Ajello, Il Messaggero 31/1].

«Ha alle spalle una storia di cattolico praticante a ventiquattro carati, ma è distante anni luce dall’archetipo del politico habituè delle gerarchie, di cui in anni recenti è sorta una nuova genìa. Insomma, un credente in privato ma laico nel pubblico. Non si conoscono sue amicizie particolari in Segreteria di Stato o nella Curia Romana» (Cardo Marroni) [Cardo Marroni, Il Sole 24 Ore 30/1].

Racconta nel suo recente Piersanti Mattarella (San Paolo) il giornalista di Avvenire Giovanni Grasso che la domenica la famiglia andava alla messa dai padri rosminiani a San Giovanni a Porta Latina, in un periodo in cui le opere di Antonio Rosmini erano ancora all’Indice del Sant’Uffizio; d’estate partiva in vacanza sulle Dolomiti nella comunità di don Rossi, fondatore del Movimento Pro Cititate Christiana, uno dei più avanzati del cattolicesimo di sinistra [Cardo Marroni, Il Sole 24 Ore 30/1].

«I vecchi amici raccontano di un rapporto molto stretto con l’ex segretario generale della Camera, Ugo Zampetti, che ha accompagnato le presidenze di Violante, Casini, Bertinotti, Fini e anche di Boldrini fino a un paio di settimane fa. Si conoscevano i padri di Zampetti e di Mattarella, sono divenuti amici anche i loro figli. Tanto che le famiglie riunite ogni domenica andavano a messa insieme nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte. Un rapporto che non è solo curiosità: a questo punto Zampetti è in pole position per sostituire l’attuale segretario generale del Quirinale, Donato Marra» (Bechis) [Franco Bechis, Libero 31/1].

Non sa nuotare. Una volta – quand’era direttore del Popolo – accettò di giocare con i suoi redattori a Risiko [Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 30/1].

Tifoso della Roma, stando a Sebastiano Messina; del Palermo e in maniera più pacata dell’Inter, secondo Fabrizio Roncone e Franco Bechis.