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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

LA FONDAZIONE VERSO IL RINNOVO «A TEMPO» DEI VERTICI DELLA BANCA

Nel futuro della Fondazione Monte dei Paschi potrebbe non esserci più Banca Mps, alle prese con l’ennesimo aumento di capitale e le incertezze di una transizione che sembra non finire mai. Nel futuro di Enrico Granata, invece, non c’è più la Fondazione Monte dei Paschi. Il direttore generale (provveditore) ha infatti deciso di chiudere la sua esperienza con l’Ente di Palazzo Sansedoni, nella cui cassaforte è custodito il 2,5% del gruppo bancario di Rocca Salimbeni (quota sindacata insieme al 4,5% di Fintech e al 2% di Btg Pactual). «Lascerò la Fondazione con l’approvazione del bilancio (in aprile n.d.r.) - spiega Granata -. Sto quindi portando a termine il lavoro, complesso, per cui sono stato chiamato. Sono orgoglioso - aggiunge - di aver contribuito alla messa in sicurezza dell’Ente, alla razionalizzazione dei rapporti con società e enti che ad esso fanno capo, alla riorganizzazione della struttura interna nell’ottica della nuova mission».
Quando arrivò a Siena, nel dicembre del 2013, chiamato dall’allora presidente Antonella Mansi, sulla Fondazione soffiava un vento gelido che ne metteva a repentaglio la stessa sopravvivenza: lo spettro dell’azzeramento del patrimonio e del conseguente fallimento era qualcosa più di una paura notturna. A un anno di distanza, la situazione è sostanzialmente diversa: ridotta al minimo storico la partecipazione in Mps, siglato il patto con gli investitori internazionali Fintech e Btg Pactual, pagati i debiti e sottoscritto pro quota l’aumento di capitale del Monte da 5 miliardi del giugno scorso, Granata si prepara a lasciare, come già aveva fatto la Mansi in estate.
Il bilancio 2014 della Fondazione Mps chiuderà quasi certamente in perdita, per effetto della svalutazione della partecipazione (67%) nell’Immobiliare Sansedoni, che ha un debito (159 milioni) quattro volte superiore al patrimonio (37 milioni). Nel 2013, la Fondazione aveva messo a segno un avanzo di 21,9 milioni, dopo tre anni di rosso. La strada che deve affrontare Marcello Clarich, diventato presidente in agosto, non è proprio in discesa anche se i pericoli peggiori sono stati scongiurati. Con un patrimonio di poco superiore ai 700 milioni, di cui 400 liquidi, la vera incognita è rappresentata dalla permanenza nel capitale della banca di Rocca Salimbeni, il cui titolo continua a essere sotto pressione (ieri -7,8% a 0,4 euro), dopo la bocciatura da parte della Bce (evidenziato un deficit di capitale da 2,1 miliardi) e in attesa del via libera europeo al piano d’intervento da 2,7 miliardi che prevede un aumento di capitale da 2,5 miliardi.
La banca più antica del mondo si muove sotto lo sguardo attento della Bce e della Commissione di Bruxelles. Una volta approvato il capital plan (l’ok è atteso nei prossimi giorni), il Monte chiamerà gli azionisti in seduta ordinaria e straordinaria il 14 aprile, per approvare i conti dell’esercizio 2014, rinnovare gli organi societari e varare l’aumento di capitale (il cui importo potrebbe crescere), destinato tra l’altro a rimborsare l’ultima parte dei Monti bond (poco più di un miliardo). In assenza di colpi di scena, il patto Fondazione-Fintech-Btg Pactual con il 9% complessivo di Mps punta a nominare metà della nuova governance: sei consiglieri su 12, tra i quali cresce l’attesa per la conferma che sembra molto probabile degli attuali vertici, il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, oggi entrambi in quota Fondazione Mps.
I due manager, dal 2012 alla guida del Monte (Viola arrivò a gennaio, Profumo in aprile), accompagneranno dunque il gruppo di Rocca Salimbeni all’appuntamento col proprio destino finale, che non è detto (come molti in realtà si aspettano) sia rappresentato dal matrimonio con qualche banca straniera o italiana. «Sulla mia conferma decideranno gli azionisti e il sottoscritto», ha tagliato corto nei giorni scorsi Profumo. «C’è da capire se oltre all’aumento di capitale, occorrerà unire Mps a un’altra banca: nel caso, io preferirei che fosse italiana», ha detto ieri con la consueta franchezza Bruno Valentini, sindaco di Siena. Ma i tempi in cui l’istituzione di riferimento della Fondazione Mps poteva incidere sulla sorte del Monte sono lontani. Oggi hanno molta più voce in capitolo le istituzioni europee. Basta guardare la recente parabola senese, sul versante dei conti.
Fu lo stress test dell’Eba (European banking authority) che nell’autunno del 2011 aprì ufficialmente il capitolo relativo alle carenze di patrimonio del Monte, dove sono progressivamente confluiti i 2 miliardi di aumento di capitale di quell’anno, poco più di 4 miliardi di Monti bond emessi da Siena nel 2013 e i 5 miliardi della manovra sul capitale dell’anno scorso. Buona parte del problema - fu detto e scritto in quel momento - derivava dal portafoglio di titoli di Stato italiani (intorno ai 25 miliardi) penalizzato dallo spread sopra i 500 punti. «Con uno spread sotto i 200 punti, il Monte potrebbe diventare una delle banche più patrimonializzate del Paese», disse Viola. Ma, a distanza di due anni, con i tagli e la riduzione degli attivi fatti da Rocca Salimbeni, nonostante lo spread sia tornato stabilmente poco sopra i 100 punti, la Bce chiede al Monte un nuovo buffer finanziario di 2,1 miliardi.
«Non credo all’arrivo di un partner bancario, italiano o straniero, per il Monte - commenta un banchiere di lungo corso -. Per completare la ricapitalizzazione del gruppo, mi sembra più probabile l’ingresso di fondi internazionali». Le carte si scopriranno nei prossimi mesi, quando anche la Fondazione Mps dovrà decidere se mettere mano al portafoglio (con l’aumento di 2,5 miliardi l’esborso sarebbe di 62,5 milioni) o uscire dall’azionariato. Una scelta difficile e, forse, obbligata.
Cesare Peruzzi, Il Sole 24 Ore 31/1/2015