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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

LA DOPPIA TRAGEDIA DEGLI SFOLLATI IN FUGA ANCHE DALLE TENDE

Ieri mattina un nuovo attacco di artiglieria, autobombe e attentatori suicidi dell’Is è stato sferrato e respinto, alle porte e all’interno di Kirkuk. Alla fine i difensori, sostenuti da ingenti rinforzi ai comandi di Kosrat Rasul Ali, capo militare e vicepresidente del Kurdistan, e del ministro dei peshmerga Mustafa Sayid Qadir, riavevano il controllo pieno della città, tuttavia sigillata dal coprifuoco. All’esplodere dello scontro molti cittadini avevano scelto di fuggire verso l’entroterra. L’allarme più angoscioso aveva colpito, vicino al checkpoint assaltato di Maktar Khalid e nel villaggio di Wahid Huzarian, i campi di 20mila famiglie sfollate — si chiamano tecnicamente così ma sono per ogni riguardo profughe — che sono fuggite nel caos o sono state evacuate alla meglio nel centro cittadino, e in parte poi riparate nei campi di rifugiati, altrettanto popolosi, alle soglie di Suleimania, o nella provincia, verso il checkpoint di Erbil o l’area di Laylan.
Fuggire dalle proprie case è una tragedia, fuggire dalle tende in cui si è trovato un precario rifugio è una doppia tragedia. Sono, per la maggioranza, bambini, donne e vecchi; molti malati o feriti e invalidi. Per fortuna, o preveggenza, scontri a Kirkuk erano nel conto e l’Unicef aveva immagazzinato migliaia di equipaggiamenti di pronto soccorso su sei località, e ieri, con Save the Children e Mercy Corps, ha fornito assistenza a molti, pur nella difficoltà di movimento imposta dal rigido coprifuoco. Il parlamento iracheno aveva appena votato il bilancio 2015, assegnando la (controversa) quota del 17 per cento al Kurdistan e soprattutto deliberando il finanziamento delle forze armate curde del peshmerga.
Kirkuk è oggi una metropoli che decenni di guerra, attentati (le autobombe erano fino a poco fa cronaca quotidiana) ed esodi umani fanno somigliare largamente a un accampamento di fortuna. Nessuno sa quanti siano gli abitanti, più di un milione comunque. I quartieri arabi a Sud sarebbero divisi più nettamente dalle parti curda, turcomanna e assiro-cristiana, se l’immigrazione continua di fuggiaschi dalle zone occupate dall’Is non facessero arrivare arabi sunniti un po’ dovunque: i benestanti nelle zone migliori, dove il loro insediamento fa oltretutto impennare affitti e costi delle case. La popolazione araba, specialmente quella nuova, è guardata con crescente sospetto, più che per l’eventuale favore verso l’Is, per il rischio di infiltrazioni deliberate. L’attacco di ieri, contemporaneo con altri lungo la interminabile frontiera curda con l’Is, cercava forse un diversivo alla pressione curda attorno a Mosul, ed era teso a combinare l’assalto dall’esterno con le operazioni dentro la città, e così almeno a suscitare il panico. Obiettivo solo in parte raggiunto, dal momento che a distanza di alcune ore l’offensiva era stata respinta, con gravi perdite degli assalitori. Non ci sono cifre ufficiali, ma i morti dell’Is sono stati almeno 247, e le loro fotografie sono presto circolate in rete. Sono state numerose anche le vittime tra i difensori curdi, oltre i cinque, fra cui il generale Sherko Fatih, del primo attacco di sorpresa: soprattutto perché pioggia e nebbia hanno moltiplicato i danni del cosiddetto fuoco amico. Prima d’essere colpito, Fatih aveva dichiarato alla tv Rudaw : «Non metteranno il piede in città, dovessimo versare l’ultima goccia di sangue». L’attacco a Kirkuk ha duplicato l’effetto sorpresa già tentato a Gwer, di cui abbiamo detto ieri, e ha sortito lo stesso risultato, ma mostrando che la difesa curda ha delle prime linee vulnerabili, e che l’Is è risoluto a dilapidare i propri uomini in operazioni militari poco meno che suicide. Nonostante perdite ormai ingenti, l’Is non fa nessun risparmio delle sue truppe, il che può esser tenuto come un segno di disperazione, o di fiducia nella capacità di rimpiazzare i caduti. In Occidente una pericolosa, perché infondata, sensazione di una sconfitta generale dell’Is si è diffusa dopo Kobane: trincea decisiva per la propaganda jihadista e per l’onore dei suoi avversari, ma luogo marginale dello scontro. L’Is occupa ancora pressoché per intero il territorio tra Siria e Iraq di cui ha cancellato la frontiera, e gruppi e individui che gli si ispirano sono in grado di colpire duramente, come ancora ieri si è visto dal Sinai a Bagdad a Samarra alla Libia. Se i fautori internazionali del realismo politico volessero “accontentarsi” di confinare il Califfato nello spazio che si è conquistato, magari un po’ rosicchiato, farebbero un errore doppiamente micidiale: gli regalerebbero il tempo, e sarebbero recidivi. Gli hanno regalato anni di impunità, prima che la conquista di Mosul, la minaccia a Kirkuk, e lo spettacolo delle decapitazioni di occidentali rendessero il piatto troppo indigesto anche per lo stomaco da coccodrillo della diplomazia universale.
Adriano Sofri, la Repubblica 31/1/2015