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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

SE LA BANK NON È BAD

Il governo sembra pronto a una svolta storica in ambito bancario, che permetterebbe agli istituti di liberare i bilanci da una parte dei crediti dubbi e di tornare così ad aumentare i prestiti. «Riflettiamo sull’introduzione di strumenti che vanno sotto il nome generico di bad bank, ma possono assumere varie forme; ci sono varie opzioni e le stiamo esaminando», ha detto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Le discussioni in corso sono tecniche e non sono semplici (soprattutto a causa delle regole Ue sugli aiuti di Stato), ma la decisione sembra ormai presa, dopo le esitazioni degli anni passati.
Lo scenario favorisce oggi la creazione di un veicolo che sarebbe fuorviante definire «bad bank». Questo nome è utilizzato per manovre di salvataggio di una banca, o di un intero settore, come è stato fatto in Spagna. Ma non è questo il caso dell’Italia. Le banche sono in grado di camminare da sole. L’esame Bce dei bilanci l’ha confermato. Il problema da risolvere semmai è un altro: non è in gioco la stabilità del sistema bancario, ma la sua capacità di sostenere l’economia.
La situazione in Italia è oggi diversa rispetto a quando si è iniziato a parlare di veicoli come la «bad bank»: gli istituti hanno rafforzato il patrimonio; la Bce ha inondato le banche di liquidità; l’economia dà segnali di ripresa. In teoria le caselle sono tutte sistemate: il credito potrebbe ripartire. Ma così non è. Quel che è più grave è che la flessione dei prestiti potrebbe proseguire a lungo, perché c’è un nodo non ancora sciolto: le elevate sofferenze nei bilanci. Non sono tali da mettere a rischio le banche, ma impediscono una forte ripresa dei prestiti, senza la quale anche la crescita dell’economia è frenata. Insomma, il problema del credito deteriorato potrebbe far vivere all’Italia la stessa situazione vissuta per molti anni dal Giappone. L’Italia rischia uno scenario simile per alcune caratteristiche strutturali dell’economia: una percentuale importante del pil è legata alle pmi, che si finanziano quasi totalmente attraverso il credito bancario (nonostante i meritevoli ma ancora non significativi effetti di iniziative come i minibond). Se si blocca il credito, si bloccano le pmi (le grandi imprese continuano a finanziarsi a basso costo sui mercati) e poi a ruota tutta l’economia.
Un veicolo per il credito permetterebbe quindi alle banche di tornare a sostenere le pmi (soprattutto se anche queste ultime saranno disposte ad aumentare il capitale). Nonostante i risultati dell’esame Bce, in molti, soprattutto all’estero, continuano a diffidare dei bilanci degli istituti italiani, a causa dell’elevato ammontare di sofferenze. I flussi di nuovi crediti deteriorati potrebbero calare, ma lo stock resterà a lungo alto. Il veicolo scaccerebbe i dubbi perché sarebbe una soluzione trasparente anche per i mercati internazionali (non un elemento secondario, considerando che le banche italiane prima o poi dovranno tornare a finanziarsi senza l’aiuto della Bce). Inoltre un veicolo consentirebbe una maggiore efficienza operativa e minori costi rispetto a quelli che una banca da sola dovrebbe sostenere nella gestione del credito deteriorato. Infine un veicolo con garanzia pubblica sarebbe una risposta a una situazione in cui non è facile smobilitare i crediti dubbi con soluzioni di mercato soltanto private. Oggi i grandi fondi sono disposti a comprare sofferenze a prezzi bassissimi: per questa ragione spesso realizzano guadagni a doppia cifra, mentre le banche registrano perdite, da ripianare poi con nuovo capitale. Questo scenario potrebbe cambiare in presenza di un soggetto più paziente, disposto ad aspettare una rivalutazione dei crediti: non è affatto escluso che lo Stato, a fronte di una garanzia iniziale, ci possa alla fine guadagnare. Del resto è proprio quanto accaduto finora: le garanzie pubbliche hanno già fruttato circa 2 miliardi al Tesoro.
Perché allora si è esitato finora? La situazione migliore delle banche italiane rispetto a quelle spagnole ha reso di fatto rinviabile e non urgente una soluzione di sistema alle sofferenze. In Italia c’è poi un’opinione pubblica ostile a ogni forma di sostegno alle banche. Non hanno certo aiutato i cambi di governo. Inoltre si è probabilmente avuta troppa fiducia sulla ripresa economica, che al contrario non si è mai vista. Ora però sembra che quel momento sia arrivato: un fattore decisivo, perché senza la prospettiva di una ripresa, seppur lieve, le banche non sarebbero comunque disposte a fare credito. Invece ora inizia a crescere la fiducia, anche per effetto delle misure della Bce, che ha appena varato un piano di acquisto di titoli per oltre 1.100 miliardi, un livello molto superiore alle previsioni (sebbene con una minore condivisione dei rischi). Il Qe aiuterà la crescita, ma di per sé non basta a convogliare quella ingente liquidità dalle banche verso l’economia reale. Per questo serve che il canale bancario torni a funzionare pienamente e in questo ambito un veicolo potrebbe avere un ruolo significativo.
Restano però alcuni problemi da risolvere. Innanzitutto, bisognerà vedere la reazione delle banche: come detto, potrebbero operare tranquillamente senza un veicolo che potrà causare loro delle perdite. Non a caso in questi anni gli istituti si sono spesso schierate contro i progetti di bad bank. Ora l’atteggiamento sembra cambiato, ma si dovrà verificarlo di fronte al piano dettagliato del governo. Infine, occorre risolvere il problema delle normative europee in materia di aiuti di Stato, che impongono a azionisti e creditori una svalutazione in presenza di un sostegno pubblico. Sarebbe difficile credere che norme di questo tipo, volute dalla Germania (ma soltanto dopo aiuti di Stato concessi alle banche tedesche per oltre 200 miliardi di euro), possano ostacolare la ripresa del credito e dell’economia in uno Stato Ue.
Francesco Ninfole, MilanoFinanza 31/1/2015