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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

LA NORMALITÀ TORNERÀ CON LA CRESCITA

Il petrolio, ormai, è una storia a parte. Sta calando, porta in basso l’indice di inflazione – determinando un segno meno non certo irrilevante – ma dà innanzitutto un forte aiuto alle economie. L’andamento del greggio ha sempre un doppio effetto, sui prezzi e sulla crescita.
Ma solo in casi molto particolari le ricadute sull’inflazione diventano più importanti di quelle sull’attività economica.
Il dato di ieri sui prezzi di Eurolandia mostra qualcos’altro. Anche l’inflazione core, che esclude i prezzi dell’energia e degli alimentari, sta diventando molto bassa: + 0,5%, in calo dal +0,7% di dicembre. È in parte dovuto ai saldi di gennaio, il cui effetto sparirà, se non a febbraio, a marzo; ma è anche la conferma del fatto che, in Eurolandia, questa inflazione di fondo tende a convergere verso l’inflazione complessiva. Vederla calare ulteriormente verso lo zero per cento, a questo punto, non è più impossibile.
Il caso spagnolo, per fortuna, racconta qualcosa di importante. Il ritorno verso un’inflazione sana “passa” attraverso la crescita economica, che viene prima e che ne è la causa. Il meccanismo di trasmissione normale – e “normale”, qui, è una parola chiave – della politica monetaria interviene immediatamente sulle quotazioni finanziarie, tra cui il cambio; sull’attività economica dopo qualche mese, e sui prezzi alla fine, dopo almeno due anni.
Tutto bene, dunque? Si tratta solo di aspettare che l’euro basso da una parte e il petrolio in calo dall’altra dispieghino tutti i loro effetti? No, la situazione non è così semplice. Perché la situazione attuale non è “normale”. La crescita economica, primo passo verso prezzi normali, si potrà ottenere in Eurolandia solo se le banche riprenderanno a finanziare gli investimenti; e perché questo avvenga occorre che il quantitative easing (Qe) della Banca centrale europea, che ha lo scopo di “fare spazio” nei bilanci delle aziende di credito piene di titoli di Stato, sia rapido e abbondante. È già arrivato in ritardo, come hanno confermato i dati di ieri, perché c’erano alcuni scogli da superare tra i quali – per l’appunto – l’esame degli attivi delle banche, che dovevano presentarsi all’appuntamento con la Bce sane, o almeno in convalescenza; e perché occorreva costruire il consenso necessario tra i tanti banchieri centrali ancora legati a schemi del passato. Non è detto inoltre che sia di dimensioni sufficienti, e questa è la questione che ora si apre.
I mercati sono stati soddisfatti dalla decisione del 22 gennaio. Si aspettavano una manovra più timida e sono stati colpiti dalla determinazione che la Bce e il suo presidente Mario Draghi sono riusciti a mostrare in una situazione di governance interna non facile. È però un fatto che questo quantitative easing porterà i bilanci della Banca centrale europea “solo” ai livelli del 2012 o poco più. Allora, la situazione di Eurolandia era forse più difficile sul piano della stabilità finanziaria, ma decisamente migliore sul piano della crescita e dell’inflazione. Sarebbe un peccato se la Bce si trovasse, dopo tanta faticosa determinazione, ad aver fatto comunque troppo poco e troppo tardi.
È un rischio non sufficientemente preso in considerazione, oggi. Una volta lanciato il quantitative easing, le questioni sul tappeto sono subito diventate due, entrambe relative ai costi del Qe. La prima riguarda l’inflazione finanziaria, le cosiddette bolle. Difficile che si gonfino - se non a livello locale – in assenza di una rapidissima crescita del credito, ed evidentemente questo rischio oggi non c’è. La seconda riguarda il rischio di una “bolla della crescita”: la possibilità che una politica monetaria espansiva sostenga momentaneamente l’attività economica destinata però, in assenza di un ambiente favorevole agli investimenti, a sgonfiarsi lasciando il posto a una forte inflazione. Accade, ma è uno scenario che presuppone una politica monetaria fissa, incapace di adeguarsi nel tempo alle mutate condizioni economiche. Non c’è motivo quindi che queste due considerazioni, peraltro doverose, prendano il posto, proprio ora che l’inflazione core rallenta ulteriormente, dell’altra, più urgente domanda: questo Qe sarà sufficiente?
Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore 31/1/2015