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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

QUELLE TERRE ABBANDONATE AL JIHAD DOVE REGNANO EMIRI E KALASHNIKOV

Tre anni fa, al confine nord del Niger, nel massiccio dell’Air. Il passaggio di Salvador verso la Libia, cuore di tutti i traffici, non è lontano. Qui non ci sono dune di sabbia ma rocce da incubo. Ci sono voluti millenni di tranquillità sotto il sole e sotto le piogge per scolpire e levigare quelle collezioni di figure inquietanti, cataste di blocchi levigati dall’aspetto molle, con rotondità e contorni strani a forma di bestie. E sempre il silenzio; sempre nessuno.
L’ESPANSIONE
Libia, Niger, Mali, Algeria, Mauritania: una geografia che non ha più valore, frontiere scomparse. Questo è il Sahelistan dove non comandano più eserciti, giudici, governi, ma il jihad. I padroni delle sabbie, delle foreste, degli uomini, dei traffici sono emiri, contrabbandieri diventati santoni, tuareg convertiti al salafismo, cattivi profeti con il corano nello zaino e il kalashnikov in pugno. Il fronte sud del jihad, che ha giurato di distruggerci e avanza verso l’Africa centrale. Migliaia di chilometri quadrati sono stati occupati da guerriglie periferiche che non hanno mosso la pigrizia delle cancellerie occidentali. Non ci siamo accorti di questa avanzata, e così ritorna il vuoto sulle carte geografiche. In Kenya, a migliaia di chilometri da qui, i jihadisti fanno scendere dagli autobus coloro che non sanno recitare versetti del corano e li uccidono in mezzo alla strada, invocando la benedizione di Dio. Nel nord della Nigeria bruciano le città come i re assiri, conquistano basi militari, mettono in fuga l’esercito. Abubakar Shekau, il califfo nero, governa ferocemente ormai un territorio immenso più grande della Francia. E non sappiamo neppure la sua data esatta di nascita: un pazzo, dicevano, solo uno squilibrato… Non ci siamo accorti che nelle moschee di Bamako e sulle rive del Niger «la Gente della summa e del corano», come amano chiamarsi i wahabiti, guadagna terreno, con prediche infuocate, sull’islam dei sufi e dei marabutti, tacciato di antropolatria e blasfemia. Milioni di affamati e di senzatutto cominciano ad ascoltare le sirene di una palingenesi semplice e risolutiva.
IL CONTRABBANDIERE
I miei amici tuareg hanno acceso il fuoco all’apertura di una larga vallata, una specie di piana murata intorno da mucchi di mostri morti. Nel pomeriggio vediamo mutare i colori e la natura delle pietre, i graniti diventano più friabili e più incolori. I minuti rami aromatici con cui hanno acceso il fuoco fanno una grande fiammata e molto fumo. Abbiamo appuntamento con Ahmed Boghari, un altro tuareg che chiamano «il contrabbandiere». Spunta dalle rocce con il buio, come se fosse sempre stato qui ad attenderci. I colori delle sue vesti non sono il bianco e il blu: è il nero dei salafiti, la divisa fondamentalista. È piccolo, giovane, volto e tratti in miniatura inquadrati da una leggera barba nera, un certo fascino quasi femminile. Curva ogni tanto la testa agile come sotto il peso di un turbante troppo pesante. Capisci che nulla può aver presa su di lui, né la pazienza né la minaccia né la gentilezza o la tortura. Raccontano come il suo potere tra i capi di al Qaeda stia crescendo, sotto lo sguardo inquieto dei vecchi capi.
«Chi sei tu? Un poliziotto?» e ride come se avesse pronunciato una parola sconveniente a un pranzo elegante. «Sono un viaggiatore». «Anche io viaggio, sono un meccanico, i miei viaggi sono lunghi duemila chilometri nel deserto, una settimana andata e ritorno. Nel deserto ti può accadere di tutto, il motore in panne e sei morto… meglio avere un buon meccanico pronto a intervenire nel 4 x 4...».
Scambia con i miei accompagnatori sorrisi che sono brevi lampi. Ahmed si occupa dei traffici nel deserto, dal Camerun alla Libia: armi, droga, migranti, falsi medicinali, combattenti che scendono dal nord verso le nuove battaglie africane dell’integralismo o salgono per andare a rafforzare le brigate del califfo siriano. Tutti pagano, lo fanno ricco, aumentano i miliziani che gli obbediscono.
I CAMPI SEGRETI NEL DESERTO
Il suo dominio sono decine di «campi» segreti nel deserto, acqua, munizioni, benzina, viveri nascosti nella sabbia. Per ritrovarli basta un Gps. È lui che mi ha spiegato come le frontiere non esistano più: «due miei zii erano contrabbandieri nei vecchi tempi, prima che arrivassero i rivoluzionari. Odiavano come la peste i soldati di Gheddafi: ah! come odiavano elicotteri, aerei, campi minati, tutto avevano messo in piedi per impedire di fare buoni affari… ma questo ormai non esiste più, siete voi infedeli che continuate a credere alle frontiere...».
IL TRAFFICO DI ARMI E DROGA
Mi raccontò che lui e i suoi «soci» avevano trasferito tonnellate, disse proprio così tonnellate di armi, dalla Libia verso l’Africa, anche i missili antiaerei che la Francia aveva venduto (settecento!) al colonnello. «Guerra… contrabbando: uff! Uno alimenta l’altro. Dite che la droga è vietata dall’Islam? Ma il consumo, non il commercio! Noi non ci droghiamo: mai. E non vogliamo diventare ricchi, vogliamo controllare il Sahel e poi l’Africa in nome di dio». Armi passate per queste piste sono state ritrovate nella Repubblica Centrafricana, nelle mani dei ribelli musulmani. «Se vuoi, viaggiatore, posso portarti fino in Nigeria dai nostri alleati Boko Haram o in Ciad… non vedrai mai un soldato o un gendarme, solo bravi combattenti di dio per chilometri… e senza mostrare il tuo passaporto. Sei con me! …le frontiere!». Si alza, deve andare. Grossi scorpioni verdi si sono avvicinati per scaldarsi al nostro fuoco. Ahmed li getta tra le ceneri ardenti, dove si contorcono e si consumano.
Domenico Quirico, La Stampa 31/1/2015